13 Novembre

La minoranza di una politica delle minoranze

Identity Politics. Pensando di tutelare e includere, si finisce per dividere e diventare speculari agli avversari che si contestano. Un viaggio di Lorenzo Castellani nel paesaggio del pensiero politicamente corretto. Convincono i leader che hanno una storia che prescinde dall'appartenenza a una minoranza

di Lorenzo Castellani

Identity politics è l'espressione utilizzata dall'intellighenzia liberal per identificare una offerta politica basata sulla protezione delle identità culturale e nazionali. Tra i portatori della identity politics vengono identificati politici come Donald Trump, Matteo Salvini, Marine LePen e, più in generale, il messaggio dei movimenti nazional-populisti che stanno guadagnando terreno in tutte le democrazie occidentali. La politica dell'identità è rigettata dalla cultura progressista che si rifiuta di comprendere o, quantomeno, di accettare quelle offerte politiche che mirano a proteggere la cultura e i cittadini delle nazioni europee ed anglo-americane dal cosmopolitismo, dalla globalizzazione, dalle ondate migratorie. Per il demi monde della sinistra liberal ciò significa volere porre un freno al progresso, remare contro la storia, avversare le minoranze etniche e sociali. In altre parole discriminare e fomentare le differenze.

Di recente di questa offensiva politicamente corretta, oramai ossessionata dalla identity politics, sono state vittime due dei maggiori intellettuali conservatori contemporanei: lo storico Niall Ferguson ed il filosofo Roger Scruton. Entrambi accusati, senza andare troppo per il sottile, di sessismo, islamofobia e più in generale di lesa maestà verso la neo-lingua politicamente corretta. Quando parlano dei "non allineati" alla cultura progressista la libertà d'espressione passa in secondo piano, la polizia del pensiero prende il sopravvento. Eppure un grande paradosso si annida nel comportamento della cultura di sinistra.

Nelle ultime settimane, con le elezioni di Midterm negli Stati Uniti, sulle pagine dei giornali mainstream imperversavano i ritratti della nuova stirpe di candidati liberal: giovani, donne, omosessuali, appartenenti a minoranze etniche. Alcuni hanno perso, nonostante il fund raising faraonico e il pompaggio mediatico, e altri sono passati alla Camera o al Senato conquistando seggi importanti. Al di là dei risultati, però, ciò che appare singolare è il rapporto tra le redazioni progressiste e la identity politics. Non è forse...


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