24 Giugno
Libertà, popolo, élite. La lezione di Huntington
Il cortocircuito della contemporaneità e l'eredità del grande studioso americano. Un'indagine di Lorenzo Castellani sul pensiero di un democratico realista, consigliere di presidenti, teorico dell'organizzazione come condizione della libertà
di Lorenzo Castellani
In questi anni la discussione sulle élite politiche ha goduto di grande popolarità. Molti miti dell’ordine politico occidentale sono caduti o sono stati sfatati dalla storia negli ultimi trent’anni. Subito si è corsi ai ripari per comprendere cosa non funzionasse nel popolo e si è poi scoperto che, più probabilmente, qualcosa non stava funzionando nelle alte sfere della società. Di fatti, l’élite è andata incontro ad un processo di globalizzazione, è fuggita verso il cosmopolitismo e l’internazionalismo, si è isolata culturalmente prima che economicamente dal resto della popolazione. Ciò che oggi si rappresenta come establishment è l’individuo anywhere, che grazie alla sua formazione internazionale e alla sua mentalità globale può vivere e lavorare ovunque, senza patria né tradizione. Può rifuggire la comunità d’origine e costruire la propria vita in metropoli extraterritoriali, ove s’incrocia quasi esclusivamente con i suoi simili globalizzati.
Tuttavia, negli ultimi dieci anni questo sistema ha iniziato ad entrare in crisi. Il mondo piatto e senza confini, la fine dello Stato-nazione, l’affermazione globale della democrazia liberale, la diffusione su scala mondiale dei diritti umani fantasticati dall’accademia cosmopolita e progressista sono stati abbattuti dall’incidere pesante della storia. Siamo entrati nell’era delle delegittimazione politica e culturale degli anywheres, la gran parte della popolazione non-globalizzata si è risvegliata ed ha iniziato a votare per partiti proni a difendere i sui interessi, si è materializzata la rivolta dei somewheres. Vista con lo specchietto retrovisore questa fase storica ci appare piena di bolle intellettuali esplose, di universalismo utopico, di fantasticherie democratiche, d’illusioni idealistiche. Gli anni Ottanta e Novanta sembrano popolati da una classe intellettuale colma di sovrastimato ottimismo e di pedagogia individualistica.
In quegli anni poche erano le eccezioni intellettuali a questo regime culturale e tra di essi una delle più potenti è senza dubbio il pensiero di...
di Lorenzo Castellani
In questi anni la discussione sulle élite politiche ha goduto di grande popolarità. Molti miti dell’ordine politico occidentale sono caduti o sono stati sfatati dalla storia negli ultimi trent’anni. Subito si è corsi ai ripari per comprendere cosa non funzionasse nel popolo e si è poi scoperto che, più probabilmente, qualcosa non stava funzionando nelle alte sfere della società. Di fatti, l’élite è andata incontro ad un processo di globalizzazione, è fuggita verso il cosmopolitismo e l’internazionalismo, si è isolata culturalmente prima che economicamente dal resto della popolazione. Ciò che oggi si rappresenta come establishment è l’individuo anywhere, che grazie alla sua formazione internazionale e alla sua mentalità globale può vivere e lavorare ovunque, senza patria né tradizione. Può rifuggire la comunità d’origine e costruire la propria vita in metropoli extraterritoriali, ove s’incrocia quasi esclusivamente con i suoi simili globalizzati.
Tuttavia, negli ultimi dieci anni questo sistema ha iniziato ad entrare in crisi. Il mondo piatto e senza confini, la fine dello Stato-nazione, l’affermazione globale della democrazia liberale, la diffusione su scala mondiale dei diritti umani fantasticati dall’accademia cosmopolita e progressista sono stati abbattuti dall’incidere pesante della storia. Siamo entrati nell’era delle delegittimazione politica e culturale degli anywheres, la gran parte della popolazione non-globalizzata si è risvegliata ed ha iniziato a votare per partiti proni a difendere i sui interessi, si è materializzata la rivolta dei somewheres. Vista con lo specchietto retrovisore questa fase storica ci appare piena di bolle intellettuali esplose, di universalismo utopico, di fantasticherie democratiche, d’illusioni idealistiche. Gli anni Ottanta e Novanta sembrano popolati da una classe intellettuale colma di sovrastimato ottimismo e di pedagogia individualistica.
In quegli anni poche erano le eccezioni intellettuali a questo regime culturale e tra di essi una delle più potenti è senza dubbio il pensiero di Samuel Huntington, scienziato politico americano di controversa fama. Chi è Huntington? Un figlio della classe media americana, prodigio accademico formatosi tra Yale, Harvard e Chicago, asceso all’élite intellettuale poco più che ventenne quando ottenne la sua prima cattedra all’università. Intellettuale impegnato nell’analisi e nella provocazione politica, consigliere di Presidenti democratici come Lyndon Johnson e Jimmy Carter, fin da giovane vicino alle strutture del deep state americano. Sebbene la vulgata comune lo abbia dipinto come un alfiere del conservatorismo Samuel Huntington è sempre stato un democratico. Realista, vigile, sospettoso ma pure sempre democratico.
Samuel Huntington (Foto Ansa)La sua carriera iniziò con gli studi militari e con il libro The Soldier and the State, mai tradotto in italiano, dove si sentono gli influssi europei di Clausewitz, Weber e Carl Schmitt. Questa sua attenzione per la complessità e la profondità del pensiero politico europeo e l’attenzione per la storia dello Stato ne faranno uno scienziato politico americano decisamente sui generis. Tanto che dopo gli studi del potere militare egli si concentrerà sulla storia delle istituzioni politiche, sui processi di democratizzazione e sullo studio degli autoritarismi.
Con L’ordine politico ed il cambiamento sociale Huntington apriva campi di ricerca inusuali ed innovativi negli Stati Uniti, in cui mescolava la potenza della filosofia europea con l’empirico pragmatismo americano. Emergeva, in questa opera del 1968, un tormento intellettuale che lo perseguiterà tutta la vita: il concetto di ordine politico e le modalità attraverso cui esso si realizza. Egli scriveva “l’organizzazione è la strada che porta al potere politico, ma è anche il fondamento della stabilità politica e la precondizione della libertà”. L’organizzazione e la classificazione dei fenomeni politici saranno per Samuel Huntington una vera ossessione ed una fonte di stupore per il resto del mondo. Il simbolo di una mente politica potente, razionale e sistematica. Un metodo che dispiegherà con grande abilità nella sua opera più famosa, Lo scontro di civiltà, pubblicata nel 1996.
La vera innovazione di questo libro risiede nel ragionare per civiltà, sistema che Huntington aveva derivato da due dei suoi maestri intellettuali: gli storici Arnold Toynbee e Carroll Quigley. Nelle sue opere sulla storia delle civiltà Toynbee aveva analizzato ventisei civiltà diverse le cui esistenze si legavano all’andamento dei cicli religiosi. Lo storico inglese credeva che, anche nelle società democratiche mature, fossero le “minoranze creative” a muovere la storia, manipoli di uomini straordinari che orientavano la via delle civiltà.
Invece Carroll Quigley, controverso storico delle élite spesso accusato di ricostruzioni complottiste, di civiltà ne riconosceva sette, con uno schema che Huntington riprodurrà integralmente proprio in The Clash of Civilizations. Anche Quigley, che era stato maestro di personaggi eminenti come il futuro Presidente Bill Clinton, credeva che la grande politica fosse appannaggio esclusivo delle élite. In particolare, egli descriveva il potere americano come un intreccio osmotico tra establishment politico, economico, finanziario ed amministrativo. Nelle particolarissime e dettagliate ricostruzioni di Tragedy and Hope, mastodontica opera introvabile fino a qualche anno fa, l’affresco che emergeva era un intreccio fenomenale tra élite di foggia diversa. In esso gli Stati Uniti apparivano più come una oligarchia, spesso con tratti dinastici, che come una democrazia popolare. Una ricostruzione storica eterodossa che costerà non poche critiche e censure al Professor Quigley.
Da questi buoni maestri, dunque, Huntington mutuò la struttura su cui applicare i suoi ragionamenti sulle civiltà. Il grande scienziato politico era conscio delle critiche che questa generalizzazione gli avrebbe fatto piovere addosso e di conseguenza scelse di giustificare tale approccio attraverso la filosofia della scienza di Thomas Kuhn: nessuna teoria sarà mai in grado di spiegare tutto, dunque la scelta deve cadere sulla teoria che, a giudizio dello studioso, meglio è in grado di spiegare certi fenomeni del presente. Huntington non cercava dunque una teoria assoluta sul piano storico-politico, ma semplicemente quella che poteva descrivere meglio un certo ciclo storico. E per lui la teoria per meglio spiegare il mondo alla fine della Guerra Fredda era quella dello scontro tra civiltà. Perché la civiltà? Perché a giudizio di Huntington nel mondo contemporaneo le identità culturali contavano e dividevano il mondo più di qualsiasi approccio ideologico, economico o sociologico. Il suo metodo si nutriva di una antropologia negativa secondo cui come uomini “sappiamo chi siamo solo quando sappiamo chi non siamo e spesso solo quando sappiamo contro chi siamo”. Sono dunque le differenze con gli altri gruppi di esseri umani a delineare il senso di appartenenza e, secondo Huntington, non v’è nulla di più forte di usi, costumi, tradizioni e religioni nel costruire l’identità di una civiltà.
Nel nuovo mondo multipolare erano dunque le civiltà a spiegare, meglio delle nazioni o dei continenti, le grandi trasformazioni sullo scacchiere internazionale. In particolare, gli attriti sorgevano tra le quattro civiltà principali: occidentale-cristiana, russa-ortodossa, islamica e sinico-confuciana. Con questa distinzione egli distruggeva le teorie ottimistiche e progressiste sulla diffusione della democrazia liberale e dei diritti umani. Secondo Huntington, infatti, i suoi colleghi peccavano di universalismo quando teorizzavano di poter estendere l’occidentalizzazione a tutte le altre civiltà. Ciò poteva forse avvenire con la globalizzazione economica, ma questa non sarebbe mai riuscita a spazzare via le più profonde differenze identitarie. Egli sosteneva che paesi come la Cina, la Russia o l’Iran si sarebbero modernizzati, ma non occidentalizzati. Avrebbero imbracciato il sentiero dello sviluppo capitalistico e tecnologico globale senza percorre transizioni liberal-democratiche. Secondo lo scienziato politico americano la democrazia liberale e i diritti umani restavano una peculiarità esclusivamente occidentale, segnata dalla storia e della tradizione liberale. Il futuro gli darà ragione.
Così come ragione avrà sullo scontro con l’Islam, che secondo Huntington avrebbe reagito alla globalizzazione economica e all’aggressione dei valori occidentali, i quali provocavano fenomeni di sradicamento e alienazione in una civiltà non secolarizzata e maldisposta a sopportare la modernità occidentale. Ciò avrebbe comportato una radicalizzazione sul piano religioso ed una aggressività diffusa nei confronti della nostra civiltà. La religione islamica avrebbe, di fatti, riempito il vuoto d’identità provocato dalla modernizzazione e della globalizzazione. Ne sarebbero conseguiti attacchi disordinati ed irregolari all’Occidente, per la mancanza di uno Stato-giuda nella civiltà islamica al pari degli Stati Uniti nella civiltà occidentale o della Russia in quella ortodossa, che si sarebbero caratterizzati per incursioni solitarie o di piccoli gruppi terroristici. Siamo nel 1996, l’11 settembre 2001 è lontano ed inimmaginabile, ma Huntington aveva già compreso tutto.
Così come egli intuì molto del confronto presente tra Stati Uniti e Cina. Egli sosteneva che il grande sviluppo economico avrebbe trasformato la civiltà sinica, seppure gradualmente, nel grande rivale di quella occidentale. Al contrario di molti suoi colleghi, accecati dal progressismo liberale, egli non concedeva alcuna possibilità di democratizzazione alla società cinese, che sarebbe rimasta autenticamente autocratica anche nella crescita economica. La Cina si stava modernizzando a modo suo, ma la sua modernità costitutiva un modello alternativo a quello occidentale. L’arrivo di Adam Smith a Pechino non avrebbe dato origine ad alcuna rivoluzione democratica. Non ci sarebbero stati un Thomas Jefferson o un James Madison con gli occhi a mandorla. Con preveggenza, inoltre, Huntington intuì che la Cina sarebbe stata il vero colosso con cui l’Occidente avrebbe dovuto fare i conti e non il Giappone, che tanto preoccupava l’opinione pubblica in quel periodo. Anche su questo punto egli non sbaglierà. Infine, molto interessanti sono le riflessioni di Huntington sullo scontro di civiltà interno ai paesi occidentali dovuti all’immigrazione e alla diffusione del multiculturalismo. Lo scienziato politico di Harvard non era affatto entusiasta della pluralizzazione della società occidentale e nutriva forti dubbi sulla possibilità di integrazione e assimilazione degli immigrati, specie di quelli appartenenti ad altre civiltà. Infatti, secondo Huntington, lo scontro con l’Islam sarebbe nato proprio in seno alla società occidentale. E anche su questo il pensatore americano aveva ragione, basti pensare a quanti tra le seconde generazioni d’immigrati di religione islamica si dedicheranno alla jihad soprattuto in Europa.
Inoltre, nel proliferare di un multiculturalismo disfunzionale Huntington scorgeva le tracce del declino della civiltà occidentale. Secondo l’intellettuale americano, infatti, una civiltà è destinata a declinare quando inizia a consumare capitale a scopo non produttivo, quindi con scarsità di investimenti e lavoro, e insieme subisce l’invasione territoriale da parte di una civiltà più giovane. In questo scenario la civiltà più anziana si lascia conquistare per mancanza di capacità difensiva, a causa del suo lassismo morale, dell’evaporazione della religiosità e del suo invecchiamento demografico. Profezia sinistra e di lungo periodo, ma che suscita una certa realistica inquietudine quando rivolgiamo lo sguardo oltre il presente. Da ultimo, Huntington aveva predetto, e per certi versi auspicato, una ribellione verso questo impasse della civiltà occidentale e verso l’egemonia del pensiero progressista-universalista. Egli sosteneva che il multiculturalismo e la reazione islamica avrebbero spinto nel lungo periodo la civiltà occidentale a preoccuparsi meno delle variabili economiche e di più di quelle identitarie e culturali. Questo approccio avrebbe caratterizzato la politica dell’inizio del ventunesimo secolo e avrebbe reso più unite le società occidentali nel reagire al nemico interno ed esterno. Qualora, invece, le élite non si fossero rese conto di cosa ardeva sotto la cenere della globalizzazione e del multiculturalismo, la loro legittimazione sarebbe stato fortemente messo a rischio. Egli scriveva, lasciando intravedere le crepe attraverso cui si sarebbe infilato l’odierno populismo, che “se le élite istituzionalizzate non competono tra loro per organizzare le masse, saranno le élite dissidenti ad organizzarle per rovesciare il sistema. Nel mondo che si modernizza, chi organizza la politica controlla il futuro.”
Élite americana. Robert, Ted e John Kennedy (Foto National Archives)Di conseguenza, proprio questo ragionare per civiltà e per élite scatena alcune riflessioni conclusive sul pensiero di Huntingon, dei suoi maestri e dei suoi allievi. Perché, viene da chiedersi, nell’ultimo secolo sono stati prevalentemente i pensatori di matrice anglo-sassone a pensare il mondo per civiltà piuttosto che per ideologie politiche o per nazioni? La risposta è che forse i sistemi di produzione delle élite nel mondo anglo-americano agevolano questo tipo di approccio alla politica globale. L’influenza delle grandi famiglie del capitalismo e della politica (si pensi ai Bush, ai Gore, ai Kennedy), l’esclusività delle università d’élite, la miriade di confraternite, logge, fondazioni, club e associazioni filantropiche, le connessioni internazionali del Commonwealth in cui matura l’establishment, conferiscono all’élite del mondo anglo-sassone una maggiore coesione. Questa rete nodale seleziona con costanza ed omogeneità chi occuperà i vertici della società. In America i filtri funzionali che generano la upper class sono stabili e riescono a mescolare l’elemento dinastico con quello meritocratico. Ciò spinge probabilmente la mente anglo-sassone a ragionare più che sulle divisioni ideologiche e sulle fratture interne alla società, al contrario di quella italiana che invece rappresenta l’apice di questo provincialismo, sulle differenze tra civiltà che si dispiegano a livello sovranazionale. E anche per questi motivi non è forse un caso che, da oltre cent’anni, lo Stato-guida dell’Occidente sia sempre lo stesso.
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- di essere maggiorenne;
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o commerciali
eventualmente svolte;
- che tutti i dati forniti per l'attivazione dell'Abbonamento sono corretti e veritieri;
- che i dati forniti saranno mantenuti aggiornati per l'intera durata dell'Abbonamento.
7.2 L'Utente si impegna al pagamento del corrispettivo in favore del Fornitore nella misura e con le
modalità definite
nei precedenti articoli.
7.3 L'Utente si impegna ad utilizzare l'Abbonamento e i suoi contenuti a titolo esclusivamente personale, in
forma non
collettiva e senza scopo di lucro; l'Utente è inoltre responsabile per qualsiasi uso non autorizzato
dell'Abbonamento e
dei suoi contenuti, ove riconducibile all'account dell'Utente medesimo; per questo motivo l'Utente si
impegna ad
assumere tutte le precauzioni necessarie per mantenere riservato l'accesso all'Abbonamento attraverso il
proprio account
(per esempio, mantenendo riservate le credenziali di accesso ovvero segnalando senza ritardo al Fornitore
che la
riservatezza di tali credenziali risulta compromessa per qualsiasi motivo).
7.4 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
8. Tutela della proprietà intellettuale e industriale
8.1 L'Utente riconosce e accetta che i contenuti dell'Abbonamento, sotto forma di testi, immagini,
fotografie, grafiche,
disegni, contenuti audio e video, animazioni, marchi, loghi e altri segni distintivi, sono coperti da
copyright e dagli
altri diritti di proprietà intellettuale e industriale di volta in volta facenti capo al Fornitore e ai suoi
danti causa
e per questo si impegna a rispettare tali diritti.
8.2 Tutti i diritti sono riservati in capo ai titolari; l'Utente accetta che l'unico diritto acquisito con
il contratto
è quello di fruire dei contenuti dell'Abbonamento con le modalità e i limiti propri del Servizio. Fatte
salve le
operazioni di archiviazione e condivisione consentite dalle apposite funzionalità del Servizio, qualsiasi
attività di
riproduzione, pubblica esecuzione, comunicazione a terzi, messa a disposizione, diffusione, modifica ed
elaborazione dei
contenuti è espressamente vietata.
8.3 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
9. Manleva
9.1 L'Utente si impegna a manlevare e tenere indenne il Fornitore contro qualsiasi costo – inclusi gli
onorari degli
avvocati, spesa o danno addebitato al Fornitore o in cui il Fornitore dovesse comunque incorrere in
conseguenza di usi
impropri del Servizio da parte dell'Utente o per la violazione da parte di quest'ultimo di obblighi
derivanti dalla
legge ovvero dai presenti termini d'uso.
10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.