22 Ottobre

Le banche salvate. I contribuenti no

Il governo stasera (forse) vara il decreto per salvare le banche venete. Paga lo Stato. E il debito galoppa. Alternative? Non ce ne sono, intervento in grave ritardo

Il salvataggio delle due banche venete è il classico caso italiano di “socializzazione delle perdite”, stavolta in assenza di utili. Non siamo di fronte a un fatto nuovo, ma a una costante della storia del Paese. La storia di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca è dentro questa sceneggiatura. No news, bad news. Il governo stamattina ha emanato un decreto che formalmente è per la “tutela del risparmio” ma nella sostanza è un papocchio politico-finanziario tirato fuori all’ultimo minuto della partita, quando l’arbitro aveva già il fischietto tra le labbra.
La Banca centrale europea ieri sera ha messo la parola fine alla “commedia” all’italiana che andava avanti da un anno. Il comunicato è chiaro:

Le due banche erano senza carburante (capitale) e dopo aver visto lo stato dei conti, nessuno si è fatto avanti per il rifornimento (altro capitale). Fine corsa. Stop. Si scende. E si riparte. Con i soldi del contribuente.
Dopo la crisi finanziaria del 2008, i pezzi da novanta dell’establishment bancario dicevano: siamo solidi, non abbiamo bisogno di aiuti. In realtà la fortuna in quel momento aveva dato una mano a un sistema vecchio, arretrato, che non aveva fatto uso di mutui subprime (la causa dello scoppio della bolla negli Stati Uniti) e aveva una situazione del mercato immobiliare senza la febbre spagnola. Ma era solo un’illusione, l’appuntamento con la realtà era rimandato di qualche anno. L’anno è il 2014, ecco lo stato di salute delle banche italiane dopo gli stress test della Bce:

La tabella fa parte di uno studio della World Bank sulle risoluzioni bancarie nei vari paesi, la parte italiana è frutto del lavoro eccellente di Silvia Merler. Il quadro è chiaro, la quota di non performing loans è da spia rossa accesa nel sommergibile, il Monte dei Paschi è...


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