5 Marzo

L'apparato e la ricostruzione. La macchina di Draghi

Draghi ha scelto i civil servants. Lo spirito è quello dei Menichella, dei Saraceno, dei Vanoni, dei Mattei, quando l’efficienza economica doveva coniugarsi con una prospettiva nazionale ed il senso delle istituzioni. L'istantanea di Lorenzo Castellani su Palazzo Chigi, meno parole e più catena di comando

di Lorenzo Castellani

Nel suo brillante saggio Che cos’è un dispositivo? il filosofo Giorgio Agamben scrive: “L’apparato: è un set eterogeneo di relazioni tra entità che include ogni tipo di realtà umano e non-umano, virtuale e linguistico; funziona concretamente e costantemente, in altre parole è in quanto è in processo; l’apparato è l’incontro tra le relazioni di potere e quelle di sapere.”

Nulla più del governo Draghi ci ricorda l’importanza dell’apparato statale, civile e militare. Il Presidente del Consiglio ha deposto il manager Arcuri e lo ha sostituito con un generale del più alto rango; una volta espulso il "sistema Casalino", la comunicazione di Palazzo Chigi finisce all’addetta stampa di Bankitalia; ai servizi segreti è arrivato l’ex capo della Polizia di Stato; il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio è ora un magistrato amministrativo. Ma anche sul piano dei ministri tecnici, si è attinto all’apparato statale: Daniele Franco, anche lui da Bankitalia, e Roberto Cingolani da Leonardo, una delle punte dell’industria pubblica.

Scelte che delineano le preferenze di Draghi per i civil servants, i servitori del pubblico. Lo spirito è quello della ricostruzione, la missione dei Menichella, dei Saraceno, dei Vanoni, dei Mattei, quando l’efficienza economica doveva coniugarsi con una prospettiva nazionale ed il senso delle istituzioni. Meno parole e più catena di comando; meno imitazione del privato, più gerarchia; più governo e meno governance pasticciona.

Una tendenza che mostra due orientamenti. Da un lato una relazione più tiepida con il settore privato, Draghi ha evitato di imbarcare manager e professionisti provenienti dai ranghi aziendali. L’unica eccezione è Vittorio Colao, risarcito per il trattamento oscurantista riservatogli da Conte, che però resta ministro senza portafoglio. Un segno forse del tramonto di quei “manager in politica” tanto popolari nell’epoca berlusconiana e di un ritorno dei grand commis di Stato dopo anni di disprezzo...


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