22 Agosto
La pazza idea di isolare un'isola
Il panico da coronavirus fa balenare l'ipotesi di chiudere la Sardegna. L'isola era Covid free, ora per il governo diventa "sorvegliata speciale". I casi sono da importazione, la Regione aveva chiesto i controlli preventivi. Test a Fiumicino e Civitavecchia. Storia di un'estate che non è estate. America 2020: Luce, tenebre e l'ombra di Trump
Che succede? Niente. Il nostro paese è impaludato. Nelle ultime 72 ore il dibattito in Italia è stato il seguente: non riapriamo la scuola e rinviamo le elezioni. No, stiamo scherzando, parlavamo degli altri (questo è lo "scienziato" della compagnia, il Ricciardi); tranquilli, la scuola riaprirà (Speranza, Roberto, ministro della Salute), ma se non riapre è colpa dei sindacati (Azzolina, Lucia, ministra dell'Istruzione). E poi... chiudiamo la Sardegna! Sì, c'è anche questo nello stupidario dell'estate che non è estate: la pazza idea di isolare un'isola. Siamo ai colpi di testa provocati dai colpi di sole. Via l'ancora del gozzo (lo yacht è per gli armatori ricchi, qui siamo pescatori poveri), andiamo in mare aperto, seguite il titolare di List.
01
Il contagio e la caccia all'untore
Il contagio va a mille e mamma mia in che condizioni siamo, signora mia. Peccato che si dimentichi sempre di fare il raffronto con il passato delle terapie intensive e dei morti, serve il panico per una bella distrazione di massa dal settembre della crisi economica. Tranquilli, il panico ci sarà.
E gli untori ora pare siano improvvisamente in Sardegna, dunque chiudiamo l'isola! C'è il focolaio al Billionaire, signora mia, che per noi non è neppure Sardegna, è roba per "continentali" che transumano da quelle parti, un non-luogo come altri che hanno edificato nel disprezzo della cultura e della storia. Siamo alla replica del "sequestratore sardo" sulle prime pagine dei giornali, il peccato originale, il dettaglio etnico sputato dalla rotativa. Ci parlano di razzismo, i damerini, e loro ne sono la più brillante espressione. Quest'ultimo capitolo richiede una replica per "fatto personale" del titolare. A quelli con la fronte inutilmente spaziosa: da queste parti non c'era un solo contagio finché non c'è stata la prima calata dei lombardi, quando vi fu la fuga di...
Che succede? Niente. Il nostro paese è impaludato. Nelle ultime 72 ore il dibattito in Italia è stato il seguente: non riapriamo la scuola e rinviamo le elezioni. No, stiamo scherzando, parlavamo degli altri (questo è lo "scienziato" della compagnia, il Ricciardi); tranquilli, la scuola riaprirà (Speranza, Roberto, ministro della Salute), ma se non riapre è colpa dei sindacati (Azzolina, Lucia, ministra dell'Istruzione). E poi... chiudiamo la Sardegna! Sì, c'è anche questo nello stupidario dell'estate che non è estate: la pazza idea di isolare un'isola. Siamo ai colpi di testa provocati dai colpi di sole. Via l'ancora del gozzo (lo yacht è per gli armatori ricchi, qui siamo pescatori poveri), andiamo in mare aperto, seguite il titolare di List.
01
Il contagio e la caccia all'untore
Il contagio va a mille e mamma mia in che condizioni siamo, signora mia. Peccato che si dimentichi sempre di fare il raffronto con il passato delle terapie intensive e dei morti, serve il panico per una bella distrazione di massa dal settembre della crisi economica. Tranquilli, il panico ci sarà.
E gli untori ora pare siano improvvisamente in Sardegna, dunque chiudiamo l'isola! C'è il focolaio al Billionaire, signora mia, che per noi non è neppure Sardegna, è roba per "continentali" che transumano da quelle parti, un non-luogo come altri che hanno edificato nel disprezzo della cultura e della storia. Siamo alla replica del "sequestratore sardo" sulle prime pagine dei giornali, il peccato originale, il dettaglio etnico sputato dalla rotativa. Ci parlano di razzismo, i damerini, e loro ne sono la più brillante espressione. Quest'ultimo capitolo richiede una replica per "fatto personale" del titolare. A quelli con la fronte inutilmente spaziosa: da queste parti non c'era un solo contagio finché non c'è stata la prima calata dei lombardi, quando vi fu la fuga di notizie sul lockdown della Regione Lombardia e poi dell'intera nazione. Ne paghiamo le brillanti conseguenze. Da Covid free a "sorvegliata speciale" (questo scrivono). E tutti i casi sono di importazione.
Era stato proposto mesi fa dalla Regione Sardegna un "passaporto sanitario", misura precauzionale più che ragionevole (come poi s'è visto e s'è fatto per altri paesi - controllo all'arrivo o certificato - e non ci voleva un genio, ma il politicamente corretto è un evidente disturbo mentale contemporaneo da studiare) e naturalmente la cosa fu guardata con orrore dagli intelligenti a prescindere, era un affronto alle anime belle, al candore di quelli che strillano in nome non si sa bene di quale ideale (di solito coincide con il loro portafoglio), sono quelli dritti che criticano i consumi perché hanno già consumato.
Così stamattina sul catenaccio del titolo d'apertura della prima pagina del Corriere della Sera ammiriamo un "caso Sardegna". Istruttivo, e di grazia, che caso sarebbe?
La risposta la troviamo sul Messaggero, sempre nel sommario del titolo d'apertura della prima pagina:
Una "bomba virale". E cribbio "ipotesi quarantena per chi arriva dall'isola". La cosa si fa sempre più interessante, andiamo a vedere l'ultimo bollettino della Protezione civile:
Dove sarebbe la "bomba virale"? L'incremento dei casi totali in Sardegna rispetto al 20 agosto è di 42 (contro i 137 del Lazio, giusto per fare un esempio). Nessun ricoverato in terapia intensiva, ze-ro, 13 ricoverati in tutto con sintomi, 200 in isolamento domiciliare, 213 positivi totali, 134 morti fino a ieri dall'inizio dell'epidemia su 1.609 casi totali. I tamponi effettuati sono oltre 122 mila. Siamo di fronte a casi da importazione, basta andare a guardarsi qualsiasi dato retrospettivo. Il fatto è che stamattina la Regione Lazio comunica che "a Civitavecchia da ieri sera attivo anche il drive-in al porto (piazzale della Pace). I viaggiatori di rientro da Grecia, Spagna, Croazia, Malta e Sardegna possono recarsi in ognuno dei drive-in regionali presenti sul territorio per effettuare il test". Dunque, siamo come terra straniera.
Fanno i test all'arrivo nel Lazio? Benissimo. Pensano alla quarantena per chi torna dalle vacanze nell'isola? Bene, e cosa facciamo con i casi degli altre Regioni, ben più consistenti? Perché le persone si muovono ovunque, non solo da e per la Sardegna. Torniamo alla gioia di un bel lockdwon nazionale e alla carestia per i prossimi dieci anni? Più quarantene per tutti? Si chiedano, alla Regione Lazio, come mai ci sono dei positivi, troveranno la risposta guardandosi allo specchio.
Il presidente della Regione Sardegna, Christian Solinas, ha ricordato agli smemorati quel passaggio di mesi fa in cui fu negata la logica in nome dell'ideologia: "Se il governo avesse accolto il modello che avevo proposto già mesi fa per accompagnare l'ingresso sull'isola di ciascun passeggero con un certificato che attestasse l'esito negativo del tampone, oggi non ci sarebbe la recrudescenza del virus. Tutti mi vennero contro, contestando l'incostituzionalità, l'impossibilità o la scarsa attendibilità della mia proposta, salvo poi riproporla oggi con colpevole ritardo per tutta l'Italia". Così "ha prevalso la linea del governo e di alcune regioni di una riapertura senza controlli. Se poi vogliamo analizzare i numeri, i presunti contagi in discoteca sono una minima parte rispetto al complesso dei positivi. Abbiamo una ventina di clandestini algerini che non vengono rimpatriati e scappano dai centri d'accoglienza; abbiamo turisti spagnoli, croati e francesi che sono potuti entrare senza controlli grazie alle precedenti scelte del governo". In questa storia c'è più di qualcosa che non va. Sarà il caldo. Viviamo tempi interessanti. Forse troppo.
Intanto, abbiamo qui i nuovi mostri, sono uno spettacolo.
02
I nuovi mostri
Chi sono? Rapido identikit, li becchi subito.
Lui: camicia di lino, aperitivo con l'ombrellino da sfigato che si crede Frank Sinatra a Honolulu durante la Guerra nel Pacifico, barba da intellettuale che soffre ma soprattutto s'offre, vive di espedienti inconfessabili, eredità già dissipata o soldi della moglie che lo tiene al guinzaglio, non ha neppure il genio del gaglioffo, ci prova con tutte e lo sfanculano tutte, si fa le canne per fare quello social e ggiovane, non regge l'alcol e alla seconda Ichnusa non filtrata parla come un colonnello dell'esercito texano, alla terza è sotto il tavolo, pubblica sulla sua pagina Facebook foto delle sue imprese acquatiche, è un pre-destinato all'annegamento.
Lei: non cammina, incede come Wanda Osiris, calza infradito con i ninnoli d'argento che fanno lo scampanellìo di un cane da riporto, dieta e palestra fissa, ha idee politiche nette (di sinistra per il matrimonio e di destra per il patrimonio), Porsche 'che bisogna mostrare i cavalli, espone tette ripiene sullo scaffale di Instagram, scende in spiaggia come una iena in pareo, la mattina si rivela in tutto il suo struccato splendore, la sera è in cerca d'avventura, la trova, scopre le virtù dell'ambiente agro-pastorale, torna nella metropoli e molla l'inetto di cui sopra.
Siamo invasi dai nuovi (e vecchi) "mostri".
Dino Risi nel 1963 girò un film in 20 episodi intitolato "I mostri", molti di voi lo ricorderanno, chi non l'ha mai visto, provveda, è un breviario sull'italiano medio. I principali protagonisti erano Ugo Tognazzi e Vittorio Gassman, il film è la biografia grondante di sugo e stoviglie consumate della Roma dei primi Anni Settanta, un mostrificio. Si è esteso a tutta l'Italia, questo laboratorio, i social hanno moltiplicato la specie aliena, l'ignoranza ha fatto il resto.
Nell'episodio intitolato "Come un padre", Lando Buzzanca nella parte di un marito cornificato chiede consolazione al suo migliore amico (Stefano, interpretato da Tognazzi), gli confida il suo stato di cervo a primavera (e anche in autunno, estate e inverno), riceve la rituale consolazione e caro, vai a casa, non ti preoccupare. La moglie è nell'altra stanza, nel letto del suo migliore amico. In "Che vitaccia", Vittorio Gassman è il baraccato romano che si lamenta della sua miseria, non ha i soldi per curare il figlio malato. Appena esce dal suo tugurio, spende i soldi allo stadio per tifare la Roma. Ne "I due orfanelli", due mendicanti chiedono l'elemosina davanti a una chiesa. Uno dei due (Gassman) sfrutta la cecità dell'altro, un chirurgo si offre per ridargli la vista, Gassman evita accuramente che guarisca. Nel quadretto educativo de "La Musa" sempre lui, uno strepitoso Gassman, interpreta il ruolo femminile della presidentessa di un premio letterario. Si fa in quattro per assegnare il premio a un autore che scrive come un cane. È il suo amante. Tre su venti bastano e avanzano.
Questo mostrificio è ancora in servizio permanente effettivo, è in spiaggia.
Nell'era del coronavirus c'è chi invoca il lockdown per gli "untori sardi", le quarantene e ogni provvedimento di clausura possibile. I sardi, cielo, che flagello. Peccato che il virus l'abbiano portato qui "i turisti", non quelli che viaggiano, ma "i turisti", questi alieni che sbarcano come sciami di cavallette, non i viaggiatori che amano e rispettano la Sardegna. Quando pensi di aver toccato il fondo, allora è il momento in cui qualcuno inizia a scavare. Anno 2014, il Foglio in agosto mi chiese un pezzo sulle "vacanze" nel posto che per il vostro cronista è l'Isola Sacra. Sono trascorsi sei anni, la situazione è perfino peggiorata, il coronavirus ha mostrato la stupidità nelle sue infinite forme, siamo passati oltre l'ottusa caccia al "folklore", ma resta quel sottofondo di ignoranza e arroganza, l'intuizione del titanico Fabrizio De André, messa in rima e in musica nell'album de "L'indiano" (sotto, la copertina del long playing, che parola antica, ricca di aromi del passato), l'arrivo dell'uomo bianco che incontra "i nativi", lo sfregio dell'identità che per noi è un'offesa grave, infinita, dolorosa, una cosa a cui ribellarsi con la forza di ogni atomo.
Rubano la sabbia, italiani, stranieri, 150 chili sequestrati negli aeroporti sardi negli ultimi giorni. Non ci credete? Foto Ansa dalla regia, qui sotto:
Quei chicchi di quarzo che vedete ci mettono secoli a diventare così, sono insostituibili, non si fabbricano da qualche parte nel mondo, non ordini via Amazon la ripascitura di una spiaggia come Is Arutas, Maimoni e molte altre che splendono per chilometri e chilometri con un bagliore che lascia senza fiato. Il lockdown ci ha reso migliori? Come diceva Totò "ma mi faccia il piacere". In questi casi, c'è un solo rimedio efficace: "Sardegna Libre".
03
Sardegna Libre
Lo hai cotto sottoterra? Il maiale arrosto è stato appena servito in tavola, la domanda del “turista” sbarca a casa tua con un amico e una coppia di “continentali” appena scesi da un trenta metri nero come il carbone. Albero rigorosamente di titanio. Hai cucinato per loro, è la sera del 14 agosto, sei in Sardegna, sei sardo, sei in vacanza, ma il cliché è in agguato dietro, davanti, sopra e sotto. Inesorabile come una doppietta nascosta dietro il muretto a secco.
Hai voglia tu, di dire che l’isola è un’avventura fatta di silenzio, quando il tuo commensale è arciconvinto che tutti i sardi a Ferragosto siano intenti a cucinare un maiale sottoterra. Dio, scavare una buca, accendere un fuoco, infilarci la carne e poi tirarla fuori quattro ore dopo, quando si presume sia cotta, ma forse l’hai bruciata. Ve li immaginate un milione e fischia di sardi impegnati in questa comodissima operazione culinaria? Lui sì: “Allora, come si fa il porceddu sottoterra?”. Sei al secondo mirto, l’ora del filuferru è ancora lontana, l’acquavite arriverà, ma il desiderio di infilzare quella sagoma con lo spiedo stillante di grasso cresce. Sorridi, ’che in fondo è un “continentale” a caccia di esotico, uno dei tanti. Sai, gli spieghi con gentilezza, quel metodo di cottura si chiama "a carraxu", ma se proprio vuoi ottenere un maiale ben cotto senza infilare la testa in una buca rovente e rischiare di farti una messa in piega “alla fiamma”, quattro sono gli ingredienti da usare: legna, spiedo, carne e sale. Così gusterai una cotenna croccante, una carne né troppo asciutta né troppo grassa. Sorridi, perfido. Gli hai appena rotto l’incantesimo del “folklore”, si sentiva un intrepido Indiana Jones tra i nuraghi, pregustava il tuo racconto agreste osservandoti con il cipiglio del civilizzato alla ricerca del primitivo e dell’etnico.
L'abito tradizionale delle donne di Buddusò (Foto di Gianni Careddu).Sento la voce lontana di Francesco Cossiga che m’avverte: “Mario, stai attento, perché ora ti chiede dove trovare i sardi vestiti da sardi”. "Sa passenzia, Franziscu", che pazienza fare l’indigeno che accoglie il “civilizzato”. Il quesito antropologico-stilistico arriva puntuale come il formaggio e il miele delle seadas, ma senza dolcezza: “Dove si trovano quelli in costume?”. Tiro un lungo sospiro, ci vuole pazienza con quelli a caccia di folklore a tutti i costi. Racconto che sì, mia nonna Desolina vestiva con "sa gunnedda" e "su muccadori", era un total black molto elegante per i canoni dell’odierno (dis)gusto, ma i giovani sardi amano i tagli di Antonio Marras, evocazioni di un mondo che c’è, nonostante il turista a una dimensione che sei tu. In lui c’è l’Essere Nuragico, il mondo che gira intorno all’isola, giacche, pantaloni, gonne, camicie, maglie, tessuti, trame, sublimi ricami di una storia lontana e recente, tamburi che risuonano nelle foreste di leccio e le cronache radiofoniche dei gol di Rombo di Tuono: “Riva entra in area, scocca il tiro reteeeee!”.
Dettaglio di uno scialle sardo interpretato in chiave contemporanea (Foto Mario Sechi)Tutto si tiene insieme, grazie al "ligazzio rubio", il legaccio rosso dei nostri avi che assicurava pacchi, valigie, vite in viaggio. Emigranti. Marras, caro turista, tagliava i costumi per Kenzo come il pastore taglia la frutta con "sa leppa", il suo coltello con il manico d’osso e la lama da samurai. I sardi, caro turista, sono cosmopoliti malgrado (dis)continuità territoriale sia una frase vuota, e se proprio vuoi intabarrarti in un abito che sa di nobile pascolo allora devi farti cucire un “su misura” di velluto da Paolo Modolo a Orani e anche con quest’armatura addosso non avrai mai il portamento regale di un pastore. Ma quelli vestiti in costume? Non so, non mi occupo del noleggio di sardi pelliti per servire la cena ai ricchi forestieri, non siamo in America dove si comprano compagnie teatrali Sioux a ore per trascorrere la serata. Sapevo di qualche ristorante che vestiva l’arrostitore in velluto e camicia bianca. L’ideale sotto il sole d’agosto, il velluto.
San Giovanni di Sinis e Capo San Marco (Foto Mario Sechi)Sa, domani salpiamo e facciamo rotta per la Costa Smeralda. Buona fortuna, dico e sibilo: “Attenti…”. Perché? Indaga la signora, l’unica parte sveglia (e non solo) della coppia transumante. Entro in modalità Nelson: be’, intanto per noi sardi l’acqua è infida, i primi morti io li ho visti in mare da bambino e se navigate da queste parti… da Capo San Marco a Capo Marrargiu non avete ripari, tranne Bosa Marina, e dovete pregare che non si levi improvvisamente il maestrale… all’isola di Mal di Ventre, se c’è mare grosso, trovate scogli a nord e una secca sud, ma la vostra crociera potrebbe finire sei miglia prima sullo scoglio del Catalano. Lui ridacchia. Lei no. La dama ha un compasso in movimento sulla carta nautica. Passata Bosa, puntate verso Capo Caccia, senza maestrale è facile, ma se si alza mettete il salvagente. Se tutto va bene vedrete le rocce scure di Capo Caccia e poi l’Asinara e l’isola Piana che crea due passaggi: quello dei Fornelli e la Pelosa. Il più facile è il primo, ma se lo traversate con acque agitate e di notte avete buone probabilità di rifarvi la chiglia. A quel punto attraversate le Bocche di Bonifacio, facile facile, basta solo ricordare che qualsiasi perturbazione che viene da ovest si insacca nelle Bocche e il mare spinto dal vento s’imbizzarrisce come un torrente gonfiato dalla pioggia. Superate le secche e le raffiche di vento che a capriccio sbattono qua e là, il gioco è più o meno fatto, basta tenersi lontani dagli scogli che come squali emergono a pelo d’acqua. Facile facile, per un capitano come lei.
Sorge il sole sul golfo di Oristano (Foto Mario Sechi).Ride. Non sa un fico secco dei salvamenti in mare e non sa neppure che un mio parente, il comandante Giovanni Camedda, noto a tutti come "Pittiriddoi", ne ha tirati su un bel po’ con il suo rimorchiatore. Eroe delle acque tempestose, altro che. Certo, in Costa Smeralda ora si può andare, non c’è più Berlusconi, dice l’armatore con il polso accessoriato Hublot. Immagino il naufragio del suo veliero in una secca malefica e il salvataggio con il Barbarossa di Cesare Previti per giusto contrappasso. L’hai voluto tu, penso, mentre scavo la buca dove cuocerlo per bene, "a carraxu", a lui ’sì tanto caro. Prima cosa, la Costa Smeralda per noi sardi non esiste, è un marchio, quelli erano, sono e restano i "Monti di Mola". E poi il Cavaliere a Villa Certosa non c’è e, in tutta franchezza, l’impaginato locale è diventato una noia mortale: incidenti stradali, tetti del mercato di Cagliari che crollano sul pescato fresco, raffiche di roghi, acqua con l’autobotte, regala una rosa e gli staccano un orecchio, panico in centro per un serpente tropicale, niente, non c’è bandana e neppure l’ombra di un Topolanek desnudo in piscina. E i vulcani che eruttano e gli appostamenti dei paparazzi e il vai e vieni di Vladimir Putin e la corsetta mattutina in tuta bianca. Niente. Emergono dall’acqua smeraldina scarti di lavorazione di vip, spiaggiati come impoetici ossi di seppia. E scusi, ma chissenefrega di quello che fate voi, esseri senza mitologia. Il Cavaliere era il centro di gravità mai permanente della movida. Materiale ad alta tiratura. E ora? Nada, non resta che pregare con il passo di Hemingway:
O Nada che sei nel Nada, sia Nada il tuo nome, Nada il tuo regno e sia Nada la tua volontà così in Nada come in Nada. Dacci oggi il nostro Nada quotidiano e nada a noi i nostri Nada come noi li nadiamo ai nostri Nada e non nadare noi in Nada, ma liberaci dal Nada; pues Nada.
Mentre mi guarda con l’interesse riservato a un bronzetto nuragico, compare il mio gatto, Dario, e il turista civilizzato lo guarda inorridito: lo fate uscire qui, libero? E cosa dovrei fare? Tenerlo al guinzaglio? Quello è un felino con un q. i. più elevato del suo, va in giro, felicemente randagio, e ritrova la strada di casa, di giorno e di notte. Cammina a fari spenti, lui. Lei invece, ricco "cittadinu", qui in certi posti si perde. Per sempre. E muore di fame. Mentre il mio gatto ama cacciare tortorelle che planano verso la spiaggia, ieri ne aveva una tra le fauci gentili, presa con un balzo da tigrotto. La signora emette un oh!, chiaro dissenso animalista che esplode con una domanda sospesa: ma lei non gli dà il Royal Canin… Ho il tremendo impulso di far girare una canzone di Piero Marras, una strofa soltanto, giusto per avanzare un caloroso invito:
Uomo bianco venuto dal mare / Come tutte le novità / A insegnarci di nuovo a parlare / A portarci la civiltà / Non vorrei la prendessi un po’ male / Ma rivoglio la mia identità / C’è soltanto una cosa da fare / Perché non te ne vai?
E ormai c’è ben poco da fare, è innescata la bomba a orologeria, siamo in piena esplorazione del mondo animale e lui, il capitano in blazer e bottoni dorati, non può resistere alla domanda che apre il baratro della serata: ma il sesso con le pecore? Mia madre coglie la domanda con gli occhi iniettati di polvere da sparo. Sorrido, è un’occasione d’oro per piantargli un Jolly Roger sul cuore. La signora ha gli occhi ancor più vispi. Lei, immagino, ha visto tanti anni fa il film dei fratelli Taviani? Ha vinto la Palma d’oro a Cannes. Vedo lo smarrimento sulla citazione cinefila e proseguo. Be’, dovrebbe leggerlo, “Padre Padrone”, il libro di Gavino Ledda, per comprendere la faccenda.
È tradotto in quaranta lingue, non male per un figlio di pastore. Io lo lessi da ragazzino, era posato sul comodino di mio padre. E ricordo di aver visto quel film con lui, sul divano della nostra casa in piazza Stagno Pontis, a Cabras. E certo, capisco il suo interesse etnologico per il selvaggio e primordiale stupro dell’animale. Ma ho una domanda qui, sulla punta della lingua, ora "schinchiddosa", sì, insomma, un po’ scintillante: cosa ne sarebbe stato di lei, ricco signore a vela, se all’età di sei anni fosse stato prelevato dal babbo e mandato a governare le pecore a Baddevrùstana? Unico mezzo di trasporto, il mulo. Niente Suv. Niente barca. Niente telefono. Niente tv. Niente internet. Solo la fisarmonica, per un bambino strappato alla scuola elementare. Ah, certo, lei mi ricorda la pagina di sesso con gli animali, eh sì capisco che la battuta sulla gallina con il culo caldo le faccia venire un certo fremito alle sue parti basse, perché quelle alte hanno un problema di connessione.
I fratelli Taviani e Gavino Ledda (Foto Ansa).Però sa, mio caro civilizzato capitano d’alto bordo, a me piace ricordare Gavino Ledda figlio di un pastore senz’anima, un bambino di Siligo buttato nell’arena del pascolo, della pioggia, del sole, dei sassi, che si laurea in Glottologia, viene ammesso all’Accademia della Crusca, scrive un romanzo in purezza e durezza, nato povero continua a essere povero, di una povertà assoluta, silente e disperata. Silenzio. Mi rivolgo alla dama: veda, signora, un cantautore sardo, Piero Marras, ha trasformato in arte quel passaggio, c’è un brano intitolato “Stazzi Uniti” e, a un certo punto, ecco, proprio qui, si fa e disfa in musica l’episodio che tanto vi attrae:
Su vieni avanti dai Gavino / sei l’attrazione della Festa / fa un po’ vedere alle signore / come si fa come si fa / con una pecora l’amore / vero folclore e sardità.
In ogni caso, visto che siete così tanto interessati a contribuire alla nostra nuragica esistenza, potete adottare una pecora a distanza. Lui, irrecuperabile, continua a ridere. Lei assume lo sguardo di chi sta scoprendo qualcosa di pericoloso, ma attraente. Come una pecora in adozione? Ma certo, voi la adottate, versate la nobile somma per la nobile causa al pastore e lui manderà il formaggio, la lana e il latte della vostra pecorella direttamente all’indirizzo del vostro loft sui Navigli o al pentavano con vista sul Colosseo. Le vie del commercio sono come quelle del Signore, infinite. E il pastore sardo sta con Dio, sempre. Oh, ma è stupendo! Erompe lei, in pieno acme filantropico. Sul tavolo nel frattempo sono comparsi una piccante "burrida" di razza, la bottarga di Cabras bagnata nella vernaccia, tagliata a strisce sottili, sposata con il sedano, una bottiglia di Nieddera, rosato figlio di un vitigno autoctono.
Barche dei pescatori nel porto di Torregrande (Foto Mario Sechi).Per l’armatore civilizzato e la sua signora non avranno mai l’effetto della madeleine proustiana – nessuna recherche, figuriamoci – ma dal ruminare e scolare si coglie la scoperta del gusto straniero, effetto spiazzante da recuperare subito con un tuffo nella banalità hard-boiled: e i sequestri di persona, ha mai conosciuto Mesina? Sul suo volto si disegna l’espressione di chi vuole darti un colpo basso. La nostra delinquenza, il banditismo, i sequestri di persona, i proiettili che sforacchiano i cartelli d’ingresso nei paesi. Benvenuti tra noi, i barbari. Sì, l’ho conosciuto Graziano Mesina, a Orgosolo, a casa della mamma, una donna che mi sembrava portasse nel cuore una cosa chiamata dolore. La signora ha un altro scossone, un brivido: oh, davvero? Siamo nel campo minato del fascino del bandito. Conosce, signora, una canzone di De André intitolata “Franziska”? No eh? È l’amore di una donna per un bandito alla macchia. Ascolti qua:
Hanno detto che Franziska è stanca di pregare / tutta notte alla finestra aspetta il tuo segnale / quanto è piccolo il suo cuore e grande la montagna / quanto tagli il suo dolore più di un coltello, coltello di Spagna. / Tu bandito senza luna senza stelle e senza fortuna / questa notte dormirai col suo rosario stretto intorno al tuo fucile.
Oh, ma come si può amare un bandito? Dice lei, sospesa tra ammirazione e repulsione, tra cabina armatoriale e ovile. Si può, anche se non è consigliabile per un essere delicato come lei, madame. La macchia è il destino eterno del bandito: "Grazianeddu" tentò di evadere ventidue volte e per dieci gli andò bene. Matteo Boe è l’unico uomo a essere uscito avventurosamente dalla prigione dell’Asinara. Lo ricordo bene, lo sguardo di Mesina, occhi acuminati come frecce d’ossidiana. Eravamo a Orgosolo, nel bar del centro, volevo sapere che cosa ne fosse del piccolo Farouk Kassam. Bevevamo filuferru alle dieci di mattina. E non potevi di certo rifiutare il supremo invito a dissetarti a 40 gradi. E ricordo altrettanto bene le lettere di Matteo Boe. Una grafia quasi cuneiforme. Uomo colto e spietato, dava ai sequestrati dei libri da leggere, Kafka, Dostoevsky. Sequestrava e sparava. In rima. La macchia. I banditi. Sapesse, signora, che storia cresce tra le zolle polverose di questa terra. Lasci la barca in porto con il blazer blu che l’accompagna. Vada a Orgosolo e sul Supramonte. Non parli. Respiri e basta. Se le riesce. Lei avrà certamente visto un film di Vittorio De Seta intitolato “Banditi a Orgosolo”, miglior opera prima al Festival di Venezia. Vecchia sigla della Titanus, un bianco e nero tutto immaginazione, prima scena epica, sembra un western di John Ford, querce secolari nella penombra, latrati, cani che puntano la preda, la caccia. E quella frase sui pastori: “Possono diventare banditi da un giorno all’altro, quasi senza rendersene conto”. E’ la storia di Michele, accusato ingiustamente di abigeato e assassinio di un carabiniere. È innocente, ma la latitanza, la montagna della Barbagia, per lui è più sicura. Michele, innocente, perde il suo gregge, perde tutto. E diventa quello che non voleva essere: un bandito.
I monti dell'Ogliastra, verso Perdasdefogu, la "zona blu" che ha una delle cinque aree con la più alta aspettativa di vita del mondo (Foto Mario Sechi).Siamo al dolce. Il miele si scioglie sulle seadas, è ora di chiudere la cena come si conviene. Il turista civilizzato annuncia la sua partenza: andiamo, è stata una bella serata. Posso chiederle un’ultima cosa? Prego, mi dica. Cos’è quella maschera appesa al muro? Un Mamuthone di Mamoiada. Un po’ inquietante, ma bella, dove posso trovarla? In qualsiasi negozio, non si preoccupi. Quella è la Sardegna da comprare, pronto cash, in tutte le dimensioni e luoghi comuni, su misura per lei, il turista civilizzato. "Adiosu".
***
Massì, chiudeteci tutti qui, stiamo benissimo. Voi andate pure altrove. Il nostro viaggio è fatto d'immaginario e nessuno potrà mai strapparlo dalla nostra mente. Dove andiamo? In un'altra lontana isola del cuore, l'America.
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America 2020. Luce, tenebre e l'ombra di Trump
Fiat Lux. "Dio disse sia fatta la luce e la luce fu" (Genesi 1,3); "La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta" (Giovanni, 1,5); "Essi uscivano nuotando dai bianchi ribollimenti dell’ira terribile della balena nella luce serena ed esasperante del sole che continuava a sorridere come a una nascita o a uno sponsale" (Herman Melville, Moby Dick); "Svela cose profonde e occulte e sa quel che è celato nelle tenebre e presso di lui è la luce" (Daniele 2,22); "Ma il baleniere, come cerca la materia della luce, così nella luce vive" (Herman Melville, Moby Dick); "Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che ora vi annunziamo: Dio è luce e in lui non ci sono tenebre" (Giovanni 1,5). "Oh! oh! Anche bendato, parlerò ancora con te. Sebbene tu sia luce, tu esci dalla tenebra; ma io sono tenebra che esce dalla luce, che esce da te!" (Herman Melville, Moby Dick). "Non lasciatevi legare al giogo estraneo degli infedeli. Quale rapporto infatti ci può essere tra la giustizia e l'iniquità, o quale unione tra la luce e le tenebre?" (Corinzi, 6,14); "Sebbene tu sia luce, tu esci dalla tenebra; ma io sono tenebra che esce dalla luce, che esce da te!" (Herman Melville, Moby Dick). "Luce vera che illumina ogni uomo" (Giovanni, 1,9). "Avvolto nella piena luce mattinale, il sole invisibile si rivelava soltanto per la diffusa intensità del suo sito, donde i suoi raggi avanzavano in fasci come baionette. Diademi, come di re e regine babilonesi incoronati, regnavano dappertutto. Il mare era un crogiolo d’oro fuso, che frema brulicante di luce e di calore" (Herman Melville, Moby Dick). "Quale tumulto porta la luce!" (Wolfgang Goethe, Faust).
"Possiamo superare e supereremo questa stagione di tenebre", dice Joe Biden. Il ghost writer del candidato alla vicepresidenza ha usato un tono biblico, ha giocato con gli opposti luce/tenebra, ha pescato (in)volontariamente dall'oceano dei testi sacri e dal "mostro" del romanzo americano (Moby Dick), ma nel farlo ha dimenticato il contrasto con le radici europee, il fuoco e il tumulto, la filosofia e la letteratura della Germania, la radice anglosassone della cultura americana. Impegnati a cercare la diversità, hanno smarrito l'identità.
04
Joe Biden e l'America noir dei democratici
Quattro ore al giorno di convention per quattro giorni, ore su ore di discorsi, suoni, immagini, un indubbio grande sforzo per andare online nel modo migliore (era difficile, una tremenda sfida per tutti), ma resta una domanda sul taccuino del cronista: cosa hanno detto? Che non vogliono Trump, che è il Male Assoluto, che bisogna cacciarlo, che è razzista, che è un corrotto nell'anima, che ha rovinato e ammalato l'America, che ci sono le tenebre. E poi? Non si sa nient'altro, sappiamo che verrà la luce ma non hanno detto come la accenderanno. Uniti, certo, con l'inclusione della diversità, la fine della diseguaglianza, la cura del creato e la pace in Terra per gli uomini di buona volontà. L'utopia in politica è necessaria, sia chiaro, ma ogni tanto bisognerebbe darle una sembianza (c'è Kamala Harris, funziona, va meglio di Biden, ma dobbiamo ancora scoprire la sua forza di trascinamento e attrazione dell'elettorato), darle un piano d'azione. Questo non l'abbiamo né visto né sentito. I Democratici hanno puntato sul cuore ma è Jane Austen a insegnarci che tutte le storie sono fatte di "ragione e sentimento" e a un certo punto del romanzo si percepisce un tentennamento, Austen non sa chi far prevalere, se la ragione di Elinor Dashwood o il sentimento di Marianne Dashwood. Grande dilemma, è lo stesso che toglie il sonno agli strateghi della campagna elettorale di Biden, la flemma senile di Joe o il battito da treno a vapore di Kamala? Il cromatismo sgargiante di Harris o l'argento rassicurante di Biden? Bel dilemma. Nell'attesa di scioglierlo, i dem hanno adottato la formula del va' dove ti porta il cuore.
Biden ha chiuso l'happy our democratico su Zoom come poteva e in fondo doveva, ce l'ha messa tutta e lo mettiamo nero su bianco: "È stato efficace". Ha giocato bene, calibrato il registro e tirato fuori il mestiere che di certo non gli manca, sembrava desto dal consueto torpore, risvegliato dal letargo. Il suo messaggio non poteva essere quello del politico che ha 77 anni e di questi ne ha consumato 50 nelle stanze del potere a Washington. Dunque Joe ha ancora un cuore giovane, ha puntato sui buoni sentimenti e il lampo della salvezza che sta per arrivare e "l'amore è più potente dell'odio, la speranza è più potente della paura e la luce è più potente dell'oscurità". Biblico. E padre di famiglia. Il duetto dei figli sullo schermo per ricordare agli elettori le qualità dell'uomo che "è un grande padre" e dunque "sarà un grande presidente", il passaggio sul lutto che è un luogo letterario nel copione della convention del dolore, la scomparsa del figlio Beau che compare nelle immagini della convention democratica del 2012, "my father, my hero, Joe Biden". Il sentimento. La grande perdita, ancora e ancora, nella vita di Biden.
Carrellata di foto patinate, sdrucite, a colori e seppiate, improvvisi lampi di gioia, immagini accartocciate nel dolore, la bandiera che avvolge il lutto più grande, il candidato presidente che ha vissuto come ogni uomo e donna sulla Terra, cadi, ti rialzi, lotti, vai avanti, non mollare mai. L'infanzia è un tuffo nell'anima, la scuola in uno splendido scatto di memoria, i banchi vuoti di un tempo felice, ingenuo, che vibrano in un vivido bianco e nero (il retrogusto finale muta in un sinistro presagio sul coronavirus che verrà).
È lui, Joe, il focus della serata, bisogna pur raccontarlo e farlo uscire dal "basement" in cui l'aveva scagliato la perfidia retorica di Trump. Ci hanno provato, eccome se ci hanno provato. Gli sceneggiatori della festa virtuale democratica hanno usato i vecchi e sempre validi ferri del mestiere, la praticaccia del racconto, il flashback e il balzo nel domani, nella luce di un'America smarrita, dissipata come un uomo che ha perso il primo amore, le immagini di JFK e la missione Apollo 11 sulla Luna, la frontiera dell'avventura spaziale - la luce del cosmo, il bagliore dei razzi, gli occhi brillanti dell'uomo esploratore di se stesso - Obama portato in giro come la Madonna, e per tutto il tempo c'è quel "vote" che è un invito ma risuona come una "minaccia", il memento di quello che accadde nel 2016, i voti possono non bastare, le elezioni si vincono nell'Electoral College. L'effetto di fondo è quello del documentario, con l'aggiunta del "drama", del racconto dei dolori del giovane e del vecchio Joe, dei suoi lutti, dei suoi funerali, dei suoi affetti persi tragicamente e sempre vivi nel ricordo, la presenza della fine dei giorni è ovunque, un'America noir e piovosa, sempre lugubre, una vedova con il velo, collassata come un buco nero, esausta come una batteria scarica, un cumulo di macerie fumanti dopo una guerra, Trump.
Il discorso di Biden è imbandierato, giocato sull'opposizione tra la sua cifra istituzionale e il disordine trumpiano. Luce e tenebra, forze del bene e forze del male, Dio e Satana, e via così con il testo e il sottotesto del miracolo che arriverà. "Give people light", bisogna dare la luce al popolo, 'che "troverà la via", si capisce, e lui, Joe, ha pronta la torcia e per il resto si vedrà quando sarà conquistata la Casa Bianca. Per ora siamo all'accettazione della candidatura, passaggio formale che resta pur sempre posato sul letto del grande fiume della storia americana.
05
Riemerge il "Forgotten Man" di FDR
Joe Biden srotola con calma la sua pergamena, in questo momento sa bene cosa provoca la dinamica del potere il peso della leadership: è l'uomo più solo del mondo, gli scorre la vita davanti, come Atlante deve reggere la Terra. C'è un tocco di status già presidenziale in questo passaggio da forza tranquilla, senza pubblico, un "senza" che vuol ricordare la responsabilità di guidare la nazione più potente del mondo, il faro della democrazia. Nel tumulto, è una scelta azzeccata, rimette il pezzo del Re sulla scacchiera dopo il gioco della Regina, Kamala.
Non un candidato che nuota nel blu della convention, ma un futuro presidente che ha una missione, "unire la nazione". Karl Rove, intelligente analista, stratega delle campagne di George W. Bush, lo ha definito "un discorso molto buono". E lo è perché è un tentativo di marcare una distanza netta non solo dal treno sferragliante di Donald Trump, è anche e soprattutto un balzo più in alto di quello della tigre, Kamala Harris.
Passaggio sul titano della storia americana, Franklin Delano Roosevelt (nella foto qui sopra), il presidente che inventò la splendida metafora politica del "Forgotten Man", l'uomo dimenticato, in un discorso alla radio che è un capitolo storico della nazione destinata a vincere la guerra e aprire il "Secolo Americano". Albany, 7 aprile 1932:
A mio giudizio, la Nazione si trova oggi di fronte a un'emergenza più grave di quella del 1917.
Si dice che Napoleone abbia perso la battaglia di Waterloo perché ha dimenticato la sua fanteria - ha puntato troppo sulla cavalleria più spettacolare, ma meno consistente. L'attuale amministrazione di Washington offre un parallelo stretto. Ha dimenticato o non vuole ricordare la fanteria del nostro esercito economico.
Questi tempi infelici richiedono la costruzione di piani che poggiano sui dimenticati, le unità non organizzate ma indispensabili del potere economico per piani come quelli del 1917 che costruiscono dal basso verso l'alto e non dall'alto verso il basso, che ripongono la loro fede nell'uomo dimenticato in fondo alla piramide economica.
FDR è un punto di riferimento costante per ogni candidato presidente in tempi di crisi. Donald Trump, discorso d'accettazione della candidatura alla presidenza, Cleveland, 21 luglio 2016 :
Ho incontrato gli operai licenziati e le comunità schiacciate dai nostri orribili e sleali accordi commerciali. Questi sono gli uomini e le donne dimenticati del nostro Paese.
È la continua ricerca della luce tra le pagine della storia. Biden chiede all'elettore americano di cambiare rotta, diventare un "alleato della luce e non delle tenebre". Quale alleato? Quello democratico, progressista, la nuova figura del repubblicano-pentito e deluso da Trump, insieme in un percorso di "speranza e luce".
La corsa di Biden ha avuto forse il suo acuto e non sarà facile ripetersi, manca l'occasione, siamo in tempi di coronavirus, si dice che non voglia abbia intenzione di viaggiare troppo per gli Stati, ma questo vale per l'oggi e un bel pezzo del domani è nelle mani di Trump che, al contrario, è in partenza per tutti gli Stati in bilico, farà una campagna martellante.
Impressioni, dati, impatto? Gli ascolti televisivi della terza serata della convention sono stati migliori rispetto alle prime due (e poi vedremo cosa ha riscosso il gran finale al box office).
Secondo Nielsen Ratings 22.8 milioni di persone si sono sintonizzate sugli schermi, sono sempre dati inferiori al passato, ma rialzano il morale degli strateghi dem che era sotto i tacchi. Effetto Kamala? O merito di Obama? Rispetto alle altre convention, i numeri sono distanti, basta il colpo d'occhio sullo storico di Nielsen Ratings:
Saranno i sondaggi a dettare le mosse la coppia Biden-Harris, possono provare a gestire il vantaggio, ma se The Donald dovesse avanzare, saranno costretti a cambiare strategia e scendere sul campo di battaglia del leone. I democratici puntano sul referendum contro Trump. Basterà?
06
L'eterna lotta tra la luce e le tenebre
Quella della luce e delle tenebre è una vecchia fissazione dei dei "nevertrumpisti", ma dà il tocco di sinistro che serve per dipingere nella maniera più fosca l'avversario, così il Washington Post di rito amazoniano piazzò sotto la gloriosa testata un motto che è tutto un presagio malefico, la dichiarazione di guerra di Jeff Bezos: "Democracy Dies in Darkness".
Manca il conte Dracula, ma c'è Trump nella parte del vampiro d'America, un Lestat de Lioncourt ("Intervista col vampiro", Anne Rice, ore di sublime lettura) riadattato per l'occasione, un avido bevitore di sangue che gioca a golf e fa il presidente degli Stati Uniti d'America. Tenebre e luce, la vecchia eterna lotta tra il Bene e il Male.
Quest'ultimo, non bisogna mai dimenticarlo, ha sempre la potenza e lo "shining", è splendente come Woland, il diavolo che appare e scompare in mille forme ne "Il Maestro e Margherita", capolavoro di Michail Bulgakov: "Non vorresti avere la bontà di riflettere sulla questione: che cosa farebbe il tuo bene, se non esistesse il male? E come apparirebbe la terra, se ne sparissero le ombre?".
Abbiamo un altro appuntamento segnato sul taccuino per la prossima settimana: 24-27 agosto, Charlotte, Carolina del Nord, convention del Partito repubblicano. S'allunga un'ombra, è quella di Trump.
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altri diritti di proprietà intellettuale e industriale di volta in volta facenti capo al Fornitore e ai suoi
danti causa
e per questo si impegna a rispettare tali diritti.
8.2 Tutti i diritti sono riservati in capo ai titolari; l'Utente accetta che l'unico diritto acquisito con
il contratto
è quello di fruire dei contenuti dell'Abbonamento con le modalità e i limiti propri del Servizio. Fatte
salve le
operazioni di archiviazione e condivisione consentite dalle apposite funzionalità del Servizio, qualsiasi
attività di
riproduzione, pubblica esecuzione, comunicazione a terzi, messa a disposizione, diffusione, modifica ed
elaborazione dei
contenuti è espressamente vietata.
8.3 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
9. Manleva
9.1 L'Utente si impegna a manlevare e tenere indenne il Fornitore contro qualsiasi costo – inclusi gli
onorari degli
avvocati, spesa o danno addebitato al Fornitore o in cui il Fornitore dovesse comunque incorrere in
conseguenza di usi
impropri del Servizio da parte dell'Utente o per la violazione da parte di quest'ultimo di obblighi
derivanti dalla
legge ovvero dai presenti termini d'uso.
10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.