16 Luglio
L'impero finto della Brexit e quello vero di Trump
Leggere il caso della Brexit e l'impatto della visita di Trump. Ridotte le aspirazioni del Leave, la vera domanda riguarda il futuro del governo May. La visita a Londra del Presidente americano certifica la nuova fase imperiale della Casa Bianca. Lorenzo Castellani fa un viaggio nell'Anglosfera.
di Lorenzo Castellani
Per parafrasare Ennio Flaiano, che così si riferiva alla politica in Italia, oggi la situazione nel Regno Unito è grave, ma non seria. Il governo May affronta un tornante della storia con un partito diviso in tante fazioni quante sono le sfumature di Brexit, il piano per l’uscita soft rischia di non avere il supporto del Parlamento, i due più importanti ministri del governo, David Davis e Boris Johnson, si sono appena dimessi. A complicare la situazione ci si è messo anche il Presidente americano Trump che dapprima ha dichiarato il suo apprezzamento per il dimissionario ministro degli Esteri Boris Johnson e poi ha minacciato il Primo Ministro di far saltare l’accordo di libero scambio tra Regno Unito e Stati Uniti se si proseguirà con la soft Brexit. Trump ha poi corretto il tiro, come spesso accade, ma resta il sospetto che per la Casa Bianca la special relationship con gli inglesi non sia poi più così speciale.
Mentre accadeva tutto questo il governo pubblicava il suo white paper con il piano per la soft Brexit. Cosa prevede? La permanenza, di fatto, nel mercato unico per lo scambio di merci (prodotti industriali e agricoli) ribattezzato come accordo di libero scambio; un mutuo riconoscimento della regolamentazione del mercato dei servizi (con la City più libera sul piano regolatorio ma con la possibilità per banche, assicurazioni e fondi che vi risiedono di operare da Londra nel resto dell’Unione Europea); la fine della libera circolazione sostituita da un accordo preferenziale con i paesi UE senza reintroduzione dei visti; la partecipazione britannica alle agenzie del farmaco, dell’aviazione, dei prodotti chimici. Inoltre, la risoluzione delle dispute sulle regole di questo nuovo accordo su sicurezza e commercio sarà sottoposta alla giurisdizione della Corte di Giustizia Europea.
Il governo May affronta un tornante
...di Lorenzo Castellani
Per parafrasare Ennio Flaiano, che così si riferiva alla politica in Italia, oggi la situazione nel Regno Unito è grave, ma non seria. Il governo May affronta un tornante della storia con un partito diviso in tante fazioni quante sono le sfumature di Brexit, il piano per l’uscita soft rischia di non avere il supporto del Parlamento, i due più importanti ministri del governo, David Davis e Boris Johnson, si sono appena dimessi. A complicare la situazione ci si è messo anche il Presidente americano Trump che dapprima ha dichiarato il suo apprezzamento per il dimissionario ministro degli Esteri Boris Johnson e poi ha minacciato il Primo Ministro di far saltare l’accordo di libero scambio tra Regno Unito e Stati Uniti se si proseguirà con la soft Brexit. Trump ha poi corretto il tiro, come spesso accade, ma resta il sospetto che per la Casa Bianca la special relationship con gli inglesi non sia poi più così speciale.
Mentre accadeva tutto questo il governo pubblicava il suo white paper con il piano per la soft Brexit. Cosa prevede? La permanenza, di fatto, nel mercato unico per lo scambio di merci (prodotti industriali e agricoli) ribattezzato come accordo di libero scambio; un mutuo riconoscimento della regolamentazione del mercato dei servizi (con la City più libera sul piano regolatorio ma con la possibilità per banche, assicurazioni e fondi che vi risiedono di operare da Londra nel resto dell’Unione Europea); la fine della libera circolazione sostituita da un accordo preferenziale con i paesi UE senza reintroduzione dei visti; la partecipazione britannica alle agenzie del farmaco, dell’aviazione, dei prodotti chimici. Inoltre, la risoluzione delle dispute sulle regole di questo nuovo accordo su sicurezza e commercio sarà sottoposta alla giurisdizione della Corte di Giustizia Europea.
Il governo May affronta un tornante della storia con un partito diviso in tante fazioni quante sono le sfumature di Brexit, il piano per l’uscita soft rischia di non avere il supporto del Parlamento.
Per alcuni osservatori l’accordo è penalizzante per il Regno Unito che continuerebbe a subire gran parte delle regole dell’Unione senza parteciparne alla vita politica ed istituzionale, per altri è un piano troppo generoso che permetterebbe a Londra di accedere ai vantaggi economici di Bruxelles senza alcuna contribuzione. Probabilmente è contemporaneamente l’una e l’altra cosa. Ciò che è certo è che serviranno anni perché entri in vigore una nuova membership (non prima del 2021) e che il piano verrà rivisto sia dal governo di Downing Street che dai negoziatori di Bruxelles, i quali hanno già fatto sapere di non voler concedere una separazione tra libertà di circolazione delle merci e il resto. Ciò che invece resta incerto è la sopravvivenza stessa del piano e del governo May poiché la maggioranza che dovrebbe votarlo a Westminister sta traballando. Boris Johnson è tornato a scrivere per il Telegraph, voce del popolo conservatore, e si sta preparando a riunire le truppe dei backbenchers brexiteers, i parlamentari di seconda fila che voglio una vera Brexit. Nonostante la stampa internazionale (e quella italiana) considerino esaurita la credibilità del fumantino ex sindaco di Londra, nella realtà la sua influenza politica è ancora molto forte e per questo la futura vita della premiership di Theresa May non è ancora assicurata.
In questo contesto l’intera filosofia alla base del Leave che ha vinto nella cabina elettorale è sul filo del rasoio. Se resisterà la linea della soft Brexit il patto elettorale tra governo e cittadini rischia di saltare (secondo YouGov solo il 17% dei cittadini valuta positivamente la semi-Brexit). Per i Conservatori la situazione si aggraverebbe ulteriormente in termini politici. Sarebbe un fallimento totale.
Boris Johnson è tornato a scrivere per il Telegraph, voce del popolo conservatore, e si sta preparando a riunire i parlamentari di seconda fila che voglio una vera Brexit.
Infatti Brexit ha avuto due origini politiche, la prima sovranista e la seconda globalista. Sovranista è stato il voto popolare, quello della provincia inglese, contro immigrazione e globalizzazione. Una posizione che è sempre stata presente nella tradizione “isolana” britannica e si lega al mito del self-government. Globaliste sono invece state le élite del mondo Leave (perché al contrario di ciò che si dice un pezzo dell’establishment britannico ha ammiccato a Brexit). Qui ci sono gli alfieri dell’idea della Gran Bretagna potenza oceanica e senza confini economici, che non deve perdere tempo con un’Europa franco-tedesca dai tratti burocratici e legalistici e deve invece lanciarsi verso il mondo che cresce, la Cina, i paesi emergenti e la relazione privilegiata con l’America (affievolita dalla partecipazione all’Unione Europea secondo la visione dei brexiteers). Come ai tempi dei Tudor, quando Enrico VIII ed Elisabetta fecero la prima Brexit, rompendo con la Chiesa di Roma e con l’Impero e proiettandosi con i loro velieri corsari nei nuovi mondi.
Oggi il Regno Unito corre il serio rischio di non fare passi avanti in nessuna delle due direzioni, di non riuscire cioè né a staccarsi sovranisticamente dall’Europa (ottenendo una finta indipendenza che marchierebbe come inconcludente l’intero establishment britannico) né a proiettarsi verso il mondo (dove comunque si corre il rischio di farsi amici sbagliati a livello geopolitico come le potenze dell’Asia). Il risultato è un stallo ambiguo, che rischia di protrarsi ancora molti anni. In questo limbo il Regno Unito accusa una potente crisi di identità rispecchiata dal piano del governo e dalla premier Theresa May, una moderata a capo di una maggioranza spuria a tendenza hard Brexit. Con le dimissioni di Davis e Johnson si aprirà una seria crisi nella maggioranza che durerà qualche mese e servirà a capire se: a) sarà ancora sostenibile l’ambiguità della soft Brexit (un fallimento rispetto alla campagna del Leave); b) se fallirà, in culla, il progetto Global Britain di Boris Johnson e brexiteers di fare di Londra un’isola finanziaria e commerciale libera e connessa con tutto il mondo, non solo con i paesi europei; c) se nel futuro di Brexit prevarrà la spinta globalista e sovranista oppure le resistenze ambigue dei remainers come Theresa May e dei poteri della City; d) se l’UE, specie dopo le elezioni del 2019, vorrà bastonare la sua provincia ribelle accettando un accordo blando come il piano May quale pegno per la cattiva scelta democratica oppure la abbandonerà a se stessa.
Il Regno Unito corre il serio rischio di non riuscire né a staccarsi sovranisticamente dall’Europa né a proiettarsi verso il mondo.
In questo scenario la Brexit è la cartina di tornasole di un cambiamento di paradigma enorme nella politica internazionale dei paesi occidentali. Non c’è soltanto il riaffiorare del sovranismo, ma una nuova filosofia impressa dalla presidenza Trump. La Casa Bianca è entrata in una nuova fase imperiale volta a riequilibrare i rapporti tra Stati Uniti e resto del mondo. Si disinteressa della compattezza del mondo occidentale, chiede ai partners una maggiore partecipazione sul fronte della difesa, disconosce l’autorità delle istituzioni europee, soffia sul vento populista. Trump ragiona per obiettivi che seguono soltanto l’interesse americano, America First d’altronde è il programma per cui è stato eletto. I dazi su acciaio e alluminio si muovono in questa logica, le pressioni su Angela Merkel e l’industria delle auto tedesche pure. Il Regno Unito sembra oggi, nella concezione trumpiana, uno strumento per dividere l’Europa e costruire relazioni bilaterali. L’applicazione di principio antico, nel corpus degli arcana imperii di una altro impero, quello romano: divide et impera.
La Casa Bianca è entrata in una nuova fase imperiale. Si disinteressa della compattezza del mondo occidentale. Trump ragiona per obiettivi che seguono soltanto l’interesse americano, America First.
In tutto questo l’Unione europea sembra essere incapace di una risposta politica univoca. Ciò che è emerso dal meeting Nato sembra essere la volontà di piegarsi alle richieste americane sul fronte della difesa per evitare un’aspra guerra commerciale con Washington. Tuttavia, la pace del commercio non è affatto garantita ed è stata già violata da Trump con i primi dazi. Il riaffiorare dei nazionalismi europei, inoltre, indebolisce ulteriormente la tenuta delle istituzioni e non è un caso se la Casa Bianca continua ad incoraggiare i partiti nazionalisti europei. C’è il rischio, corso volontariamente da Washington, che l’Europa resti imprigionata di fronte ad un bivio: piegandosi alle richieste di Trump si creerà un nuovo equilibrio ma gli europei subiranno dei danni economici; qualora, invece, ciò non avvenisse si rischierebbe lo scivolamento di pezzi dell’Europa verso altre potenze come Cina e Russia.
Da ultimo bisognerebbe chiedersi perché la Casa Bianca può permettersi un atteggiamento così aggressivo e sfrontato con i paesi europei nel perseguire il proprio interesse nazionale. Per dirla con Henry Kissinger, uno che ha spesso compreso le dinamiche internazionali con qualche anno di vantaggio sugli altri, “se telefono a Bruxelles non risponde nessuno”. L’Unione Europea oggi è un castello di carta, prigioniera contemporaneamente dei nazionalismi e di un difetto di realismo ereditato dall’establishment liberal che continua a governarla. Oggi l’Unione Europea non è una potenza geopolitica. E questo spiega molto del nuovo scenario internazionale e delle mosse di Trump, che spesso sembrano incomprensibili alla logica degli osservatori. Una logica vecchia perché superata da una storia, piena di rischi, che si muove sempre più in fretta.
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l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.