1 Gennaio
Le scuse del Papa e il tweet dell'Ayatollah
Religione, politica, comunicazione e social network. Bergoglio reagisce bruscamente, poi si scusa durante l'Angelus con la signora che l'aveva strattonato. Ali Khamenei ingaggia una battaglia su Twitter con Donald Trump. Le guerre degli americani dopo l'11 settembre 2001, migliaia di miliardi senza vittoria
Buon anno a tutti! Dov'eravamo rimasti? La notizia più intrigante è questa: il Papa si è scusato. Bergoglio strattonato ieri da una fedele ha reagito bruscamente, d'impeto, per divincolarsi. Stamattina durante l'Angelus si è scusato. Il fatto è diventato uno dei temi di discussione della giornata e lascia un segno nell'immaginario dove il Papa, nella sua dimensione terrena - e quella ultraterrena della santità e della sua infallibilità ex cathedra - improvvisamente sembra l'Albatro della poesia Baudelaire, bellissimo in volo e subito dopo "goffo e maldestro" sul ponte del "vascello che va sopra gli abissi amari".
Un altro capo religioso, l'Ayatollah Ali Khamenei, guida spirituale della Repubblica islamica dell'Iran, ha ingaggiato una battaglia via Twitter con il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Tutto è partito dall'assalto all'ambasciata americana a Baghdad e dai commenti incandescenti del capo della Casa Bianca, così Khamenei ha preso il suo smartphone e dipinto Trump così: "Quel ragazzo ha twittato...". Siamo in una dimensione dove il terreno e il trascendente non hanno più alcuna separazione, il potere temporale e il "fatto umano" sono incorporati negli smartphone, pronti per il take away del commento via social. La dimensione ieratica, il sacro, è diventato un flusso confuso tra altare e edizione del telegiornale, un frullato di religione, politica, comunicazione e un post su Facebook prima e dopo la preghiera e la lettura del manuale strategico con i codici di lancio. Così le scuse del Papa e il tweet dell'Ayatollah diventano oggetto da impaginare sul foglio elettronico, un mosaico di pixel, un luogo dove se tutto è comunicazione, allora anche Dio ha un problema d'accesso e privacy sul suo account. Tempi moderni. E non abbiamo neppure Chaplin.
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Avevamo avvisato i naviganti di tenere d'occhio Kim, di solito il primo dell'anno tira fuori dal cilindro un coniglio...
Buon anno a tutti! Dov'eravamo rimasti? La notizia più intrigante è questa: il Papa si è scusato. Bergoglio strattonato ieri da una fedele ha reagito bruscamente, d'impeto, per divincolarsi. Stamattina durante l'Angelus si è scusato. Il fatto è diventato uno dei temi di discussione della giornata e lascia un segno nell'immaginario dove il Papa, nella sua dimensione terrena - e quella ultraterrena della santità e della sua infallibilità ex cathedra - improvvisamente sembra l'Albatro della poesia Baudelaire, bellissimo in volo e subito dopo "goffo e maldestro" sul ponte del "vascello che va sopra gli abissi amari".
Un altro capo religioso, l'Ayatollah Ali Khamenei, guida spirituale della Repubblica islamica dell'Iran, ha ingaggiato una battaglia via Twitter con il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Tutto è partito dall'assalto all'ambasciata americana a Baghdad e dai commenti incandescenti del capo della Casa Bianca, così Khamenei ha preso il suo smartphone e dipinto Trump così: "Quel ragazzo ha twittato...". Siamo in una dimensione dove il terreno e il trascendente non hanno più alcuna separazione, il potere temporale e il "fatto umano" sono incorporati negli smartphone, pronti per il take away del commento via social. La dimensione ieratica, il sacro, è diventato un flusso confuso tra altare e edizione del telegiornale, un frullato di religione, politica, comunicazione e un post su Facebook prima e dopo la preghiera e la lettura del manuale strategico con i codici di lancio. Così le scuse del Papa e il tweet dell'Ayatollah diventano oggetto da impaginare sul foglio elettronico, un mosaico di pixel, un luogo dove se tutto è comunicazione, allora anche Dio ha un problema d'accesso e privacy sul suo account. Tempi moderni. E non abbiamo neppure Chaplin.
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Avevamo avvisato i naviganti di tenere d'occhio Kim, di solito il primo dell'anno tira fuori dal cilindro un coniglio radioattivo. L'ha fatto, la Corea del Nord ha annunciato la fine della moratoria sui test dei missili. Una sicurezza.
Sergio Mattarella ieri sera ha fatto un discorso di fine anno stringato (16 minuti) e efficace: al consueto menù sulla politica e i valori della nazione il Presidente della Repubblica ha aggiunto un paio di considerazioni puntuali sullo stato dell'informazione e del servizio pubblico radiotelevisivo e sul clima tossico creato dai social media, l'altro punto è il riferimento al significato profondo della ricerca spaziale. Anche qui, come per il Papa, come vedremo, c'è un tema di distanza.
Ultima nota sul taccuino del 2020, un fatto grave: oggi entra in vigore la riforma sulla prescrizione del ministro della Giustizia (senza Grazia) Alfonso Bonafede. L'Unione Camere penali, il massimo organo associativo dell'avvocatura, l'ha definita con tre parole: imputato per sempre. Il Partito democratico ha accettato una simile barbarie giuridica e questo dice tutto sull'attuale leadership dei Dem, i comunisti erano persone serie. Facciamo il nostro primo giro di giostra dell'anno, seguite il titolare di List.
01
Kim minaccia di riprendere la fionda
La moratoria è finita e la Corea del Nord mostrerà al mondo una nuova arma. Kim jong-un (qui sopra, nella foto Ansa, mentre parla ai dirigenti del partito) ha rispettato il copione e il primo giorno dell'anno lo vede protagonista. L'agenzia sudcoreana Yonhap riporta il discorso che Kim ha fatto ai dirigenti del partito: abbiamo smesso di fare i test missilistici e atomici, gli Stati Uniti e la Corea del Sud non solo non hanno levato le sanzioni, ma hanno fatto manovre militari congiunte, la pazienza è finita. Stop. Riprendo i miei giochi balistici sul Pacifico. "Non abbiamo motivo di continuare in modo unilaterale questo impegno", ha chiosato Kim. A leggere tra le righe, si capisce che Kim fa sul serio ma nello stesso tempo, da abile negoziatore, tiene aperto il tavolo con l'amministrazione americana, "dipende da come si comporteranno". E così sarà.
La Corea del Nord non esegue test nucleari dal settembre del 2017 e la Casa Bianca non ha nessuna intenzione di vedere riaperto il file radioattivo di Pyongyang. Ecco perché ieri Trump si è mostrato prudente e ha commentato così le dichiarazioni del leader nordcoreano: "Abbiamo firmato un contratto che parla di denuclearizzazione. Questa era la frase numero uno, è stato fatto a Singapore. Penso che sia un uomo di parola". Torneranno a incontrarsi, non prima di aver litigato per bene.
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C'è altro sul taccuino? Sì, una durissima protesta in Iraq contro gli Stati Uniti. E ancora lui, Trump. E un'altra sagoma della contemporaneità che è meglio non stuzzicare troppo, l'Ayatollah Ali Khamenei.
02
Battaglia di tweet fra Trump e Khamenei
Donald Trump e Ali Khamenei hanno deciso di inaugurare il 2020 con una battaglia di tweet. Ieri il presidente americano aveva messo giù la sua idea di confronto con l'Iran alla luce della protesta davanti all'ambasciata americana:
Gli iraniani sono materiale fissile da maneggiare con cura e Trump spesso lo dimentica. Così il leader religioso ha colto la palla al balzo e risposto sempre via Twitter al presidente americano:
Khamenei scrive: "Quel ragazzo ha twittato di considerare l'Iran responsabile dei fatti di Baghdad e che risponderà all'Iran". E gli replica: "Primo, tu non puoi fare nulla. Secondo, se fossi logico, e non lo sei, vedresti che i tuoi crimini in Iraq, Afghanistan... ti fanno odiare dalle nazioni". Gong. L'anno è iniziato col botto.
03
L'Iran e la guerra senza vittoria dell'America in Iraq
Nel frattempo l'assedio all'ambasciata americana a Baghdad prosegue alla maniera iraniana, vedo e non vedo, protesta dura e ordine di ritirata. Così la milizia filo-iraniana Al Hashd ordina ai suoi sostenitori di ritirarsi, ma non troppo visto che i manifestanti sono rimasti nella Zona Verde per bel po' prima di levare le tende. Nella notte avevano cercato di forzare gli ingressi e penetrare nell'edificio.
Il raid degli Stati Uniti contro le strutture militari delle milizie sciite al confine tra Siria e Iraq ha innescato la protesta. Domenica scorsa il Pentagono ha lanciato l'operazione contro cinque basi di Kataib Hezbollah, come ritorsione per il lancio di venerdì scorso di oltre 30 razzi contro una base americana a Kirkuk che ha causato la morte di un contractor statunitense. La folla è riuscita a penetrare nella Zona Verde della città dove ha sede l'ambasciata che era già stata evacuata.
L'ambasciata a Baghdad è la più grande rappresentanza diplomatica degli Stati Uniti nel mondo: si estende per 42 ettari, più o meno come la Città del Vaticano, ed è cinque volte più grande di quella a Erevan, in Armenia, che è la seconda tra le 169 ambasciate americane sparse nei cinque continenti. Ribattezzata "Il Mammut", inaugurata nel 2007 con un costo di quasi 600 milioni di dollari, l'ambasciata comprende 21 edifici, aree adibite a cinema, piscine, negozi, ristoranti, campi da basket e da tennis. Può dare alloggio fino a mille persone e nel 2012 erano arrivate a lavorarci fino a 16 mila persone, tra staff, contrattisti e militari.
Nonostante l'imponente sforzo degli Stati Uniti, il sacrificio di vite e il fiume di denaro speso, l'Iraq alla fine è dominato dagli sciiti legati a doppio filo all'Iran. Le guerre post 11 settembre 2001 agli Stati Uniti sono costate 6.400 miliardi di dollari secondo i calcoli del Watson Institute della Brown University:
Una guerra lunga e senza vittoria. È una delle conseguenze del decennio che si è chiuso poche ore fa, la mano dell'Iran dalla campagna militare degli Stati Uniti (2003) a oggi si è allungata sui governi di Baghdad. L'idea di "esportare la democrazia" si è scontrata con le realtà tribali (in Afghanistan) e il settarismo religioso (in Iraq). Gli iraniani sono la conseguenza inattesa dell'invasione dell'Iraq, l'amministrazione Bush fece male i calcoli (e non solo quelli) sulla forza e la capacità del movimento transnazionale degli sciiti e l'abilità degli iraniani di penetrare nel cuore della politica irachena. Il vento degli imperi continua a soffiare e quello della Grande Persia non si è mai spento.
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Dove andiamo? Torniamo a casa, in Italia. Messaggio del Presidente Mattarella. Lo spacchettiamo e non è per niente un testo scontato.
04
Spazio, ambiente, informazione. Il discorso di Mattarella
Sedici minuti, 10 milioni di telespettatori, un messaggio stringato e efficace, un richiamo ai valori della nazione (che non corrispondono all'immagine che invece dà la politica: "Vi è un’Italia, spesso silenziosa, che non ha mai smesso di darsi da fare", ha detto Mattarella) con tre novità: un avviso sulla qualità dell'informazione del servizio pubblico (leggere alla voce Rai) e sul clima di scontro perenne creato dai social media; un riferimento costante al significato della ricerca nello spazio; il tema dei giovani legato a quello del cambiamento climatico. Sono tre punti d'attacco che Mattarella usa per parlare dello scenario politico.
Mattarella ha fatto due passaggi dedicati allo spazio, ecco il primo:
Mi è stata donata poco tempo fa una foto dell’Italia vista dallo spazio. Ve ne sono tante sul web, ma questa mi ha fatto riflettere perché proviene da una astronauta, adesso al vertice di un Paese amico.
Nella seconda citazione si va in orbita sulla Stazione spaziale internazionale:
Per tutti, saluto Luca Parmitano – il primo astronauta italiano al comando della stazione spaziale internazionale – impegnato nella frontiera avanzata della ricerca nello spazio, in cui l’Italia è tra i principali protagonisti. Da lassù, da quella navicella – come mi ha detto quando ci siamo collegati – avverte quanto appaiano incomprensibili e dissennate le inimicizie, le contrapposizioni e le violenze in un pianeta sempre più piccolo e raccolto.
Mattarella cita giustamente lo spazio come metafora e elemento di successo della nostra scienza e dei nostri astronauti. C'è in più l'elemento della ricerca di una "distanza", la necessità per il Presidente di distaccarsi, invitare gli italiani a sollevare lo sguardo, guardare al mondo e alle sfide affascinanti e complesse che ci propone. Volare alto. Lo spazio in questo caso è visione, distanza e umiltà, consapevolezza dell'essere piccoli di fronte all'universo.
Universo dove è incastonato il pianeta Terra. Mattarella lega la freschezza di visione dei giovani ai problemi ambientali, è un passaggio ben svolto, legato alla ricerca scientifica e allo sviluppo industriale, non a un tema di decrescita (in)felice o rilancio delle teorie malthusiane:
Le nuove generazioni avvertono meglio degli adulti che soltanto con una capacità di osservazione più ampia si possono comprendere e affrontare la dimensione globale e la realtà di un mondo sempre più interdipendente. Hanno – ad esempio – chiara la percezione che i mutamenti climatici sono questione serissima che non tollera ulteriori rinvii nel farvi fronte. Le scelte ambientali non sono soltanto una indispensabile difesa della natura nell’interesse delle generazioni future ma rappresentano anche un’opportunità importante di sviluppo, di creazione di posti di lavoro, di connessione tra la ricerca scientifica e l’industria. Torniamo con il pensiero alle popolazioni delle città minacciate, come Venezia, dei territori colpiti dai sismi o dalle alluvioni, delle aree inquinate, per sottolineare come il tema della tutela dell’ambiente sia fondamentale per il nostro Paese. I giovani l’hanno capito. E fanno sentire la loro voce proiettati, come sono, verso il futuro e senza nostalgia del passato.
Quanto all'informazione, Mattarella muove la sua critica con garbo, ma centra il punto:
In questo senso un ruolo fondamentale è assegnato ai media e in particolare al nostro servizio pubblico. Abbiamo bisogno di preparazione e di competenze. Ogni tanto si vede affiorare, invece, la tendenza a prender posizione ancor prima di informarsi.
Una critica che non si può certo dire che sia infondata. Il tema non è quello di non avere opinioni, senza non c'è giornalismo, ma quello della cultura di base, dei "ferri del mestiere", della lettura e documentazione. Il tema nella Rai riguarda non tanto i telegiornali - che in realtà hanno un problema di compressione, format, minutaggio, interviste a raffica di politici che sembrano automi e non ascolta nessuno ma così le Autorità e Vigilanze varie "sono a posto" e le direzioni evitano la labirintite buro-politica. Il problema dell'informazione (in senso allargato per coglierlo davvero) va osservato in altra luce: la lottizzazione è una logica conseguenza dell'assetto di potere, del governo esterno e interno della Rai, nessuna sorpresa, avveniva ieri e accade oggi. Solo che nel presente abbiamo un'implosione del sistema: la spartizione avviene non per linee culturali e politiche (necessarie e benvenute) ma per partito e gruppo di partito, il tutto in completa assenza dei partiti, al massimo abbiamo qualche presunto leader. La Rai di Bernabei e di Agnes era lottizzatissima, ma con un forte senso della cultura interna e del paese, il rispetto del pubblico e delle istituzioni. Altri tempi? Certo, ma guardate cosa va in onda oggi, a cominciare dal settore che nessuno osa toccare e che invece andrebbe ribaltato a cominciare dai vertici (che pare si sentano eterni), la fiction, un motore d'immaginario che esprime tutto il nostro provincialismo, alla fine siamo sempre là, tra il poliziesco de borgata, la storia da bassofondo che non parla italiano e usa la pistola come mezzo d'espressione, le confessioni del Don Matteo e i sospiri post sentimentali attaccati come cozze a un mondo da piccola città (senza il bastardo posto) fermo a Elisa di Rivombrosa. Sarebbe questa l'Italia? Il problema del giornalismo che collassa sul divano dell'opinionismo da bar sport è virale (quando leggete questa parola su un titolo di un giornale online, girate al largo), tutto in Rai rischia il contagio del trash, si propaga all'infotainment dei salotti televisivi post-prandiali (orribili) e al talk show classico dove ormai entra di tutto perché gli ascolti sono bassi, il pubblico anziano, ibernato con il telecomando in mano, lo scettro del sonnambulo.
Il Presidente ha fatto un passaggio anche sui social media, una piaga:
Senso civico e senso della misura devono appartenere anche a chi frequenta il mondo dei social, occasione per ampliare le conoscenze, poter dialogare con tanti per esprimere le proprie idee e ascoltare, con attenzione e rispetto, quelle degli altri. Alle volte si trasforma invece in strumento per denigrare, anche deformando i fatti. Sovente ricorrendo a profili fittizi di soggetti inesistenti per alterare lo scambio di opinioni, per ingenerare allarmi, per trarre vantaggio dalla diffusione di notizie false.
Su List abbiamo affrontato tante volte il tema del degrado del dibattito pubblico e di quanto sia nocivo il sistema dei social media. Sorveglianza di massa e sollecitazione degli istinti più bassi, siamo di fronte a un balzo indietro della società occidentale, la mediocrità che non a caso si è diffusa anche nel giornalismo, un tempo luogo di selezione del meglio, di quello che conta e che è degno di essere pubblicato. La politica? Il posto prediletto per chi non un lavoro.
Il 2020 e l'Italia, ci sarà molto sui cui riflettere, si apre un ventennio. Mattarella ricorda due icone della nostra storia che celebreremo quest'anno:
Nell’anno che si apre, celebreremo Raffaello. E subito dopo renderemo omaggio a Dante Alighieri.
Raffaello Sanzio, la Scuola di Atene:
Dante Alighieri, la Divina Commedia, Purgatorio, Canto VI, versi 76-78:
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di provincie, ma bordello!
Era già tutto scritto.
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E ora che facciamo? La vita oscilla sempre tra Cesare e Dio. C'è il Papa che fa notizia. E qualcuno potrebbe chiosare: non è una notizia che il Papa faccia notizia. E invece no, la cosa che raccontiamo tra qualche riga è una trama fitta di significati.
05
Francesco (strattonato) perde la pazienza. E poi si scusa
Un fatto, tre notizie. Vediamo le immagini:
- Prima notizia: il Papa è stato strattonato da una fedele mentre camminava tra la folla (questo non deve mai accadere, la sicurezza ha "bucato" il rischio);
- Seconda notizia: il Papa ha perso la pazienza - o si è spaventato? - e ha reagito in maniera decisa, battendo sulla mano della fedele che lo strattonava e divincolandosi;
- Terza notizia: il Papa si è scusato, perché la sua reazione è stata brusca, veemente, certo non in sintonia con la figura del Bergolio mite e politicamente corretto: "Tante volte perdiamo la pazienza, chiedo scusa per il cattivo esempio di ieri" ha detto il Papa stamattina all'Angelus;
Su questo fatto si è già aperto un furioso dibattito tra papisti bergogliani, anti-bergogliani ma papisti, anti-papisti e basta e papisti sempre e comunque. C'è chi sostiene che questo sia proprio il Bergoglio "al naturale", chi dice che ha fatto bene a reagire, chi registra l'accaduto con la parola "vergogna", chi vede "lo sguardo cattivo" del Pontefice e via così in una girandola di parole che non fissano il tema. Stiamo ai fatti:
- Primo fatto: Jorge Mario Bergoglio è un uomo, un capo religioso, non una figura ultraterrena, è un essere umano in carne ed ossa e come tale volubile, soggetto all'errore e non all'infallibilità pur dichiarata per il Papa;
- Secondo fatto: Papa Francesco ha 83 anni, non è un giovanotto che si può strattonare come un bambolotto e poi tutto torna come prima. Un uomo anziano è fragile, può infortunarsi facilmente, cadere in un battito di ciglia. E infatti, se osservate con attenzione, c'è una smorfia di fastidio (anche) fisico nel suo volto;
- Terzo fatto: il gesto della donna è improvviso e energico, chiunque tra noi si sarebbe molto probabilmente preoccupato e spaventato. Non sai chi ti sta trattenendo, sei il Papa, c'è sempre qualche svitato in giro che vuole farti del male, colto alla sprovvista, ognuno di noi può reagire senza riflettere, istintivamente;
- Quarto fatto: il sistema di sicurezza del Papa è questo? Tutto a posto? Non ci sembra che la cosa abbia funzionato a dovere. Cosa stavano guardando gli agenti della scorta? La domanda non è un esercizio retorico e non vale certo la risposta "ma è il Papa che si avvicina alla folla!" perché gli agenti di scorta devono fare proprio questo, consentire al Papa di fare il Papa con la massima sicurezza.
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Da questo gesto si può far discendere un giudizio sul papato, su Bergoglio, sulla sua missione? Non ci sembra il caso, il Pontefice ha offerto decisamente cose più (in)discubili durante il suo papato, ma è interessante la reazione che si è scatenata, perché siamo dentro il tweetstorm, nell'ondata irrazionale dei social e soprattutto perché torniamo a un tema che nel lontano mese di ottobre dell'anno 2013 (Bergoglio era Papa dal 13 marzo dello stesso anno), colpì il titolare di List: il Papa senza distanza. Osservando Francesco e la folla, la massa, ne vennero fuori una serie di note sul taccuino e poi una paginata per il Foglio diretto da Giuliano Ferrara. Sei anni dopo, il tema di fondo è ancora là, aperto e misterioso.
06
Il Papa senza distanza
Il Foglio, 12 ottobre 2013.
Caro direttore, l’estate mia mamma diventa più loquace del solito, il suo gusto per la battuta tagliente, tipico di Cabras, diventa ancor più acuminato. Così, quando una mattina di fine luglio Papa Francesco (viaggio in Brasile, a Rio De Janeiro, ndr) è comparso di fronte alla tv e lei, quasi registrandone le movenze, ha scolpito un lapidario “sembra un prete di paese”, sono rimasto folgorato da un apprezzamento sincero che però aveva anche un sottotesto. Alla mia domanda a bruciapelo “cosa non ti convince?”, Peppica ha risposto: “Manca la distanza. Quella del Santo Padre, l’uomo più vicino a Dio”. Sono un ragazzo di paese, nuragicamente secolarizzato, e a certe cose do ancora grande importanza. Le mie missioni speleologiche nella grotta della fede erano cominciate fin da ragazzino, con mia nonna. Desolina era credente ma non le piacevano i preti, mi confessò, orgogliosa, di aver votato “la falce e il martello”, non andava mai a messa, men che meno era presente ai funerali delle sue amiche e sul suo ultimo viaggio al camposanto – arrivato con calma – soleva dire: “Ho già comprato la bara”. Un pragmatismo lugubre che anticipava l’aldilà stando ben al di qua del portone della basilica di Santa Maria. Portò sempre una lunga ramata chioma intrecciata e la mossa le riuscì per quasi cent’anni.
Finita l’estate, passato settembre, al galoppo ottobre, quella parola, distanza, è rimasta a pulsare in valigia, mentre tutto “il nuovo” del Pontefice diventava un “finalmente!” ideologico intonato a colazione, pranzo e cena, da quelli che “ora la chiesa è il progresso e voi non potete abbracciarlo, perché questo Papa è nostro e non vostro”. Improvvisamente, mi sono sentito uno straniero in casa di terzomondisti e progressisti-mai-stati-comunisti che avevano trovato un loro santino, Francesco, da mettere in auto al posto di Padre Pio. Poi, tra scismi e -ismi, un caffè e un cannolo, un giorno si è messo in mezzo Pietrangelo Buttafuoco che m’ha appuntato sul taccuino il passo di una conversazione di Domenico Porzio con Leonardo Sciascia: “Se le messe fossero ancora in latino, il Papa non avrebbe oggi il problema delle chiese vuote”. Apro la valigia, la parola distanza sembra kryptonite. E decido di seguire la traccia di Buttafuoco, un sassolino di Pollicino, e vado a cercare qualche risposta là dove si suppone ve ne sia un barlume di candela, in chiesa.
La distanza, dunque. Una passeggiata romana a Campo Marzio mi rivela ciò che tende all’inafferrabile. Entro in casa dei gesuiti, ordine di Papa Francesco, nella chiesa di Sant’Ignazio. Sulla volta c’è un gigantesco affresco di Andrea Pozzo. Sul pavimento della navata due dischi indicano i punti precisi nei quali sostare per alzare gli occhi e godere lo spettacolo de La Gloria di Sant’Ignazio. È da quel “segnaposto” reale che bisogna sollevare lo sguardo per cogliere in pieno la scena virtuale di Gesù che illumina con un raggio il cuore di Sant’Ignazio. La luce di Cristo, abbracciato alla croce, la fede che illumina lo spirito e guida l’azione. La Gloria di Sant’Ignazio ci dice molte cose sulla chiesa e sul fondatore dei Gesuiti, sulla missione nel mondo della Compagnia, sul suo essere ultra e terrena nello stesso tempo, ma sempre mantenendo una ricercata distanza.
Andrea Pozzo, Gloria di Sant’Ignazio, 1691-1694, affresco. Roma, Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola, volta della navata.È un’ascesi pittorica che decolla grazie al dinamismo della visione, la sacra rappresentazione di quello che stiamo cercando, la distanza. È un mondo che non puoi toccare, ma incontrare; non lo afferri, ma lo contempli; non lo raggiungi, ma lo senti. Osservando quest’opera nel dettaglio e nel suo insieme si coglie il significato di cosa intendesse Friedrich Nietzsche per “pathos della distanza”. Così spiegò la sua opera Andrea Pozzo: “La mia idea di questa pittura fu di rappresentare le opere di S. Ignazio, e della Compagnia di Gesù in dilatare per il Mondo la Fede Cristiana. In primo luogo abbracciai tutta la volta con un Edifizio in Prospettiva. Poi in mezzo ad esso dipinsi le tre Persone della Santissima Trinità; dal petto di una delle quali, cioè del Figlio Umanato esce un nembo di raggi che va a ferire il cuore di S. Ignazio, e quindi il riflesso si sparge per le quattro parti del Mondo dipinte in sembianza di Amazzoni, che premono il dorso di mostri feroci, cioè dei Vizj, da quali erano state tiranneggiate”.
La Gloria di Sant’Ignazio è sublime e profonda perché è un esempio dell’uso e della necessità della distanza, è l’artificio tridimensionale (perfino la cupola è un illusionismo pittorico), è la prospettiva che diventa ascesi, la perfezione. Esco dalla chiesa di Sant’Ignazio, travolto da serpentoni di turisti con bandierina d’ordinanza in testa, e la domanda diventa ancora più urgente: com’è la rappresentazione di Papa Francesco? È bella come la pampa e rigogliosa come la foresta amazzonica, ma nel suo speciale effetto forse c’è anche il difetto: è così terrestre da esser priva di distanza. C’è lui, Bergoglio, e c’è l’io della massa, ma Dio sembra spesso essere da un’altra parte. Quello di Papa Francesco è un plot che deraglia inevitabilmente in un’altra storia, una narrazione che funziona quando si usa la metafora “dell’ospedale da campo”, un’immagine in pixel che fa audience gioiosa, una versione che non pare tramutarsi in conversione, un festival dove il “cristiano da pasticceria” e l’ateo devoto diventano consumatori e acquirenti di una zuccherosa indulgenza, cercatori di assoluzioni per le loro (ri)conosciute debolezze. Il peccato rimesso senza chiedere “il non ci indurre in tentazione” perché il “liberaci dal male” sarà l’esito certo di un “chi sono io per giudicare?”.
Tutto avviene senza lacerarsi troppo l’anima, in assenza di pathos, dentro un gioco di sacra mondanità perennemente al rialzo. È un ri-trovarsi dall’atmosfera woodstockiana, la schitarrata in maxischermo della trasformazione della Santa Romana Chiesa in una Onlus di prossimità, istituzione di moderato sacro e deregulation teologica, luogo fisico dalla timida e incerta metasifica, spazio liquido dove non c’è più alcuna distanza.
I bagni di folla, l’uso dei media vecchi e nuovi, c’erano con Wojtyla e anche con Ratzinger, il conto delle teste in piazza è antico come il papato e la generazione dei Pontifex elettronici viene da lontano, ma inedito è l’ammorbidimento della parabola, l’accesso diretto al corpo e alla parola, la smaterializzazione della figura ieratica, il dissolvimento in bit e pixel del sacro. Si passa da Tolomeo a Copernico, da Galileo Galilei a Giordano Bruno, mentre il bosone diventa Dio, il software della chiesa migra su un server relativista, dal nessun dorma si arriva al nessun dogma con una telefonata da reality show dove “il Papa è la tua voce”, riduzione teatrale di un seducente one to one dove s’ode la cavalleria corazzata del totem digitale, nuovo Dio che surfa in rete tra le anime, cavalcando un sottotesto di connessione e banda larga, “mi piace”, twittata in cappella, battesimo su Instagram, comunione su WhatsApp, googlizzazione della lettura biblica e hangout della messa, mentre in cucina arriva l’urlo dei parvoli che in salotto giocano con la Wii: “Mammaaaa, siamo alla decima schermata di SuperMario, butta la pasta!”. Oh, certo, nei miei ricordi di bambino c’è nitida la domenica mattina con un clangore di padelle e Paolo VI che parla alla radio, ma qui siamo oltre la modulazione di frequenza, siamo al mezzo che finisce davvero per essere il messaggio, alla fede come stato su Facebook, “relazione complicata” e lettura dal vangelo secondo Zuckerberg, un’apoteosi di clic, play e on air che sembra destinata a consegnare alla cronaca un Papa pronto a collegarsi in chat con Fabio Volo e Jovanotti.
22 luglio 2013. La macchina con a bordo Papa Francesco (quella centro tra le due auto scure) circondata dai fedeli a Rio de Janeiro (Foto Ansa)È l’annullamento della distanza che si fa real time tv, il topos del cinema americano con l’elicottero che riprende l’evento da pericolo imminente, l’auto del Papa circondata dai fan (che non sono per forza fedeli) per le vie di Rio de Janeiro. Suspence. Sollievo. Spettacolo. Picco d’ascolto di una teologia che non ha bisogno di liberazione perché si disfa del sacro e diventa rappresentazione di un umano, troppo umano che diventa elemento confuso nella “cultura di massa”. Eppure Bergoglio resta un uomo destinato a essere “Sua Santità” anche contro la sua volontà.
Chiedo soccorso a un’epifania di Ennio Flaiano. Prendo dallo scaffale “Diario Notturno” e vado al racconto “Un marziano a Roma”, pagina 277:
5 novembre
Il marziano è stato ricevuto dal Papa. Ne dà notizia l’Osservatore Romano, senza tuttavia pubblicare fotografie, nella sua rubrica “Nostre Informazioni”. In questa rubrica, com’è noto, vengono segnati per ordine di importanza i nomi delle persone che il Santo Padre ha acconsentito a ricevere in udienza privata. Il marziano è tra gli ultimi e così nominato: il signor Kunt, di Marte.
Il genio beffardo e triste, sregolato e tradizionale di uno scrittore come Flaiano ci ricorda che il Papa non perde la sua “regalità” neppure di fronte all’evento eccezionale di un marziano atterrato a Roma su una navicella cromata. Il passo del racconto ci suggerisce che sì, quell’essere viene da Marte, ma per il Papa quella è una visita come un’altra perché il Pontefice amministra in terra il Regno dei Cieli, cioè l’intero Universo! Con sottile perfidia Flaiano evoca la prudenza del Papa che mette l’extraterrestre davanti all’incontestabile fatto di essere la guida scelta dallo Spirito Santo, l’ultraterreno è lui, il Papa, non l’alieno.
Obiezione: il Papa non è re. Risposta: il Papa è re. Non solo è il capo infallibile della chiesa, ma è il sovrano dello stato di Città del Vaticano, detentore assoluto dei tre poteri terreni: legislativo, esecutivo e giudiziario. Il Papa è regale. L’11 dicembre del 1925 Pio XI promulgò l’enciclica “Quas Primas” sulla regalità di Gesù. La rilettura di questo documento oggi è istruttiva. Vi (ri)troviamo il regno: “I santi Evangeli non soltanto narrano come Gesù abbia promulgato delle leggi, ma lo presentano altresì nell’atto stesso di legiferare”. E un passaggio premonitore: “La peste della età nostra è il così detto laicismo coi suoi errori e i suoi empi incentivi”. È proprio la regalità del Cristo a illuminare il primato del Papa che, ancora una volta, si rafforza e moltiplica grazie alla distanza del sovrano.
È uno spazio vuoto – quello tra i fedeli e il Papa, tra i sudditi e i principi – che si riempie magicamente di soprannaturale. Su questo tema Marc Bloch scrisse nel 1924 (ancora un testo ricco di presagi che viene dall’inizio del Ventesimo secolo) “I Re Taumaturghi”, un saggio storico sui sovrani francesi che imponendo le mani e recitando la formula “il re ti tocca, Dio ti guarisca” facevano miracoli. Credenza. È la distanza uno degli elementi del sacro nel sovrano e quando essa si annulla o banalizza comincia un processo di disgregazione, un fenomeno che Jacques Le Goff nella prefazione al libro di Bloch descrive così: “Il miracolo esiste a partire dal momento in cui ci si può credere, e tramonta e poi sparisce quando non ci si può più credere”.
Non è una questione di ieraticità, di incedere severo o di apparire composto, di ostentata scenografia sacerdotale, perché la drammaturgia forzata del sacro annulla anch’essa la distanza, la scaraventa brutalmente nell’indesiderato, nello sconosciuto che non attrae. È la storia di un desiderio intimo dell’uomo. La chiesa è come la madre, sensuale, carnale, bramata e amata, ma la realizzazione di questo miracolo, è un gioco dalle delicate “regole dell’attrazione”. È lo stesso Papa Bergoglio a darcene la prova nella sua intervista alla Civiltà Cattolica quando ricorda la poesia di García Lorca, “La sposa infedele”: “E io che me la portai al fiume / credendo che fosse ragazza, / e invece aveva marito”. Il Papa cita quei versi e si trasforma in materiale per Pietro Metastasio: “Voce dal sen fuggita / Poi richiamar non vale; / Non si trattien lo strale / Quando dall’arco uscì”.
Ma i versi di García Lorca conducono ben oltre, cantano la delusione dell’uomo che si comporta “da gitano”, compie il suo “dovere”, si inebria di bellezza, ma la sua storia è avvolta in un velo nero di sensismo derubato del soprannaturale, è il de profundis dell’innamoramento perché quell’uomo è amante senza essere amato, è il tradito dalla bugia di lei che ha marito e non può essere solo per lui, pronto a esserle fedele. Il desiderio si consuma lestamente, al cospetto di una verginità che si rivela illusoria e il mistero evapora nella notte che si fa amara. L’attrazione – ancora una volta – finisce quando s’annulla la distanza e si rivela la finzione.
I dubbi non finiscono. Esco a passeggio, mi concedo un momento da flâneur in una Roma così mite da apparire quel che non è mai stata: arrendevole come un’amante smagata. Passo vicino alla catacomba di Priscilla, mi soffermo a guardare l’ingresso del convento delle Benedettine. Là, nel soffitto di una nicchia, è custodita la più antica raffigurazione di Maria. Rumino pensieri, il tarlo lavora: “È il segno dei tempi?”. Ritorno a casa all’imbrunire, vado a cercare tra i miei libri. Eccolo, il libro di Edgar Morin, scritto nel 1962, leggo: “La religione dispone dei pascoli del cielo; la sua potenza si leva là dove si dissolve la cultura di massa: alle porte dell’angoscia e della morte”. I pascoli, il gregge, il buon pastore. É così, caro direttore, che torno sui passi da dove ero partito, a Campo Marzio. Alzo di nuovo lo sguardo sulla volta. Qui ritrovo i “pascoli celesti” dipinti da Andrea Pozzo nella Gloria di Sant’Ignazio. Sono i sentieri di una chiesa che cammina tra gli uomini, senza annullare il mistero della fede, l’elemento sopra e naturale, la distanza.
***
Il 2020 è partito a razzo, sarà un periodo di grande cambiamento, si sentono tamburi e ruggiti in lontananza. Stasera brinderemo ancora a questo nuovo anno, alla machiavellica Fortuna, alla vita e all'amore. Per nostra fortuna (minuscola ma ha la sua importanza nella vita di ogni giorno) c'è un elemento indiscusso di continuità con il 2019: il Gin Martini, agitato non mescolato. Sì, vivremo ancora tempi interessanti. Forse troppo.
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4.6 Eventuali eccezioni al diritto di recesso, ove previste da Codice del consumo – decreto legislativo 6
settembre
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7.2 L'Utente si impegna al pagamento del corrispettivo in favore del Fornitore nella misura e con le
modalità definite
nei precedenti articoli.
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forma non
collettiva e senza scopo di lucro; l'Utente è inoltre responsabile per qualsiasi uso non autorizzato
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7.4 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
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immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
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8. Tutela della proprietà intellettuale e industriale
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danni.
9. Manleva
9.1 L'Utente si impegna a manlevare e tenere indenne il Fornitore contro qualsiasi costo – inclusi gli
onorari degli
avvocati, spesa o danno addebitato al Fornitore o in cui il Fornitore dovesse comunque incorrere in
conseguenza di usi
impropri del Servizio da parte dell'Utente o per la violazione da parte di quest'ultimo di obblighi
derivanti dalla
legge ovvero dai presenti termini d'uso.
10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
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esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.