11 Marzo

La magia di Praga e Bratislava

Il settimo e ottavo posto nella classifica delle economie regionali d'Europa è il frutto di creatività, innovazione e disciplina di tradizione asburgica. Reinventarsi dopo il 1989, separarsi senza traumi. Un viaggio di Marco Patricelli nella terra di una rinascita prima di tutto culturale

di Marco Patricelli

I tempi dei gemelli Ruggeri che in chiave comica e tristanzuola raccontavano negli Anni ’80 dell’immaginaria Croda, in una reale Mitteleuropa al di là del Muro di Berlino, sembrano preistoria. Le tossine economiche e sociali inoculate dal comunismo nell’ex Cecoslovacchia sono state espulse come si fosse trattato di un male inevitabile, come le malattie infettive. Oggi, trent’anni dopo, Repubblica Ceca e Slovacchia veleggiano nelle alte sfere della crescita europea, e può stupirsene solo chi soffriva (e continua a soffrire) di presbiopia domestica e miopia continentale.

Nella classifica dei Pil regionali dell’Ue (dati 2017), guidata dall’inarrivabile Londra centrale-ovest (626 per cento del Pil pro capite comunitario), settimo e ottavo posto sono delle regioni di Praga (187) e Bratislava (179). Nella graduatoria delle venti regioni più ricche stilata da Eurostat non c’è neppure l’opulenta Lombardia (128). Praga e Bratislava fanno meglio dell’Alta Baviera (177) e dell’Île-de-France (177); Varsavia strappa un lusinghiero diciannovesimo posto (151), di un’incollatura su Salisburgo. Praga, quindi, va meglio di metà Italia. D’accordo, si tratta di una capitale, ma anche della punta di diamante di un sistema che è culturale prima ancora che economico: caratteri nazionali, contaminati dall’efficientismo asburgico, dall’orgoglio di appartenenza, da una storia plurisecolare come regno e appena centenaria come repubblica. I meno distratti ricorderanno che al momento del crollo del sistema comunista, i cecoslovacchi si rimboccarono le maniche per recuperare il tempo perduto, invece di riversarsi in massa nella ricca Europa. Hanno reinvestito su loro stessi e sulle potenzialità della loro nazione, nonostante le privatizzazioni selvagge post-comuniste si fossero rivelate velleitarie, avventuriste e persino pilotate dalla nomenklatura che si aggiudicò in men che non si dica i bocconi più ghiotti e riversò sul mercato in embrione industrie decotte. Eppure, nonostante tutte le difficoltà di svezzamento e la gracilità di crescita, la democrazia tenuta a battesimo...


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