8 Aprile
L'Italia sospesa
Come far ripartire il paese? Assenza di domanda, pressione fiscale invariata, debito e burocrazia. La disparità di trattamento riservata agli autonomi. Il rischio di un tracollo del privato. Un'indagine in cinque punti di Lorenzo Castellani sulla crisi del coronavirus
di Lorenzo Castellani
Il governo ha approvato un nuovo decreto per fronteggiare l’emergenza economica in cui è piombato il Paese a causa dell’epidemia di coronavirus. Al di là delle analisi tecniche, il provvedimento, ed il dibattito politico in corso, ci consegnano una fotografia dello scenario in cui versa l'Italia in questi giorni che può essere analizzato in una prospettiva temporale più ampia. Andiamo con ordine, partendo proprio dalle misure economiche del governo.
È stato lanciato un sistema di prestiti per classi di fatturato, con la garanzia dello Stato e la cooperazione degli istituti di credito. Il cuore del problema è il seguente: se si erogano prestiti, dunque le aziende accumulano debito, ma le tasse restano le stesse (al massimo vengono parzialmente posposte), allora esiste il rischio concreto che l’intera operazione sia poco più di una partita di giro. In altre parole, parte o tutto il nuovo credito alle imprese, specie le più piccole e deboli, rischia di essere destinato al pagamento del fisco nel prossimo anno. Lo Stato dà, lo Stato toglie. Sarebbe servito, in accompagnamento a queste misure di finanziamento, un robusto taglio fiscale, che però non è possibile a causa delle piangenti casse pubbliche. Appare evidente che, anche in questo caso, lo Stato non sia la soluzione, ma il problema. Spesso, inoltre, questo nuovo debito sarà utilizzato per pagare debiti pregressi e, naturalmente, maturerà interessi passivi. I prossimi mesi ci diranno il successo o meno dell’iniziativa governativa, ma il rischio che tutto si traduca in una bolla di sapone non è da escludere.
Il secondo punto, invece, è dato dalla disparità di trattamento tra dipendenti pubblici e autonomi. C’è una parte di paese che a fine mese ha lo stipendio assicurato e ce ne è un’altra che è sempre esposta ai rovesci di fortuna dell’economia e della finanza...
di Lorenzo Castellani
Il governo ha approvato un nuovo decreto per fronteggiare l’emergenza economica in cui è piombato il Paese a causa dell’epidemia di coronavirus. Al di là delle analisi tecniche, il provvedimento, ed il dibattito politico in corso, ci consegnano una fotografia dello scenario in cui versa l'Italia in questi giorni che può essere analizzato in una prospettiva temporale più ampia. Andiamo con ordine, partendo proprio dalle misure economiche del governo.
È stato lanciato un sistema di prestiti per classi di fatturato, con la garanzia dello Stato e la cooperazione degli istituti di credito. Il cuore del problema è il seguente: se si erogano prestiti, dunque le aziende accumulano debito, ma le tasse restano le stesse (al massimo vengono parzialmente posposte), allora esiste il rischio concreto che l’intera operazione sia poco più di una partita di giro. In altre parole, parte o tutto il nuovo credito alle imprese, specie le più piccole e deboli, rischia di essere destinato al pagamento del fisco nel prossimo anno. Lo Stato dà, lo Stato toglie. Sarebbe servito, in accompagnamento a queste misure di finanziamento, un robusto taglio fiscale, che però non è possibile a causa delle piangenti casse pubbliche. Appare evidente che, anche in questo caso, lo Stato non sia la soluzione, ma il problema. Spesso, inoltre, questo nuovo debito sarà utilizzato per pagare debiti pregressi e, naturalmente, maturerà interessi passivi. I prossimi mesi ci diranno il successo o meno dell’iniziativa governativa, ma il rischio che tutto si traduca in una bolla di sapone non è da escludere.
Il secondo punto, invece, è dato dalla disparità di trattamento tra dipendenti pubblici e autonomi. C’è una parte di paese che a fine mese ha lo stipendio assicurato e ce ne è un’altra che è sempre esposta ai rovesci di fortuna dell’economia e della finanza statale. I dipendenti pubblici, come i pensionati, sono garanti; gli imprenditori, le partite IVA, i commercianti ed i loro dipendenti non lo sono. I primi non hanno chiuso, non hanno perso nulla, mentre i secondi sono stati costretti alla serrata subendo un enorme e prolungato danno. L’elettorato delle forze di maggioranza, tuttavia, è di gran lunga prevalente nella prima categoria che nella seconda. Un dato che non lascia ben sperare per l’attenzione e l’azione, che invece sarebbe necessaria, verso il settore privato, precario ed indebolito.
Il terzo punto riguarda la china presa dal paese negli ultimi dieci anni. Il rischio vero è che il Covid-19 finisca il lavoro della crisi finanziaria del debito sovrano del 2010, decimando ulteriormente la classe media e gli autonomi non garantiti. Il Paese è entrato in una dinamica sud-americana, non tanto e non solo per l’avvento dell’antipolitica e dei partiti anti-establishment, quanto per la sua composizione sociale: classe media polverizzata, establishment parassitario, elevata disoccupazione, diffuse sacche di povertà, scarsa mobilità sociale. Ciò che resta all’Italia è qualche pezzo residuo di grande industria, per lo più statale, e una oligarchia imprenditoriale di qualche migliaio di esportatori. Non è poco, ma il collasso del mercato interno sacrificherebbe altre centinaia di migliaia di posti di lavoro. Queste attività a rischio chiusura potranno anche essere imprese micro, forse troppo piccole, inefficienti e con bassa produttività come sostengono alcuni blasonati economisti, ma sono pur sempre attività che danno lavoro a tante famiglie. E non siamo nella situazione in cui ci si può permettere d’invocare il darwinismo sociale tra i produttori. L’ulteriore assottigliamento di queste fasce comporterebbe una crescita ulteriore di rabbia sociale, di richiesta d’aiuto nei confronti di uno Stato sempre più indebitato e colabrodo, di sfiducia nei confronti di tutte le istituzioni e di proliferazione dell’illegalità.
Il quarto punto è il cambiamento dell’allineamento politico che si è verificato in questi anni. Se guardiamo alla geografia elettorale italiana, viviamo nel paradosso per cui chi sta dalla parte dei garantiti dallo Stato vota per chi chiede, o almeno è disposto ad accettare, una politica economica più disciplinata e austera, come comandato dall’Unione Europea; mentre chi produce e lavora senza garanzie, vessato da tasse e burocrazia, invoca un maggiore interventismo dello Stato e una politica fiscale espansiva. L’esatto contrario delle posizioni che si avevano fino a quindici anni fa, quando la politica aveva ancora una minima logica. Ciò perché ormai i garantiti dalla spesa pubblica sono beati possidentes, e quindi conservatori. Mentre i precari del privato chiedono spesa pubblica di sostegno alle attività produttive e per le infrastrutture, ma i soldi pubblici sono ora più che mai agli sgoccioli. Il risultato è una miscela socialmente e politicamente esplosiva, i cui risultati si sono visti negli ultimi anni.
Il quinto e ultimo punto è legato alle trattative in sede europea di queste settimane. Se il blocco germanico dovesse rendere particolarmente complessa la posizione italiana, a causa dell’elevato debito pubblico, quale parte del Paese pagherà maggiormente la ristrettezza economica? La domanda è retorica, sappiamo che toccherà ancora una volta a coloro che sono meno tutelati dallo Stato. Non saranno le pensioni, il reddito di cittadinanza o gli stipendi pubblici ad essere toccati dalla crisi. Tuttavia, al governo occorrerebbe forse porsi due domande: chi pagherà il vasto apparato pubblico ed i suoi sussidi, finanziati dalle tasse dei produttori, se i privati s’inabisseranno ulteriormente? Siamo certi che per mancanza di coraggio e una certa dose di dipendenza da vincoli esterni, all’establishment italiano convenga, sul piano politico, che sia completata la moria della classe media iniziata dieci anni fa? E che gli attuali partiti della maggioranza siano abbastanza forti da correre il rischio di fronteggiare da soli una potenziale nuova crisi economica e sociale?
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9.1 L'Utente si impegna a manlevare e tenere indenne il Fornitore contro qualsiasi costo – inclusi gli
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derivanti dalla
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10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
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10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
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l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
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