21 Ottobre
La distruzione del sistema
Partire da una frase di Michel Houellebecq per leggere lo scenario d'Italia. Lorenzo Castellani fa un viaggio in un campo di battaglia dove non c'è lotta di classe, ma c'è una cultura cosmopolita, piena di certezze, che ha perso legittimità politica e che è al tramonto.
di Lorenzo Castellani
Scrive in Sottomissione Michel Houellebecq: "È probabilmente impossibile, per chi abbia vissuto e prosperato in un sistema sociale ereditato, immaginare il punto di vista di coloro che, non essendosi mai aspettati nulla da tale sistema, ne progettano la distruzione senza alcun timore."
Lo scrittore francese (sopra, nella foto Ansa) è solito mettere su carta senza filtri i suoi pensieri sul mondo contemporaneo, con cinismo e disperazione. Ciò ne ha fatto un intellettuale controverso, dal fascino reazionario. Questa frase, a parere di chi scrive, presenta due livelli di lettura: quello della percezione legata al come si pensano i gruppi sociali e quello della realtà cioè di come interagiscono tra loro.
Sul piano della percezione, che oggi è la dimensione più importante della politica, il romanziere francese ha perfettamente ragione. Da un lato c'è la borghesia colta, i ceti medi riflessivi, coloro che si dedicano a lavori intellettuali nei grandi centri urbani e benedicono la globalizzazione, dall'altro c'è chi conduce una vita territorializzata e pratica o ha visto andare in fumo gran parte delle proprie aspettative.
Molti si chiedono perché la maggioranza della popolazione sia diventata così ostile alla politica tradizionale, insensibile alle regole dell'economia, insofferente all'accoglienza dello straniero. C'è chi risponde che sul piano della realtà "il popolo degli abissi" sia deluso e disilluso a causa della mancanza di opportunità di lavoro, di crescita economica ed emancipazione sociale. In sostanza la lettura che viene data è che sia in corso una nuova lotta di classe dettata da istanze prevalentemente economico-sociali.
Houellebeq: "È probabilmente impossibile, per chi abbia vissuto e prosperato in un sistema sociale ereditato, immaginare il punto di vista di coloro che, non essendosi mai aspettati nulla da tale sistema, ne progettano la distruzione senza alcun timore."
Eppure questa lettura della storia recente del popolo...
di Lorenzo Castellani
Scrive in Sottomissione Michel Houellebecq: "È probabilmente impossibile, per chi abbia vissuto e prosperato in un sistema sociale ereditato, immaginare il punto di vista di coloro che, non essendosi mai aspettati nulla da tale sistema, ne progettano la distruzione senza alcun timore."
Lo scrittore francese (sopra, nella foto Ansa) è solito mettere su carta senza filtri i suoi pensieri sul mondo contemporaneo, con cinismo e disperazione. Ciò ne ha fatto un intellettuale controverso, dal fascino reazionario. Questa frase, a parere di chi scrive, presenta due livelli di lettura: quello della percezione legata al come si pensano i gruppi sociali e quello della realtà cioè di come interagiscono tra loro.
Sul piano della percezione, che oggi è la dimensione più importante della politica, il romanziere francese ha perfettamente ragione. Da un lato c'è la borghesia colta, i ceti medi riflessivi, coloro che si dedicano a lavori intellettuali nei grandi centri urbani e benedicono la globalizzazione, dall'altro c'è chi conduce una vita territorializzata e pratica o ha visto andare in fumo gran parte delle proprie aspettative.
Molti si chiedono perché la maggioranza della popolazione sia diventata così ostile alla politica tradizionale, insensibile alle regole dell'economia, insofferente all'accoglienza dello straniero. C'è chi risponde che sul piano della realtà "il popolo degli abissi" sia deluso e disilluso a causa della mancanza di opportunità di lavoro, di crescita economica ed emancipazione sociale. In sostanza la lettura che viene data è che sia in corso una nuova lotta di classe dettata da istanze prevalentemente economico-sociali.
Houellebeq: "È probabilmente impossibile, per chi abbia vissuto e prosperato in un sistema sociale ereditato, immaginare il punto di vista di coloro che, non essendosi mai aspettati nulla da tale sistema, ne progettano la distruzione senza alcun timore."
Eppure questa lettura della storia recente del popolo contro le élite non può soddisfare pienamente chi rifiuta l'adesione alle categoria marxiste.
Viviamo pur sempre l'età dell'abbondanza in cui il mondo occidentale ha vissuto, negli ultimi trent'anni, uno sviluppo economico e tecnologico senza precedenti. Che questo momento non sia interpretabile tout court come lotta di classe è evidente dal fatto che nessuno, nemmeno tra i leader populisti e nazionalisti, intenda distruggere il sistema capitalistico in cui viviamo. Pochi anche tra i supporter del sovranismo hanno aderito all'idea utopica di Serge Latouche della decrescita felice e ancor meno sarebbero disposti a rinunciare all'ultimo smartphone, al pacco di Amazon o all'abbonamento a Sky.
Nell'elettorato, infatti, non esistono pulsioni così reazionarie volte a ricostruire un piccolo mondo antico all'insegna della sobrietà e della misura, ma al contrario una delusione per la mancata soddisfazione delle aspettative che la politica aveva creato. Nessuna delle culture emergenti dalla sommossa populista contesta il consumismo capitalista, anzi ne ricerca ancora di più. E' un popolo in rivolta che vuole e pretende di più sia dallo Stato, lavoro e sicurezza, che dal privato, cioè sviluppo e incremento del risparmio. La crisi economica c'entra, certo, ma più come manifestazione delle promesse mancate e della debolezza della politica che come sommovimento di una classe verso quelle superiori. Viviamo più l'era della sfiducia che quella della rivoluzione.
Tra i leader populisti e nazionalisti non c'è nessuno che vuole distruggere il sistema capitalistico. E pochi tra i supporter del sovranismo hanno aderito all'idea utopica di Serge Latouche della decrescita felice.
Questa insoddisfazione diffusa, però, esplode tramite la "democrazia del narcisismo", per citare l'ultimo libro dello storico Giovanni Orsina, cioè dalla necessità postmoderna di puntare tutto sull'immagine di sé, sulla costruzione e ricerca dell'intrattenimento permanente, sulla perdita dei vincoli di disciplina prima forniti dalla tradizione e poi dal mercato, sull'eccitazione collettiva attraverso l'informazione relazionale di massa (i social). Una miscela che ha spinto nelle urne coloro che maggiormente sanno giocare sugli umori e i sentimenti e che riescono a cogliere il bisogno di carisma e d'autorità che esiste in una società così destrutturata. Questa è la realtà a cui si aggiunge la percezione e su di essa entrano in gioco le classi colte urbane, i cosmopoliti civilizzati. Fino a qualche anno fa l'immagine della borghesia colta italiana ed europea era piuttosto uniforme: liberale, europeista, cosmopolita, accogliente. Di questa il Presidente americano Barack Obama ha rappresentato la massima espressione e ne è stato idolo indiscusso.
Esisteva un pluralismo delle opinioni, ovviamente, ma non si palesava una vera rottura dentro i salotti televisivi e le redazioni giornalistiche. Il detto popolare per cui i politici litigassero in televisione e andassero poi a cena insieme è molto più di una battuta perché esemplifica la percezione, da parte del mondo esterno, di una classe politica unitaria e portatrice delle stesse colpe. Uno schema che, in Italia, ha funzionato benissimo per l'ascesa anti-casta del Movimento 5 Stelle.
Fino a qualche anno fa l'immagine della borghesia colta italiana ed europea era uniforme: liberale, europeista, cosmopolita, accogliente. Di questa il Presidente americano Barack Obama è stato idolo indiscusso.
A questa percezione, alimentata dai media stessi, di una politica sprecona e furtiva si è aggiunta l'idea, mai abbastanza esplorata da chi è deputato a studiare, che il sistema mediatico fosse complice e corrotto. Se si va alle origini dei movimenti anti-establishment si scoprirà presto come i media sono finiti sul banco degli imputati ben prima della politica. L'idea veicolata era quella di un'informazione parziale, a tratti falsa, i cui fili venivano tirati da burattinai misteriosi ma pur sempre legati al mondo della politica nazionale ed internazionale. In sostanza si rompeva il sistema istituzionale della verità secondo cui le fonti d'informazione più affidabili erano in realtà parte d'un gioco più grande ai danni del popolo e così la loro legittimità presso il pubblico sfumava. Alle loro dipendenze vi era il cosmopolita civilizzato, pedagogo capace d'attribuire patenti di moralità e umanità, correttore infaticabile del legno storto degli italiani, esterofilo e, a prescindere, politicamente corretto.
È attraverso questo processo che nasce il mito dei "salotti radicalchic" con cui tutti i nuovi attori della politica sono pronti a scagliarsi. Artisti, intellettuali, accademici, giornalisti che vivono al centro delle grandi città, che frequentano università, redazioni e televisioni, il cui mestiere è quello di "chiacchierare in televisione" e dare l'impressione di difendere più gli interessi dello straniero che quello degli italiani. La verbosità è il più grande rimprovero che viene fatto al cosmopolita civilizzato il quale parla perché deve ammonire, correggere, processare. Spesso, nella percezione popolare, al riparo di qualche rendita. Per questo motivo le loro copertine, i loro editoriali, i loro discorsi scivolano senza lasciare traccia sulla pelle della maggioranza degli italiani.
Qui, per concludere, bisognerebbe forse svelare un equivoco sulla borghesia italiana, le cosiddette classi medie, perché all'osservatore attento pare che questa possa essere divisa in due come una mela: da un lato l'influente cosmopolita civilizzato che per gran parte occupava il sistema mediatico e dall'altro una borghesia provinciale invisibile ma ben più corposa. Una Italia di piccoli paesi e città, di microimprese e partite IVA in difficoltà, di medie imprese esportatrici e solidi patrimoni, di negozianti e professionisti, di dipendenti pubblici e privati, che all'ombra del sistema mediatico covava il proprio risentimento verso la classe politica tutta e in particolare verso quelli che percepiva come suoi rappresentanti "culturali" e progressisti, caratterizzati da una venatura progressista e pedagogica difficilmente tollerabile.
Una Italia di piccoli paesi e città, di microimprese e partite IVA in difficoltà, di medie imprese esportatrici e solidi patrimoni, di negozianti e professionisti, di dipendenti pubblici e privati, covava il proprio risentimento verso la classe politica.
Non è una lotta di classe perché un piccolo imprenditore del nord o un agricoltore del sud hanno probabilmente un patrimonio e certezze più solide di quelle di un giornalista o di un accademico che vivono al centro di Roma, ma è assai probabile che la visione del mondo dei primi sarà ben diversa da quella dei secondi.
E mentre quella minoranza influentissima si asserraglia nelle proprie sicurezze ideologiche e compatta i ranghi per la resistenza, fuori la maggioranza silenziosa, innescata da impresari politici abili, lascia andare le briglie dei propri umori e vota i nuovi protagonisti che dicono cose che in molti pensavano ma pochi avevano il coraggio di dire apertamente.
Nell'arco di pochi anni questo popolo si è liberato progressivamente, per sfiducia, rabbia o disperazione, dagli ultimi freni inibitori. E ciò grazie anche alla casa di risonanza personalizzata dei social network.
Non esiste, dunque, una lotta di classe. C'è un forte disagio economico in alcune sacche della popolazione, specie quelle più giovani ed istruite, che rimproverano alla politica e al suo mondo di aver tradito le aspettative create e ai cosmopoliti civilizzati di aver manipolato la verità, di servire lo straniero, d'impartire lezioni dall'alto. C'è una grande insofferenza culturale nei confronti della cultura liberal, qui inteso all'americana, internazionalizzata, aperta all'accoglienza degli immigrati, europeista a prescindere, economicista. Il riduzionismo, avanzato da questo gruppo culturale, ai diritti universali e ai dati economici si sta sfaldando. Ha perso legittimità politica e viene incalzato da nuove culture, ancora poco chiare nel loro disegno, ma impregnate di nazionalismo, realismo, riscoperta dell'identità, protezione di ciò che è piccolo e locale verso ciò che è grande ed internazionale.
Non sappiamo, ancora, come questa cultura si confronterà con il progresso tecnologico, con il capitalismo globale, con il melting-pot e con la frammentazione del potere politico sovranazionale. Sono nodi fondamentali per il futuro di ogni Paese occidentale e oggi non possiamo predire si vi sarà un rallentamento, una gestione efficace dei fenomeni in atto o una corsa verso il disordine e il collasso del sistema.
Ciò che appare chiaro è che quella in corso non è una lotta tra classi, ma una lotta per l'egemonia culturale. E se siamo sicuri su quale sia la cultura al tramonto, non abbiamo ancora certezze su quella che sta nascendo.
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danni.
9. Manleva
9.1 L'Utente si impegna a manlevare e tenere indenne il Fornitore contro qualsiasi costo – inclusi gli
onorari degli
avvocati, spesa o danno addebitato al Fornitore o in cui il Fornitore dovesse comunque incorrere in
conseguenza di usi
impropri del Servizio da parte dell'Utente o per la violazione da parte di quest'ultimo di obblighi
derivanti dalla
legge ovvero dai presenti termini d'uso.
10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.