5 Marzo
La parabola di Renzi-Schulz
Renzi si dimette dopo. Si chiude nel bunker, isola quel che resta del partito e si prepara a condizionare l'avvio della legislatura con i suoi no. Il finale? Sarà come quello della Spd in Germania.
La più grande sconfitta elettorale subita da una formazione politica che ha le sue radici negli albori Novecento è stata liquidata come un problema personale, un voto contrario a un referendum, un vade retro esposto contro l'augusta persona, un fattaccio che si risolve con le dimissioni poi.
Il massimo dell'elaborazione politica di Matteo Renzi ieri sera è stata la citazione su Scandicci e il problema del collegio di Pesaro. Tutta la sua cifra stilistica è emersa con un bagliore accecante la sera del 5 marzo 2018. Renzi se ne va, ma in realtà resta a tempo indefinito per sbrigare non gli affari correnti ma quelli che contano (consultazioni, nuovo governo quando ci sarà), saldare tutte le giunture che si sono spaccate con il risultato del voto, fare (ri)finta di andarsene e poi (ri)scalare un partito dove controlla quasi tutti gli eletti grazie alla notte della mattanza delle candidature, fatto di cui oggi appaiono chiari gli obiettivi a scoppio ritardato.
"Niente caminetti. Niente inciuci". Questa è la profonda riflessione del segretario del Pd di fronte a una sconfitta che prima di tutto è sua. Caminetti e inciuci. A Renzi sfuggono evidentemente un paio di cose che ha fatto nel recente passato e nel presente. Il caminetto era quello di Bersani e D'Alema, i quali hanno lasciato il partito per mettere in piedi un residuato bellico, dunque non c'è alcun caminetto, se non quello continuamente acceso nell'immaginario pre-bellicoso di Renzi. L'inciucio in realtà è quello che Renzi e Berlusconi avevano in mente fin dall'inizio di questa storia, ma la Lega e i Cinque Stelle lo hanno reso impossibile, i due partiti non hanno i seggi per fare alcun governo e Renzi è di fronte a un'altra realtà: il gioco istituzionale lo conducono Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Chi ha i voti.
Avevano legato i propri destini, Renzi e Berlusconi. Simul...
La più grande sconfitta elettorale subita da una formazione politica che ha le sue radici negli albori Novecento è stata liquidata come un problema personale, un voto contrario a un referendum, un vade retro esposto contro l'augusta persona, un fattaccio che si risolve con le dimissioni poi.
Il massimo dell'elaborazione politica di Matteo Renzi ieri sera è stata la citazione su Scandicci e il problema del collegio di Pesaro. Tutta la sua cifra stilistica è emersa con un bagliore accecante la sera del 5 marzo 2018. Renzi se ne va, ma in realtà resta a tempo indefinito per sbrigare non gli affari correnti ma quelli che contano (consultazioni, nuovo governo quando ci sarà), saldare tutte le giunture che si sono spaccate con il risultato del voto, fare (ri)finta di andarsene e poi (ri)scalare un partito dove controlla quasi tutti gli eletti grazie alla notte della mattanza delle candidature, fatto di cui oggi appaiono chiari gli obiettivi a scoppio ritardato.
"Niente caminetti. Niente inciuci". Questa è la profonda riflessione del segretario del Pd di fronte a una sconfitta che prima di tutto è sua. Caminetti e inciuci. A Renzi sfuggono evidentemente un paio di cose che ha fatto nel recente passato e nel presente. Il caminetto era quello di Bersani e D'Alema, i quali hanno lasciato il partito per mettere in piedi un residuato bellico, dunque non c'è alcun caminetto, se non quello continuamente acceso nell'immaginario pre-bellicoso di Renzi. L'inciucio in realtà è quello che Renzi e Berlusconi avevano in mente fin dall'inizio di questa storia, ma la Lega e i Cinque Stelle lo hanno reso impossibile, i due partiti non hanno i seggi per fare alcun governo e Renzi è di fronte a un'altra realtà: il gioco istituzionale lo conducono Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Chi ha i voti.
Avevano legato i propri destini, Renzi e Berlusconi. Simul stabunt, simul cadent. Finale di partita, cambia tutto. Si chiama democrazia.
Il piano di resistenza (c)attiva di Renzi non è quello di un Re Sole, ma di un Re Solo e per gli arcinemici anche Sòla. Renzi è nel bunker. Ha preso in ostaggio tutto il partito. Siamo di fronte a una scena da Shining, tutti dentro l'albergo di Matteo e il mattino ha l'oro in bocca. La mossa di una fuga dalla realtà, una deviazione psicologica dettata dalla solitudine del potere che svanisce di colpo, puf! Il dissidio interiore risolto in un'affermazione puerile, il Lego è mio e lo distruggo io. Quella di Renzi è tragica mossa che rischia di sfasciare quel poco che resta del Partito democratico.
Un segretario che ha sulle spalle una sconfitta titanica, intriso di rancore per i suoi nemici interni (che lui ha regolarmente eliminato, uno a uno), con una presenza ormai poco più che regionale nel Paese (quella che vedete qui è la mappa di YouTrend dei collegi della Camera, in rosso il Pd) decide di restare al vertice del partito per gestire la fase più delicata della legislatura, la sua partenza.
Renzi resta e si prepara a salire al Quirinale e dire - dopo un risultato elettorale complessivo di totale incertezza, di cui il crollo del suo partito è parte fondamentale - che lui se ne va all'opposizione e tanti saluti e chi se ne importa del destino dell'Italia e figuriamoci degli italiani. La vita non funziona così. Lo sanno bene gli italiani che tutte le mattine si alzano e fanno il loro dovere. Piacerebbe a tutti guardare la realtà, sbadigliare e tornare a dormire.
Renzi ricorda il giovin signore del Parini che inizia la sua giornata:
Ed ecco in un baleno
I tuoi valetti a’ cenni tuoi star pronti.
Già ferve il gran lavoro.
Nel suo discorso da dimissioni dopo Renzi riesce ad attaccare due persone che dovrebbe ringraziare, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Il Renzi 1 che si pensa(va) vincente racconta(va) in giro: "Li ho scelti io". Il Renzi 2 che ieri (non) s'è visto sconfitto ma resta inesorabilmente nel suo animo un vincente di (in)successo si è dimenticato subito di aver scelto lui Mattarella e Gentiloni per sferrare ai medesimi una pugnalata in due passaggi sulfurei. Il primo è quando afferma:
Noi abbiamo compiuto errori: il principale è stato non capire che è stato un errore non votare in una delle due finestre del 2017 in cui si sarebbe potuta imporre una campagna sull'agenda europea.
Fu Mattarella a impedire il disegno di Renzi di disarcionare Gentiloni in anticipo. Continua Renzi:
L'altro errore è stato essere stati in campagna elettorale fin troppo tecnici, non abbiamo mostrato l'anima delle cose fatte e da fare.
Stilettata a Gentiloni e al suo governo. Il premier, secondo quanto riporta Repubblica, pare abbia commentato: "Sono sconvolto, mi ha dato dell'inciucista". Come dicono a Roma, Sor Paolo, sconvolto de che? Renzi ha in magazzino tonnellate di cinismo politico (quindi umano troppo umano, Nietzsche), resta quello dello stai sereno Enrico. E anche tutti gli altri che gli passano accanto come comparse. Avanti un altro. Io resto.
Renzi nel suo discorso post-crac non elenca i suoi errori, riesce a mettere insieme referendum e legge elettorale (triplo salto mortale istituzionale senza rete), anzi snocciola i suoi pregi. Il titolare di List ieri ha assistito a tutto questo in diretta al Tg3. Clima surreale.
Siamo di fronte a un comportamento infantile. La politica prevede più opzioni, la necessità di accordarsi (se serve) e il dovere di inseguire un interesse superiore, quello dell'Italia non di Rignano. Le dichiarazioni di Renzi dopo il voto sono quanto di più lontano da tutto questo. Il suo "mi dimetto ma dopo" passerà alla storia. In negativo.
Tutti hanno visto che né destra né sinistra hanno la maggioranza, tutti sanno che anche il Movimento 5Stelle non può formare un governo da solo, tutti capiscono che c'è la necessità nelle prossime settimane di dare un esecutivo al Paese e non finire nella spirale dello stallo istituzionale e infine in una crisi che condurrebbe a nuove elezioni. Tutti sanno che con un simile esito il prossimo voto sarà un 40 per cento per i grillini e chissà quanto a Salvini. Il finale di questa rumba sarebbe uno soltanto: un governo monocolore 5Stelle. Lo capiscono tutti. Tutti tranne Renzi.
Tra i tutti che hanno capito ci sono gli esponenti del Pd che vedono le macerie fumanti intorno al partito, un cumulo di rovine paragonabile solo a quello del crollo del Muro di Berlino. La stagione dei "buchi nelle bandiere", per intenderci. Renzi resta, si tiene strette le macerie, le abbraccia, le coccola, siete mie, restate con me. È una tragedia politica. E come in ogni tragedia, s'odono le voci da lontano ammonire e predire il nefasto.
Dice Luigi Zanda:
La decisione di Matteo Renzi di dimettersi e contemporaneamente rinviare la data delle dimissioni non è comprensibile. Serve solo a prendere ancora tempo. Le dimissioni di un leader sono una cosa seria, o si danno o non si danno. E quando si decide di darle, si danno senza manovre. In un momento in cui al Pd servirebbe il massimo di quella collegialità che è l'esatto opposto dei cosiddetti caminetti, annunciare le dimissioni e insieme rinviarne l'operatività per continuare a gestire il partito e i passaggi istituzionali delle prossime settimane è impossibile da spiegare. Quando Veltroni e Bersani si sono dimessi lo hanno fatto e basta. Un minuto dopo non erano più segretari.
Sono le dichiarazioni di un uomo prudente, un esponente che conta per le sue relazioni (la vicinanza a Mattarella, a Franceschini, al premier Paolo Gentiloni), mai sopra le righe, pronto a essere duro, ma sempre con il tratto del garbo istituzionale. Se Zanda parla, vuol dire che nel partito si è già formata una corrente di pensiero che non solo chiede ma ritiene necessarie e urgenti le dimissioni del segretario affinché si possa trovare un nuovo inizio del e nel partito fin dalla delicatissima fase delle consultazioni con il Presidente Sergio Mattarella.
Zanda non è solo, ma ben accompagnato. Un'altra figura sempre attenta alla tessitura istituzionale, Anna Finocchiaro, dichiara:
Penso che annunciare le dimissioni, e non darle, dopo avere subito una sconfitta di queste dimensioni sia vistosamente in contrasto con il senso di responsabilità, di lealtà e di chiarezza dovuti al partito ai suoi militanti ai suoi elettori.
Zanda e Finocchiaro sono sempre stati il collegamento del Pd con il Quirinale. Il neo senatore Renzi non ha ancora ben compreso che il gioco non riguarda più la sua aurea figura, ma il destino del Paese.
Subito dopo la convocazione delle Camere, il 23 marzo, il Parlamento eleggerà i presidenti di Senato e Camera, seconda e terza carica dello Stato. Renzi ancora segretario significa che avrà peso, parola e voti anche su questo passaggio ad alto voltaggio. Da quel voto dipenderanno i destini del futuro (non) governo. Le consultazioni subito dopo saranno la certificazione di un accordo già avanzato o un disaccordo permanente.
Renzi ricorda la parabola di Martin Schulz, leader della Spd. Il capo dei socialdemocratici tedeschi subito dopo aver subito la sconfitta più grande dal dopoguerra dichiarò: "Andiamo all'opposizione. Non temiamo le elezioni". Vaste programme. Fu convocato dal presidente della Repubblica della Germania, Frank-Walter Steinmeier, che lo riportò sulla terra con un discorsetto da nibelungo: siamo la Germania, non il tuo condominio di sognatori, se andiamo di nuovo a votare la destra di AFD fa il pieno, Macron prende le redini dell'Europa, c'è la Brexit e per noi tedeschi vale 50 miliardi di euro di surplus e dobbiamo avere un governo in sella.
Conclusione: Martin improvvisamente ci ripensa e dice, va bene vado a trattare con Angela Merkel. Egli, gaudente come pochi, si ritaglia anche un posticino nel governo, niente meno che ministro degli Esteri, un incarico in cui si viaggia molto e si fanno tante belle dichiarazioni di principio. I suoi compagni di partito a un certo punto osservano il Martin Pescatore di incarichi e con l'indice gli indicano la porta di servizio: caro Martin, esci, vai a casa. Schulz lascia, gli iscritti votano, e il via libera al governo di Grosse Koalition arriva dagli iscritti, non dagli eletti. Nell'interesse della Germania, non del signor Schulz.
Renzi-Schulz è destinato a fare la stessa fine. Achtung.
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contenuti è espressamente vietata.
8.3 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
9. Manleva
9.1 L'Utente si impegna a manlevare e tenere indenne il Fornitore contro qualsiasi costo – inclusi gli
onorari degli
avvocati, spesa o danno addebitato al Fornitore o in cui il Fornitore dovesse comunque incorrere in
conseguenza di usi
impropri del Servizio da parte dell'Utente o per la violazione da parte di quest'ultimo di obblighi
derivanti dalla
legge ovvero dai presenti termini d'uso.
10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.