15 Marzo
La guerra economica degli Stati ai tempi del coronavirus
L'offensiva del dragone cinese, la reazione dell'Anglosfera di Trump e Johnson, il forcing della Germania, le difficoltà delle medie potenze di un'Europa indebolita. Un'indagine di Lorenzo Castellani sul ritorno del capitalismo di Stato
di Lorenzo Castellani
In Italia s’è scelta la via più dura, quella della restrizione della libertà. Un male necessario, forse, ma che rischia di sfociare in grottesche esagerazioni come il divieto di passeggiare sotto casa. Non si possono mettere 60 milioni di persone, di cui soltanto 15 mila malate, agli arresti domiciliari. Per fortuna pare che “i motori continueranno a ronzare”, perché le fabbriche e le aziende non possono e non devono essere fermate. Su questo governo e sindacati sembrano aver trovato un accordo di buon senso, dato che il sacrificio di molte partite IVA è già molto pesante. Perché è chiaro che il grande gioco del potere mondiale non si ferma mai e ciò che c’è in palio non è soltanto la sacrosanta sopravvivenza del sistema sanitario, ma dell’Italia come sistema economico e produttivo. La cappa di patriottismo distesa da governo e media mainstream difficilmente potrà occultare questa critica situazione e la necessità di vergare presto nuovi piani economici.
Cosa succede, dunque, nel resto del mondo? La Cina è tornata a produrre e vende il materiale sanitario a Roma. L’attivismo diplomatico del dragone non è mai stato così evidente e la debolezza della nostra classe politica lascia grande spazio di manovra ai suoi già numerosi referenti. Piccole compagnie di ventura di politici molli e con scarso senso della ragione di Stato sembrano ansiose di appaltar commesse e quote aziendali alla potenza orientale, oltre che a favorire una grande operazione promozionale e di maquillage per Pechino, che per quasi due mesi ha celato l’epidemia. In cambio ci saranno posti per ricche carriere post-politiche, a metà tra il business e gli apparati statali.
Il vantaggio competitivo che i cinesi possono accumulare in questi mesi su un'Europa mezza chiusa e in sofferenza è notevole. Gli spazi per l’espansione di una immaginaria via della seta tenderanno a...
di Lorenzo Castellani
In Italia s’è scelta la via più dura, quella della restrizione della libertà. Un male necessario, forse, ma che rischia di sfociare in grottesche esagerazioni come il divieto di passeggiare sotto casa. Non si possono mettere 60 milioni di persone, di cui soltanto 15 mila malate, agli arresti domiciliari. Per fortuna pare che “i motori continueranno a ronzare”, perché le fabbriche e le aziende non possono e non devono essere fermate. Su questo governo e sindacati sembrano aver trovato un accordo di buon senso, dato che il sacrificio di molte partite IVA è già molto pesante. Perché è chiaro che il grande gioco del potere mondiale non si ferma mai e ciò che c’è in palio non è soltanto la sacrosanta sopravvivenza del sistema sanitario, ma dell’Italia come sistema economico e produttivo. La cappa di patriottismo distesa da governo e media mainstream difficilmente potrà occultare questa critica situazione e la necessità di vergare presto nuovi piani economici.
Cosa succede, dunque, nel resto del mondo? La Cina è tornata a produrre e vende il materiale sanitario a Roma. L’attivismo diplomatico del dragone non è mai stato così evidente e la debolezza della nostra classe politica lascia grande spazio di manovra ai suoi già numerosi referenti. Piccole compagnie di ventura di politici molli e con scarso senso della ragione di Stato sembrano ansiose di appaltar commesse e quote aziendali alla potenza orientale, oltre che a favorire una grande operazione promozionale e di maquillage per Pechino, che per quasi due mesi ha celato l’epidemia. In cambio ci saranno posti per ricche carriere post-politiche, a metà tra il business e gli apparati statali.
Il vantaggio competitivo che i cinesi possono accumulare in questi mesi su un'Europa mezza chiusa e in sofferenza è notevole. Gli spazi per l’espansione di una immaginaria via della seta tenderanno a crescere. L’attivismo industriale e finanziario di Pechino è il segno della volontà di prendersi tutto il possibile nel vecchio Continente. Classi dirigenti sfibrate, insofferenti al controllo democratico e fautrici di un regime manageriale e tecnocratico sono pronte a lasciarsi sedurre e comperare.
L’Anglosfera fa storia a sé. Con Trump e Johnson è tornata la special relationship, nel nome del business. I due leader non chiudono nessuna attività produttiva e commerciale, almeno per ora. Sfidano la sorte, rischiano, è nella loro natura. Vivere, nella vitalità economica, e non sopravvivere, in quella sanitaria.
Per Boris Johnson, che ha appena vinto le elezioni ed è a capo di un partito che veleggia intorno al 50% dei consensi, la Brexit resta in cima alle priorità e contro l’epidemia si muoverà drasticamente soltanto in extremis. Trump (qui sopra, durante la conferenza stampa dell'altro ieri nel giardino della Casa Bianca) ha di fronte a sé il decumulo di capitale di Wall Street e le elezioni di novembre: fronteggia la pandemia all’americana, cioè convogliando finanziamenti pubblici ed iniziativa privata. Google e altre multinazionali sono al lavoro sui tamponi con i soldi del governo, mentre la Casa Bianca stanzia 50 miliardi per aumentare la copertura sanitaria. Ci saranno morti inevitabili per la morale protestante, ma la locomotiva americana continuerà a fischiare e non si fermerà per la polmonite ed i suoi morti. I due leader sassoni, inoltre, hanno rivoltato come un calzino il paradigma economico dominante: Trump continua con politiche fiscali ed investimenti in deficit, Boris Johnson (nella foto sotto) aumenterà in quattro anni la spesa pubblica di quasi 80 miliardi di sterline e porterà al 3% sul PNL gli investimenti pubblici, che saranno raddoppiati. Il nuovo conservatorismo, vincente perché fondato sulla classe media ed operaia impoverite, abbandona l’impostazione liberale per assumere una cifra maggiormente statalista e dirigista. Così cercheranno di reggere la filiera finanza-industria-lavoro-
In tale contesto, però, l’Anglosfera s’allontana dall’Europa, sempre più debole e anziana, e lascia il vecchio continente in balia delle scorribande del Dragone. Forse agli americani non è ancora ben chiaro quanta fascinazione intellettuale, politica ed economica Pechino riesce ad esercitare sulle scariche élite europee.
Lo stesso sentiero economico è stato imboccato anche dai tedeschi, che sembrano voler rilanciare di fronte alla crisi epidemica. Un piano di eventuali nazionalizzazioni e almeno 550 miliardi d’intervento pubblico è stato annunciato per scavalcare il binomio virus-stagnazione economica. Dopo mesi d’indugi di fronte alle pressioni dei mercati, il governo tedesco sembra aver ceduto sulla via del nuovo, pragmatico, interventismo. Vedremo se davvero Berlino darà luogo ad un rovescio di tale portata, ma è evidente che la Germania abbia colto l’occasione per uscire dalla crisi più forte e competitiva di prima rispetto agli altri paesi europei e per ammortizzare l’effetto della guerra dei dazi in cui è incorsa negli ultimi due anni. Secondo lo storico Giulio Sapelli, combinato alle rigidità delle politiche della BCE viste in questi giorni, un intervento di tale portata potrebbe essere l’assicurazione tedesca di fronte ad un possibile collasso dell’euro nel prossimo futuro. Collasso che sarebbe, di fatto, incentivato dalla Germania stessa.
Le altre piccole e medie potenze, infatti, non se la passano bene. L’Italia è con l’acqua alla gola per i pregressi mali economici e per l’attuale tragedia sanitaria, Macron ha dimostrato di avere tempi di reazioni lenti alle crisi (è già successo con i gilet gialli e la riforma delle pension) seppur si è rivelato solerte nell’adottare in extremis soluzione gollista (con Stato e apparati di sicurezza in campo), la Spagna si avvia sulla china degli italiani nella penosa resistenza al virus. In questo scenario, Berlino può prendere in mano la situazione, rilanciare ed accelerare per consolidare la propria egemonia continentale.
Il coronavirus per molti aspetti sembra la tempesta perfetta per un nuovo protagonismo dello Stato: sia per accontentare i mercati che chiedevano un fiscal stimulus da mesi sia per soddisfare le richieste dell’elettorato sia per far uscire dal guado paesi intrappolati nella bassa o nulla crescita.
Chi non sembra seguire, per ora, questa rotta è la BCE guidata da Christine Lagarde (nella foto qui sopra). Al netto della inavvertita sortita mediatica che ha contribuito ad affondare le borse europee, la banca centrale sembra voler mantenere un atteggiamento prudente sui tassi anche rispetto alle istituzioni sorelle, come la FED e la banca centrale giapponese. Atteggiamento che rende più difficile il coordinamento tra moneta e volontà di dar corso a politiche tanto espansive come quelle annunciate. Vedremo se nelle prossime settimane, con la probabile espansione dell’epidemia a tutta Europa, l’indirizzo di Francoforte cambierà. Tuttavia, come ha scritto Ashoka Mody, economista di Princeton, commentando la crescita dello spread sui titoli di stato italiani a seguito dell’inazione della Lagarde: “se si ha intenzione di aiutare uno Stato in difficoltà finanziaria, non ci si deve trattenere. Le mezze misure peggiorano le cose. Perché gli investitori non sono rassicurati da un impegno a lungo termine e preferiranno uscire (cioè vendere) mentre le cose vanno bene. Questo è un perenne problema della BCE”. Sulla stessa linea il collega Olivier Blanchard, il quale ha invocato l’intrapresa di un programma OMT, volto a comprare massicciamente bond italiani e tenere bassi i tassi d’interesse in cambio di una espansione del bilancio per fronteggiare la crisi e di un impegno a continuare nella politica di contenimento del deficit una volta superata l’emergenza sanitaria ed economica. Ancora Sapelli ha scritto “Occorreva – invece – dare un chiaro messaggio per un ampliamento delle garanzie di credito, cosicché le banche possano prendere in prestito più liquidità grazie alle lettere di credito per le imprese. Si può e si deve, per esempio, sterilizzare i titoli di Stato detenuti dalle banche centrali nazionali tramite la Bce, liberando in tal modo risorse di credito alle imprese nei singoli Stati.” La lentezza nell’agire, molto costosa ai tempi della crisi del 2008, non è una novità per la BCE che tende a prediligere un approccio moderato, ai limiti della negligenza. C’è da sperare che questa volta i ritardi della Lagarde abbiano effetti meno nefasti rispetto a quelli di Jean-Claude Trichet.
In ogni caso, deve essere chiaro che in questa dinamica tutta la scena politica europea tenderà ad una ri-nazionalizzazione, attraverso un maggior controllo dei confini e la crescita dell’investimento pubblico, e che le nazioni “meno nazioni di altre”, come l’Italia, rischieranno di esser mangiate da quelle che hanno un élite più coesa, uno Stato più solido, sia nei conti che nell’esecuzione, e piani d’espansione geopolitica ben delineati.
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l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
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pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
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suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.