11 Agosto
Liberare il mercato dalla pigrizia degli intellettuali
Il liberalismo occidentale non è riuscito a mantenere del tutto le proprie promesse e quasi nessuno sembra avere il coraggio di ripensarlo. Un'indagine di Lorenzo Castellani. Perché un liberale non può difendere un establishment compromesso e distruttore del dinamismo sociale
di Lorenzo Castellani
C’è un grande problema sotto la luce del sole che continua ad essere oscurato da gran parte dei partecipanti al dibattito pubblico: il liberalismo occidentale non è riuscito a mantenere del tutto le proprie promesse e quasi nessuno sembra avere il coraggio di ripensarlo. L’era iniziata nel 1989 intendeva assicurare due movimenti alla popolazione occidentale: una crescita economica continua unita allo sviluppo tecnologico e una maggiore mobilità sociale. Un mondo fluido in cui l’individuo dei ceti sociali avrebbe potuto, grazie allo Stato sociale e alla potenza della mano invisibile, scalare le gerarchie sociali sulla base delle proprie abilità.
Quei due decenni furono incentrati sull’apertura dei mercati globali, delle opportunità cosmopolite e su un centrismo politico moderato. Raramente nella storia si era vista tanta omogeneità intellettuale: Blair somigliava alla Thatcher, Clinton al predecessore Reagan, il comunismo era sparito e il nazionalismo addomesticato. Tutto tendeva alla moderazione liberale e negli uffici di università e istituzioni internazionali si disegnavano riforme di manutenzione. Il mondo sembrava correre da solo, oliato dalla tecnocrazia, dal capitalismo globale, dalla mobilità diffusa. Si tratteggiava una retorica ottimista: il libero mercato avrebbe garantito il funzionamento dell’ascensore sociale e la concorrenza tra imprese. Tutti avrebbero goduto di maggiori opportunità economiche e personali.
Nell’euforia si perdeva di vista, però, che la proprietà privata è intrinsecamente monopolista e che le imprese tendono alla collusione più che alla competizione. Come ricordano due studiosi americani, Eric Posner e Glenn Weyl, nel recente libro Radical Markets si è confuso il laissez-faire, assenza d’intervento governativo rispetto all’economia, e libero mercato, che diviene libero proprio perché il potere politico interviene a spezzare i cartelli e le collusioni. Si determinavano così nuovi monopoli, come quelli tecnologici legati ad internet, e si accumulavano nuove rendite, attraverso un sistema finanziario compiacente con la politica che moltiplicava...
di Lorenzo Castellani
C’è un grande problema sotto la luce del sole che continua ad essere oscurato da gran parte dei partecipanti al dibattito pubblico: il liberalismo occidentale non è riuscito a mantenere del tutto le proprie promesse e quasi nessuno sembra avere il coraggio di ripensarlo. L’era iniziata nel 1989 intendeva assicurare due movimenti alla popolazione occidentale: una crescita economica continua unita allo sviluppo tecnologico e una maggiore mobilità sociale. Un mondo fluido in cui l’individuo dei ceti sociali avrebbe potuto, grazie allo Stato sociale e alla potenza della mano invisibile, scalare le gerarchie sociali sulla base delle proprie abilità.
Quei due decenni furono incentrati sull’apertura dei mercati globali, delle opportunità cosmopolite e su un centrismo politico moderato. Raramente nella storia si era vista tanta omogeneità intellettuale: Blair somigliava alla Thatcher, Clinton al predecessore Reagan, il comunismo era sparito e il nazionalismo addomesticato. Tutto tendeva alla moderazione liberale e negli uffici di università e istituzioni internazionali si disegnavano riforme di manutenzione. Il mondo sembrava correre da solo, oliato dalla tecnocrazia, dal capitalismo globale, dalla mobilità diffusa. Si tratteggiava una retorica ottimista: il libero mercato avrebbe garantito il funzionamento dell’ascensore sociale e la concorrenza tra imprese. Tutti avrebbero goduto di maggiori opportunità economiche e personali.
Nell’euforia si perdeva di vista, però, che la proprietà privata è intrinsecamente monopolista e che le imprese tendono alla collusione più che alla competizione. Come ricordano due studiosi americani, Eric Posner e Glenn Weyl, nel recente libro Radical Markets si è confuso il laissez-faire, assenza d’intervento governativo rispetto all’economia, e libero mercato, che diviene libero proprio perché il potere politico interviene a spezzare i cartelli e le collusioni. Si determinavano così nuovi monopoli, come quelli tecnologici legati ad internet, e si accumulavano nuove rendite, attraverso un sistema finanziario compiacente con la politica che moltiplicava i mutui. I grandi patrimoni si ingrassavano, le imprese internazionalizzate meritoriamente prosperavano, mentre il mercato interno faticava e chiudeva. Contemporaneamente le università diventavano più costose e si ampliava la forbice tra grandi atenei internazionali e piccole realtà locali. Falliva progressivamente l’idea della uguaglianza delle condizioni di partenza tra individui, teorizzata da Dahrendorf e Berlin, come presupposto dello Stato liberale contemporaneo.
Sono nati nuovi monopoli, come quelli tecnologici legati ad internet, accumulate nuove rendite. I grandi patrimoni si ingrassano, le imprese internazionalizzate meritoriamente prosperano, mentre il mercato interno fatica e chiude.
Inoltre, i governi hanno continuato a mantenere in regime di monopolio in molti settori e a sottrarre alle gare troppi servizi. Quando invece l’apertura alla concorrenza avrebbe garantito più crescita e maggiore qualità. Grandi imprese pubbliche e private prevalevano nei mercati regolati grazie alla vicinanza tra policy-makers, proprietà imprenditoriale e sistema bancario. Il lobbismo, forma ineliminabile di questa democrazia, imprigionava il mercato più che liberarne gli spiriti e creava un capitalismo clientelare penalizzante per chi cercava di entrare nel mercato.
Questo coacervo di interessi pubblici e privati ha avvantaggiato il grande capitalismo e l’alta burocrazia di Stato pregiudicando l’ascesa di chi partiva dai piccoli business e soffocando chi non riusciva a capitalizzarsi. La produttività, mantra degli economisti moderni, declinava progressivamente, seppur in percentuali diverse, in tutto il mondo occidentale, ed in Europa in particolare, dopo essere esplosa tra il Dopoguerra e la metà degli Anni Sessanta. La crisi del 2008 aggiungeva una disoccupazione che in Europa continua a mantenersi prossima al 10 per cento. Certo, emergevano nuovi filoni d’oro come la finanza e le big tech, tuttavia queste hanno prodotto pochi posti di lavoro in rapporto alla ricchezza prodotta e l’accesso alle loro posizioni non è stato propriamente alla portata di tutti. Per scalare le posizioni di fondi e grandi banche è richiesta quasi sempre una formazione internazionale e anche se la leggenda vuole che siano nate in un garage Google e Facebook hanno dietro le grandi università americane e poi i fondi di Wall Street.
Certo, sono emersi nuovi filoni d’oro come la finanza e le big tech, tuttavia queste hanno prodotto pochi posti di lavoro in rapporto alla ricchezza prodotta e l’accesso alle loro posizioni non è stato propriamente alla portata di tutti.
Ciò per raccontare che la nuova economia ha diviso i piani: da un lato i territorializzati legati ai lavori tradizionali e dall’altro i globalizzati dei nuovi mestieri. E il passaggio dall’uno all’altro piano non si dimostra agevole, almeno non senza una minima base economica ed educativa garantita dalla famiglia. Poi è arrivata la crisi e ha reso palese questo stato di cose. La stagnazione, la disoccupazione e la crescita della diseguaglianza interna ai paesi occidentali si sono sommate mandando in frantumi la promessa di emancipazione dei nati dopo gli Anni Ottanta. Queste trasformazioni sociali, insieme alla nascita di nuove correnti culturali, hanno determinato le conseguenze politiche che analizziamo quotidianamente sul taccuino di List.
In questa situazione chi ha una educazione o una posizione politica liberale non può continuare a fare finta che tutto vada bene e che sarà la mano invisibile a ripristinare automaticamente la mobilità sociale. Per definizione un liberale non può difendere un establishment compromesso e distruttore del dinamismo sociale, come sottolinea bene il Professor Codevilla in The Ruling Class. Dalla crisi il liberalismo può imparare qualcosa e cioè che la collusione tra politica e capitalismo è un problema irrisolto, soprattutto nel Ventunesimo Secolo. Ciò apre nuovi scenari per chi crede nella libertà individuale. Ad esempio, c’è un mercato, soprattutto quello tecnologico ed editoriale, che tende ad organizzarsi in mega monopoli basati sul controllo dei dati. Dati che sono forniti gratuitamente dall’utente alle aziende monopoliste. È giusto?
Se i dati hanno valore commerciale allora perché all’utente che li fornisce non viene corrisposto nulla? Piattaforme social così ampie dovrebbero pagare la materia prima o aprire a tutti il proprio azionariato per ricevere i dati su cui costruiscono il proprio business. In altre parole servirebbe un sistema di prezzi per i dati degli utenti. In questo senso il rafforzamento delle norme e delle autorità anti-trust appare fondamentale per spezzare i nuovi monopoli. Lo stesso vale per i servizi pubblici: perché i cittadini di una data città non vengono incentivati a possedere azioni delle società che erogano i servizi pubblici a loro destinati? Il controllo sull’operato e la pretesa dell’efficienza sarebbero ben maggiori rispetto ad oggi, dove la contribuzione si basa prevalentemente sulle tasse.
L’idea di un capitalismo popolare, di moda negli Anni Ottanta, non si è mai realizzata ma oggi, grazie anche alla tecnologia, sarebbe un ideale più facile da raggiungere e rimetterebbe gli individui al centro del mercato. Allo stesso modo il concetto di proprietà privata sta cambiando radicalmente: oggi affittiamo quasi tutto ciò che usiamo (auto, appartamenti, stanze ecc). La proprietà privata in senso classico tra i giovani è molto meno diffusa di un tempo e si dovrebbe incentivare forme di continua riallocazione della proprietà (usa e getta) e valorizzazione dei beni in eccesso (si pensi al poter mettere a reddito le seconde case attraverso le nuove app). In queste dinamiche l’interferenza del governo dovrebbe essere ridotta al minimo. Sul fronte dell’istruzione invece, un paese come l’Italia concede molto poco agli studenti a livello creditizio, ma in una economia della conoscenza un paese è perduto senza istruzione. Lo Stato potrebbe farsi da garante di prestiti che permettano ai meritevoli di studiare sia nelle migliori università italiane che all'estro. Da anni viviamo in un loop di antipolitica e rinnovamento, ma nessuno ha proposto di investire un miliardo su una proposta così che renderebbe ben più dinamica la mobilità sociale dei singoli. Anche sul fronte dei prodotti finanziari la politica potrebbe indicare una direzione. L’Italia è un paese ricco di risparmio privato che oggi si dirige verso i mercati tradizionali. Una politica pro-sviluppo delle piccole-medie imprese italiane dovrebbe incentivare la creazione di nuovi prodotti finanziari che aiutino a spostare gli investimenti degli italiani verso le imprese del territorio.
L’idea di un capitalismo popolare, di moda negli Anni Ottanta, non si è mai realizzata ma oggi, grazie anche alla tecnologia, sarebbe un ideale più facile da raggiungere e rimetterebbe gli individui al centro del mercato.
Le trasformazioni della democrazia non possono far prevalere la pigrizia intellettuale per cui il modello democratico di fine Ventesimo Secolo vada difeso a prescindere e senza sentire ragioni. La penetrazione tecnologica nel dibattito politico è un fatto e con essa bisogna confrontarsi. Con un suffragio universale perenne attraverso i social il momento democratico deve continuare ad esaurirsi solamente nelle urne? Un governo potrebbe avvalersi di sistemi informatici che permettono di rilevare gli orientamenti, le priorità e le preferenze degli elettori rispetto a determinate opere, leggi o riforme o anche per valutare il lavoro di eletti e amministratori. Ciò non significa che questi voti debbano avere un valore vincolante per i governi ma possono essere uno strumento utile sia per la decisione che la partecipazione. In fondo la crisi politica che stiamo vivendo è una crisi di legittimità e la tecnologia giocherà un ruolo fondamentale nella sua ricostruzione.
In conclusione gli ultimi trent’anni sembrano aver messo al centro più le grandi imprese e i grandi capitali, le sovrastrutture burocratiche non elettive e gli interessi organizzati invece che l’individuo, l’essere umano come soggetto capace di costruire la propria fortuna. Il problema del liberalismo è stato quello di aver perso la propria radicalità a favore del centrismo politico e della omogeneizzazione culturale. Ecco, dunque, la sfida del liberalismo del Ventunesimo Secolo sarà rimettere al centro l’individuo e le possibilità attraverso cui questo può agire per migliorare la propria condizione: nell’economia, nella politica, nell’amministrazione, nella tecnologia. Per superare la spirale della stagnazione e della diseguaglianza e costruire una nuova prosperità.
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10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.