24 Gennaio
La crisi spiegata dalla Costituzione piegata
Un viaggio di Parlamentarius nel nostro declino attraverso gli articoli della Carta fondamentale. Dagli anni Settanta al Grillismo, dalle grandi ideologie a Conte, la parabola della politica e di una nazione
di Parlamentarius
Un senso di solitudine m’assale. Direte che è normale, perché il distanziamento sociale, innaturale come tutto quello che ci accade da un anno a questa parte, proprio questo provoca. Vorrei però dirvi qualcosa in più: in me è aggravato dalla mia, personalissima, relazione con la Costituzione della Repubblica. Perdonate l’enfasi: è stato un rapporto d’amore, concedetemelo. Quando entrai nelle istituzioni – ahimè qualche abbondante primavera fa – chi mi accolse disse: giudica secondo giustizia, fornisci il tuo consiglio secondo prudenza, decidi con imparzialità, ma tieni sempre la Costituzione come guida.
Molti anni sono trascorsi e molte cose accadute.
È successo, ad esempio, che negli anni ’70 alcune dottrine cercarono di scompaginare l’equilibrio difficilissimo che la Costituzione aveva trovato nel ’48 tra forze socialiste, democristiano-popolari, liberali e comuniste (insomma, tranne l’ultima, tutte quelle che il Presidente Giuseppe Conte vuole oggi impersonare). Si disse che la proprietà privata dovesse in sostanza scomparire, ché la “funzione sociale” di cui parla l’articolo 42 della Costituzione significa che il valore della proprietà è del popolo. La Corte costituzionale resistette, in nome della Costituzione, dato che la proprietà è anche “privata”. Pur se tra qualche mugugno, sparso qui e lì, i cultori della Costituzione difesero la scelta della Corte e la Costituzione tutta.
È successo poi che il mondo improvvisamente cambiò nel 1989 e l’Italia rimase spiazzata. Non più ultimo baluardo dell’Occidente. Servivano nuove idee, una nuova dialettica politica ed è partito il dibattito sulla riforma della Costituzione. Cambiamola perché i tempi son cambiati dissero in tanti e – devo confessarlo – pensai di non tradire quel patto coevo al mio abito istituzionale quando mi dissi d’accordo con chi quelle riforme sosteneva. In fondo, pensai, la Costituzione è guida stabile del potere pubblico ma è anche voce del popolo se il popolo sovrano vuol modificarla per...
di Parlamentarius
Un senso di solitudine m’assale. Direte che è normale, perché il distanziamento sociale, innaturale come tutto quello che ci accade da un anno a questa parte, proprio questo provoca. Vorrei però dirvi qualcosa in più: in me è aggravato dalla mia, personalissima, relazione con la Costituzione della Repubblica. Perdonate l’enfasi: è stato un rapporto d’amore, concedetemelo. Quando entrai nelle istituzioni – ahimè qualche abbondante primavera fa – chi mi accolse disse: giudica secondo giustizia, fornisci il tuo consiglio secondo prudenza, decidi con imparzialità, ma tieni sempre la Costituzione come guida.
Molti anni sono trascorsi e molte cose accadute.
È successo, ad esempio, che negli anni ’70 alcune dottrine cercarono di scompaginare l’equilibrio difficilissimo che la Costituzione aveva trovato nel ’48 tra forze socialiste, democristiano-popolari, liberali e comuniste (insomma, tranne l’ultima, tutte quelle che il Presidente Giuseppe Conte vuole oggi impersonare). Si disse che la proprietà privata dovesse in sostanza scomparire, ché la “funzione sociale” di cui parla l’articolo 42 della Costituzione significa che il valore della proprietà è del popolo. La Corte costituzionale resistette, in nome della Costituzione, dato che la proprietà è anche “privata”. Pur se tra qualche mugugno, sparso qui e lì, i cultori della Costituzione difesero la scelta della Corte e la Costituzione tutta.
È successo poi che il mondo improvvisamente cambiò nel 1989 e l’Italia rimase spiazzata. Non più ultimo baluardo dell’Occidente. Servivano nuove idee, una nuova dialettica politica ed è partito il dibattito sulla riforma della Costituzione. Cambiamola perché i tempi son cambiati dissero in tanti e – devo confessarlo – pensai di non tradire quel patto coevo al mio abito istituzionale quando mi dissi d’accordo con chi quelle riforme sosteneva. In fondo, pensai, la Costituzione è guida stabile del potere pubblico ma è anche voce del popolo se il popolo sovrano vuol modificarla per via parlamentare senza alterarne – ovviamente – i cardini. Tanti tentativi di riforme e altrettanti fallimenti abbiamo visto nel corso di più di 30 anni. L’unica riforma costituzionale andata in porto è stata quella del titolo V, che ha rafforzato i poteri delle Regioni in maniera – ormai lo dicono tutti – un po’ scriteriata. Oggi il politicamente corretto si è impadronito delle critiche a questa riforma, ma in modo quasi sempre acritico, senza una vera e chiara proposta di svolta.
Tutte le volte che si voleva riformare la Costituzione si levarono contro, forti e solenni, le grida di chi difese la Costituzione “più bella del mondo”. Devo confessarvelo, lo scossone emotivo per il Vostro affezionatissimo uomo delle Istituzioni fu profondo. Forse aderendo allo spirito riformatore della Costituzione – parlavamo all’epoca di nuove formule di Governo: presidenzialismo, semi-presidenzialismo, premierato – stavo tradendo il mio giuramento? Se tu, Costituzione mia, eri la più bella del mondo, perché mai avremmo dovuto riformarti?
E sono passati altri anni, il bipolarismo all’italiana si è piegato alla dialettica tra guelfi-ghibellini e l’Italia ha iniziato il suo percorso di decrescita felice. Beh, di questo si tratta, se la nostra Nazione – posso ancora chiamarla così? – ha aumentato spaventosamente il suo debito e segnato una crescita sempre inferiore a quella dei nostri vicini.
Poi è arrivata la crisi finanziaria e fiscale ed è saltato il nostro zoppicante bipolarismo con la nascita del grillismo. Il legame tra elettorato e Premiership è iniziato a vacillare. Quando partì l’ultimo tentativo di riforma costituzionale mi chiesi perché mai il documento su cui avevo giurato dovesse diventare terreno di scontro personale tra individualità politiche. La mia confusione fu massima però quando altri, dal lato opposto, tornarono a gridare all’intoccabilità della Costituzione più bella del mondo. Non sapevo più che pesci pigliare e come votare al referendum. Né il Vostro affezionatissimo intende svelarvi cosa votò: caspita, il voto è segreto dice l’articolo 48!
Il presidente Enrico De Nicola firma la Costituzione della Repubblica italiana, è il 27 dicembre 1947.E arriviamo all’oggi. Dal Conteuno populista ed euroscettico al Contedue europeista e “de sinistra”. E infine la pandemia. Oggi rileggo la Costituzione e mi sento solo. L’articolo 95 dice che il Presidente del Consiglio “dirige” la politica “generale” del Governo e ne mantiene l’“unità” di indirizzo politico. Mi chiedo se l’appello ai parlamentari responsabili/costruttori/volenterosi per essere aiutato – a far cosa, mi domando in sovrappiù – da parte del Presidente Conte sia in sintonia con la “direzione” di una politica “generale” e “unitaria”. Giudicate voi. Mi chiedo se tutti questi requisiti siano adatti ad un Governo di (quasi) minoranza e se i costituenti, quando scrissero nell’articolo 94 che il Governo deve avere la “fiducia” delle due Camere avessero in mente il peso aritmetico dei voti dell’ultim’ora di un senatore distratto del Gruppo misto o il voto dei senatori a vita che, andrebbe ricordato, rappresentano l’intera Nazione. Penso anche che se il Presidente del Consiglio in carica può esibire tre abiti diversi in contemporanea (giorno-sera-notte, dal Prêt-à-Porter all’alta moda) e definirsi popolare-socialista-liberale, forse è perché l’opposizione non è riuscita a indossarne uno – dico, ragazzi, almeno uno! – con chiarezza per farlo proprio e distintivo.
Guardo altrove, al Recovery plan. Sebbene confortato dalla parola “Resilienza” che fortunatamente compare rassicurante nel titolo del Piano Nazionale a suggello di un probabile successo, mi chiedo se l’amministrazione italiana, con o senza task force e consulenti vari, abbia la capacità e sia nelle condizioni di investire una simile quantità di risorse. I primi mugugni della Commissione Ue e della Banca centrale europea giungono in questi giorni: ci chiedono di riformare la nostra amministrazione. Mamma mia, Presidente Lagarde, ma lei sa in che inferno di complicazioni normativo/controllore/giudiziario/sospettoso vivono le nostre amministrazioni dopo decenni di fallimenti riformatori? Basteranno a sciogliere i nodi gli illuminati editoriali di questi mesi e le interviste rilasciate proprio da coloro che queste stesse riforme propugnarono? E nel frattempo leggo sconsolato il tradito articolo 97 della Costituzione: è assicurato il “buon andamento” dei pubblici uffici.
Poi apprendo che buona parte dei Commissari nominati dal Governo per eseguire le opere pubbliche ancor sospese sono indagati dalla magistratura: campeggiano varie ipotesi, dai reati colposi di disastro per l’uno o l’altro incidente ad abusi e corruzioni varie. Quindi, che si fa? Li cambiamo e ne prendiamo altri? E chi lo dice che ce ne siano così tanti disponibili e che quelli nuovi non finiscano anch’essi indagati? Ripenso alle leggi anticorruzione degli ultimi dieci anni, che oggi mettono fuori gioco amministratori e manager che siano indagati, colpiti da misure cautelari o rinviati a giudizio. Mai un richiamo ad una sentenza di condanna passata in giudicato. In Italia la sola “attenzione” giudiziaria equivale a una bocciatura senza appello. Prendere la carica di amministratore delegato di una grande società significa da noi prendersi il rischio di una condanna colposa se un incidente malauguratamente accadesse. Leggo perplesso l’articolo 27 della Costituzione che dice “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva” e mi chiedo come si sia potuti arrivare a tutto questo.
Dopodiché penso ai nostri figli e mi chiedo se le risorse spese per la pandemia servano, almeno un po’, anche a loro. Mi interrogo su quanto dell’enorme debito pubblico che si va (e si andrà) accumulando col Recovery fund, che come sapete è in buona parte a debito, andrà a mance elettorali e quanto ad investimenti. Solo questi infatti danno le prospettive di solvibilità futura che Mario Draghi ha indicato essenziali nel suo ultimo intervento. Mi preoccupo perciò che possa restarne intaccato il risparmio degli italiani, che proprio il Presidente Mattarella invocò nel 2018 in occasione della formazione del Governo Conte I. E rileggo invano l’articolo 47 della Costituzione secondo cui la Repubblica “incoraggia e tutela il risparmio”.
Chiudo qui e sarete compiaciuti che vi sia stata risparmiata l’incursione sul capitolo dei DPCM, sulla compressione delle libertà fondamentali e sul silenzio del Parlamento tutto. La solitudine del Vostro affezionatissimo, amici miei, è allora quella di chi è stato lasciato solo dai difensori della Costituzione più bella del mondo, dissolti come le nostre relazioni sociali. Sarà colpa di questa maledetta pandemia. Non so, giudicate voi.
Io posso solo dirvi che un finale così, quando iniziai a lavorare e mi misero la Costituzione in mano, non me lo aspettavo proprio. Ma sono un inguaribile ottimista e penso che allora, forse, proprio dalla Costituzione si possa ripartire per trovare la luce in fondo al tunnel.
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società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.