1 Aprile
Oriente e Occidente. Una storia di guerra (e poca pace)
WeekList. L'ascesa della Cina e delle tigri asiatiche, l'America di Trump, il Giappone. Mondi in perenne stato di collisione e incomprensione. Un viaggio di Daniela Coli nella cultura orientale.
di Daniela Coli
Nel 2014 Sergio Romano, che conosce bene gli Stati Uniti, e non è certo un anti-americano, nel "Declino dell'impero americano", prendeva atto di un inevitabile tramonto, perché l'America non era più capace di fare il gendarme del mondo, e perché la sua egemonia era minacciata dalla crescita della Cina, seconda potenza economica, e dal ritorno della Russia. Un declino iniziato proprio dopo la fine della Russia sovietica, dopo la scomparsa dell'ex-alleato con cui nel 1945 avevano dato il via a un nuovo ordine internazionale, durante una fase di grande crescita degli States, tanto da fare pensare a Francis Fukuyama alla fine della storia. Diventati "nazione indispensabile" con la Nato trasformata in strumento militare per esportare la democrazia nel mondo, gli Stati Uniti con la globalizzazione, lanciata durante la presidenza Clinton, sembravano avviati verso una costruzione simile a quella realizzata dall'impero britannico dal XVIII al XIX secolo, quando il 9/11 e la comparsa di Bin Laden offrirono l'alibi per un rilancio politico militare con la "guerra al terrore" e di un progetto di espansione e di americanizzazione del Medio Oriente.
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Le disfatte subite in Medio Oriente da Bush jr e Obama hanno condotto alla perdita di alleati chiave come la Turchia e all'allontanarsi di alleati come Israele, dopo il ritorno in Medio Oriente della Russia, che non aveva digerito il regime change in Ucraina e il prevedibile inserimento di quest'ultima nella Nato. L'arrivo di Trump sulla scena politica è l'America imperiale che ha lanciato la globalizzazione e non è più in grado di controllarla. Con America First e MAGA Trump ha denunciato il problema dell'impoverimento della middle class e dei lavoratori americani, mentre milioni e milioni di persone dei paesi...
di Daniela Coli
Nel 2014 Sergio Romano, che conosce bene gli Stati Uniti, e non è certo un anti-americano, nel "Declino dell'impero americano", prendeva atto di un inevitabile tramonto, perché l'America non era più capace di fare il gendarme del mondo, e perché la sua egemonia era minacciata dalla crescita della Cina, seconda potenza economica, e dal ritorno della Russia. Un declino iniziato proprio dopo la fine della Russia sovietica, dopo la scomparsa dell'ex-alleato con cui nel 1945 avevano dato il via a un nuovo ordine internazionale, durante una fase di grande crescita degli States, tanto da fare pensare a Francis Fukuyama alla fine della storia. Diventati "nazione indispensabile" con la Nato trasformata in strumento militare per esportare la democrazia nel mondo, gli Stati Uniti con la globalizzazione, lanciata durante la presidenza Clinton, sembravano avviati verso una costruzione simile a quella realizzata dall'impero britannico dal XVIII al XIX secolo, quando il 9/11 e la comparsa di Bin Laden offrirono l'alibi per un rilancio politico militare con la "guerra al terrore" e di un progetto di espansione e di americanizzazione del Medio Oriente.
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Le disfatte subite in Medio Oriente da Bush jr e Obama hanno condotto alla perdita di alleati chiave come la Turchia e all'allontanarsi di alleati come Israele, dopo il ritorno in Medio Oriente della Russia, che non aveva digerito il regime change in Ucraina e il prevedibile inserimento di quest'ultima nella Nato. L'arrivo di Trump sulla scena politica è l'America imperiale che ha lanciato la globalizzazione e non è più in grado di controllarla. Con America First e MAGA Trump ha denunciato il problema dell'impoverimento della middle class e dei lavoratori americani, mentre milioni e milioni di persone dei paesi e continenti più poveri del mondo si arricchivano con la delocalizzazione delle imprese e degli investimenti americani.
Con America First e MAGA Trump ha denunciato il problema dell'impoverimento della middle class e dei lavoratori americani.
Nel mirino di Trump è entrata subito la Cina diventata dagli anni Settanta, grazie all'opera di Nixon e Kissinger, al trasferimento di impianti e capitali, una enorme fabbrica di innumerevoli prodotti di qualità a basso prezzo. Una nazione povera che diventa una potenza. Così rinasce il protezionismo, lo stop all'immigrazione, il muro col Messico, la guerra commerciale, i dazi sull'acciaio a Cina e Giappone, la fine dei trattati commerciali transatlantici con gli alleati europei e in Asia e la messa in discussione della Nato, se gli europei non aumentano il loro contributo economico all'Alleanza. Trump ha avuto successo in America e anche in Europa dove i tradizionali partiti atlantici hanno subito sconfitte ad opera di nuovi partiti anti-globalisti o nazionalisti, perché in Europa le guerre mediorientali - e soprattutto quella di Libia - hanno prodotto un'immigrazione incontrollata, oltre alla povertà e disoccupazione provocata dalla delocalizzazione delle imprese.
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È chiaro che uno Stato senza frontiere non ha futuro, ma neppure possiamo tornare allo stato commerciale chiuso di Jacob Fichte. Esempio: la Cina, che ha investito molto in Africa, continente da cui proviene gran parte dell'immigrazione incontrollata che raggiunge il nostro paese, per l'Italia può essere per un partner importante. Dell'Asia però sappiamo poco, parliamo di tigri e dragoni, mentre l'Asia conosce noi, la nostra lingua, cultura, storia. Cosa sappiamo davvero sull'Oriente, la Cina? Sì, certo, c'eravamo anche noi italiani insieme ad americani, inglesi, tedeschi, francesi, russi e belgi e perfino giapponesi e indiani a domare i Boxer nel 1900. Ma quella grande rivolta, la violenza furiosa contro tutto ciò che era straniero, in una Cina divisa in colonie europee, avrebbe dovuto dirci qualcosa. Sembrava il solito divide et impera, ma la storia riserva sempre sorprese. Non basta leggere i Romani. Se vogliamo orientarci, dobbiamo viaggiare in Asia.
Dell'Asia però sappiamo poco, parliamo di tigri e dragoni, mentre l'Asia conosce noi, la nostra lingua, cultura, storia.
Samuel Huntington nel 1993 proclamò che le civiltà liberate dalla Guerra Fredda dovevano essere sottomesse dall'Occidente, ma la killer app questa volta non ha funzionato. Per Niall Ferguson dobbiamo tutto alla killer app, siamo specialisti della killer app. Nel Quattrocento, quando la Cina era già unita e aveva già scoperto la stampa e la polvere da sparo, nessuno immaginava che le piccole nazioni europee sempre in guerra avrebbero dominato il pianeta all'inizio del Novecento. La dinastia Ching rimbambì i cinesi e fece declinare il Celeste impero, mentre gli inglesi si lanciavano alla conquista del mondo. Questa è la storia che ci racconta Ferguson.
Nicola Di Cosmo, un grande studioso italiano, che dopo l'Università Ca' Foscari a Venezia ha cercato borse di studio dovunque, dall'Università dell'Indiana per il PhD, alla Nuova Zelanda, pur di vivere in Cina e scoprire la Cina, racconta una storia diversa. Da anni è a Princeton a insegnare East Asian Studies, e con i suoi preziosi libri sulla Cina antica ci fa conoscere una Cina diversa quella di Ferguson. Per Di Cosmo, la guerra è sempre stata centrale nella trasformazione della società cinese: dalle strategie di modernizzazione militare durante la guerra dell'oppio nel 1893, alla creazione di milizie locali durante le rivolte popolari dell'Ottocento, dallo shock della sconfitta nella guerra contro il Giappone del 1894-95 all'emergere dei Signori della Guerra del primo periodo repubblicano (1912-1926) all'invasione giapponese, alla guerra civile e alla vittoria di Mao nel 1949. Il motto romano si vis pacem para bellum non si adatta alla Cina, perché per i cinesi prepararsi alla guerra determina il senso e il fine ultimo della politica. Alla base dello sviluppo sociale, istituzionale e burocratico della Cina antica ci fu sempre la killer app.
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Gli antichi cinesi erano organizzati militarmente come i Romani, avevano officine reali per fare armi e un esercito permanente, diretto da ufficiali di carriera. L'espansione territoriale fu costante nella politica dell'antica Cina. Con la creazione di Stati indipendenti, la guerra diventò non tanto la "continuazione della politica", ma la politica tout court e fu guerra totale. L'esercito si trasformò, da élite militare aristocratica e urbana diventò organizzazione di massa fondata su leve rurali, il cui dovere era difendere lo Stato. In Cina nasce una ragion di Stato pragmatica, per la quale la vittoria in guerra è l'obiettivo ultimo della politica. Nel quarto secolo a. C si svilupparono varie filosofie sulla guerra e per Shang Yang (390-338 a. C) anche le concubine del re dovevano essere buoni soldati. Poiché le concubine reali non prendevano sul serio l'addestramento, il filosofo Shang Yang ne decapitò due, nonostante le proteste del re Qi. Il principio di Shang Yang è che il generale, una volta ottenuto il comando, non deve più rendere conto al re, l'importante è vincere. È lo Stato di Qin durante il periodo Ming a costruire fortini, torri di avvistamento, strade e muraglie ed è l'imperatore Quin, dopo l'unificazione della Cina (221 a. C) a unificare le muraglie, con una campagna durissima contro i Mongoli, nomadi e barbari. Mentre Roma nel 223 a.C. conquista la Gallia Cisalpina con Cesare e nel 220 a.C. passa alla conquista dell'Illiria nei Balcani, la Cina, il terzo paese più grande del mondo, è già unita. Ce ne rendiamo conto? Poiché l'impero si conquista a cavallo, ma poi bisogna governarlo, si decise che ai militari di professione non poteva essere lasciata la gestione strategica della guerra. Quando l'impero romano era finito da un pezzo e in Europa la nascita delle nazioni era lontana, il Papa e il Sacro Romano Impero, davano qualche forma di stabilità, in Cina con la dinastia Song (960-1279), l'apparato burocratico confuciano conquista il controllo completo dello Stato.
Nel quarto secolo a. C si svilupparono varie filosofie sulla guerra e per Shang Yang (390-338 a. C) anche le concubine del re dovevano essere buoni soldati.
La negazione di una cultura militare indipendente da quella civile, che considera la guerra un settore di conoscenze specifiche, impedì alla Cina di diventare la protagonista della rivoluzione militare dopo la scoperta della polvere da sparo. Se l'Occidente deve alla Cina la scoperta della polvere da sparo, la Cina deve all'Occidente moschetti e cannoni, che le procurarono portoghesi e olandesi nel primo Cinquecento. L'ingresso delle armi da fuoco non generò però in Cina lo stesso effetto che produsse in Europa. L'uso delle armi da fuoco restò limitato, benché la Cina avesse grandi conoscenze metallurgiche e un accesso illimitato alle materie prime. Ne approfittarono i Manciù, che invasero la Cina, distrussero fortezze e muraglie, finché la dinastia Quing (1644-1911) spezzò in modo radicale e permanente la minaccia. Eliminati i Mongoli, arriva per la Cina la minaccia delle cannoniere occidentali che porterà la Cina a una situazione di sfruttamento semi-coloniale, guidata da una classe dirigente, che ancora una volta rappresenta, come disse Mao, la stessa casta di burocrati letterati e proprietari terrieri, con incarichi amministrativi civili, che aveva portato alla decadenza. Inizia allora il declino della Cina, conclusosi nel 1895 con la sconfitta ad opera del Giappone e l'umiliante trattato di Shimonoseki.
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Mentre la Cina combatteva la guerra dell'oppio, nel 1853, in Giappone, nella Baia di Edo, arrivò il Commodoro Perry con quattro navi da guerre a vapore, la famose "navi nere", per forzare i giapponesi ad aprire al commercio con gli americani. Nell'antichità il Giappone, aveva importato dalla Cina col principe Shotoku Taishi (574-621-622) il buddismo e modernizzato il paese col confucianesimo. Nel 604 il principe varò anche la costituzione di 17 articoli, durata fino al 1890, per stabilire i codici di comportamento di governanti e sudditi. Il Giappone accettò l'egemonia confuciana fino all'Ottocento: adottò costumi culturali cinesi e riorganizzò governo e codice penale prendendo a modello quello cinese. Il Medioevo giapponese, con un imperatore ridotto all'impotenza per mancanza di denaro, fu caratterizzato dall'ascesa dei samurai, nobili colti, e si instaurò lo shogunato che governò fino all'arrivo del Commodoro Perry e alla restaurazione Meji. In tutti questi secoli il Giappone respinse i Mongoli, ma non attaccò mai la Cina, accettandone l'egemonia.
Il Giappone accettò l'egemonia confuciana fino all'Ottocento: adottò costumi culturali cinesi e riorganizzò governo e codice penale prendendo a modello quello cinese.
Va rimarcato che la Cina, il Giappone, l'India e gli altri paesi asiatici non erano affatto chiusi al commercio, avevano sempre avuto rapporti con l'Occidente e dal '600 avevano stabilito un rapporto privilegiato con gli olandesi, con la Compagnia Olandese delle Indie Orientali, la mitica VOC, di cui Jonathan I. Israel, il grande storico britannico che insegna a Princeton insieme a Nicola Di Cosmo, ha narrato la storia in The Dutch Primacy in the World Trade. 1585-1740 (1989) e in The Anglo-Dutch Moment. Essays on the Glorious Revolution and its World Impact, nel 1994. La VOC dal 1585 al 1740, ebbe una egemonia tale nel commercio mondiale, che nessuno, eccetto gli inglesi dopo il 1780 e dopo la sconfitta dell'Olanda nella quarta guerra anglo-inglese, aveva mai avuto. La sconfitta nella quarta guerra anglo-olandese cambiò la storia dell'Asia. Cinesi e giapponesi, come indiani e altri paesi asiatici, preferivano commerciare con gli olandesi perché non volevano convertirli al cristianesimo come i portoghesi. Le quattro guerre combattute dalla Gran Bretagna, fin dal Commonwealth protestante di Cromwell, contro le Repubbliche dei Paesi Bassi, guerre terribili per il controllo del commercio marittimo, tra due nazioni protestanti, per le quali gli inglesi chiesero l'aiuto della cattolica Francia di Luigi XIV, indebolirono la Compagnia olandese. L'Olanda visse momenti di disperazione nel 1672, l'anno nero della storia olandese, il rampjaar, l'anno del disastro, quando fu attaccata da inglesi via mare e francesi via terra e Luigi XIV arrivò ad assediare Utrecht. Le trame inglesi con gli Orange, imparentati con gli Stuart protestanti, portarono a un colpo di stato degli Orange e all'organizzazione del feroce linciaggio dello statista più amato e stimato della storia olandese, Johan de Witt. La pagina più dolorosa della storia olandese è il corpo trucidato e squartato del suo più amato e apprezzato statista, esposto alla folla, che si dette ad atti cannibaleschi. Spinoza confessò a Leibniz l'orrore per una barbarie fino allora sconosciuta all'Olanda. Un gran colpo alla Compagnia fu dato dalla Glorious Revolution del 1688 e dall'incoronazione nel 1689 di Guglielmo d'Orange, marito di Mary Stuart, la figlia protestante di Giacomo II Stuart, deposto per avere abolito le leggi anticattoliche e costretto alla fuga. Gradualmente gli inglesi acquisirono potere nella Voc e si sostituirono agli olandesi: alla fine la Compagnia olandese non fu più in grado di mantenere le rotte dell'Asia. La famosa killer app. fece il gioco con la Cina costretta alla guerra dell'oppio, divisa in sfere d'influenza europee, e poi col Giappone, costretto ad aprire i porti ad americani e inglesi, ai quali nel 1854 firmò trattati commerciali più che favorevoli.
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A differenza dei cinesi, i giapponesi capirono di non essere in grado di affrontare una guerra con americani e britannici: sarebbero stati ridotti a colonia come la Cina, avrebbero perso tutto. Decisero di accettare l'egemonia anglo-americana. Dopo un breve periodo di shock e una guerra per eliminare lo shogunato e i samurai, si aprirono all'occidentalizzazione e alla modernizzazione. La restaurazione Meiji promosse l'idea di costruire un paese moderno. Si decise di introdurre la carne bovina nella dieta per avere un popolo più forte, alcuni filosofi si chiesero perfino se lo sviluppo della scienza occidentale dipendesse dal cristianesimo. Si introdusse il judo, una nuova arte marziale che usava elementi tradizionali, alcuni intellettuali si entusiasmarono per il liberalismo e la democrazia. Ci furono anche reazioni di ribellione e sconforto per l'abbandono della tradizione, ma l'occidentalizzazione era inevitabile e ci si consolò col motto di Shozan Sakuma "moralità orientale e tecniche occidentali". Dall’Ottocento la restaurazione Meiji iniziò un periodo di grande rinnovamento del paese politico, culturale e militare. Per il nuovo sistema politico e la costituzione il Giappone prese a modello la cultura politica europea. Anzi, la storia dell’occidentalizzazione e della modernizzazione del Giappone è strutturata sulla storia europea, ma non è mai stata una storia di accettazione passiva.
L'occidentalizzazione del Giappone era inevitabile e ci si consolò col motto di Shozan Sakuma "moralità orientale e tecniche occidentali".
È nel 1883, come rivela lo storico Morihisa Ishiguro in un saggio di prossima pubblicazione sulla "Rivista di Politica", negli anni precedenti la celebre la prima costituzione dell'Impero Giapponese del 1889, che compare per la prima volta in Giappone un saggio su Machiavelli, inserito in un volume sulle teorie politiche occidentali di Alfred Fouillée, che usava le teorie dell’ideo-dinamismo per interpretare la psicologia del popolo francese e di quello europeo. Del 1886 è la prima traduzione del Principe. Come Walter Raleigh, Bacone e Stephen Gardiner, i giapponesi capirono subito che Machiavelli per l’assenza di ideologia offriva strumenti utilizzabili da qualsiasi gruppo politico, e usarono Machiavelli per analizzare i sistemi politici occidentali. Il pensiero di Machiavelli, considerato in Giappone, dalla fine dell’Ottocento fino al 1945, l’autore della Ragion di Stato, ha un ruolo fondamentale nel pensiero politico di Kitaro Nishida, il più importante filosofo giapponese del ‘900, il fondatore della Scuola di Kyoto, molto noto nel mondo anglo-americano, che passò gran parte della vita a occuparsi di metafisica, epistemologia, estetica, religione, logica e scienza.
Fino al 1941, anno in cui pubblicò un saggio intitolato Il problema della Ragion di Stato, Nishida non si era mai occupato di politica. Nishida aderisce all’idea buddista che l’individuo è niente se è non in relazione con gli altri, con la società e lo Stato. Considera astratta la Società delle Nazioni di Wilson, avendo una concezione delle relazioni internazionali simile a quella di Machiavelli. Fu attaccato dalla destra nazionalista giapponese perché criticò più volte la politica espansionistica giapponese in Manciuria, ma fu considerato complice della politica del governo giapponese durante la guerra dopo il 1945. Nonostante Nishida dicesse di non essere stato compreso dagli esperti militari del governo Tōjō, ai quali presentò nel 1943 il saggio intitolato L’inizio di un nuovo ordine mondiale, le sue tesi costituirono la base ideologica della guerra condotta dal Giappone. Per questo Nishida, morto il 7 giugno del 1945, è considerato un enigma. Anche per Pierre Lavelle le tesi di Nishida furono la base ideologica della guerra del Giappone, però, per Lavelle, Nishida è agli antipodi del nazismo, perché il Giappone nazionalista era lontano ideologicamente dalla Germania nazista quanto le democrazie occidentali dall’Unione Sovietica. Per Nishida la Chiesa che manda sul rogo Giordano Bruno o condanna Galileo è un assurdità, ma è assurdo anche uno Stato senza religione, così come il razzismo e l’egoismo etnico. Per il filosofo di Kyoto il problema dell’Occidente è l’intellettualismo, non avere saputo trovare un ponte tra il pensiero e l’azione, tra l’individuo e il tutto, e questo ha portato il mondo alla situazione che ha causato due guerre mondiali. Per Yoko Arisaka, storica della filosofia che ha studiato negli Stati Uniti, docente in varie università americane ed europee, ed ora a Hannover, autrice nel 2017 di The Nishida Enigma and the Principle of the New World Order, pubblicato nei prestigiosi "Monumenta Nipponica", Nishida era per la libertà individuale, rifiutava la modernità materialistica occidentale e credeva che la missione del Giappone fosse liberare l'Asia dal dominio coloniale occidentale. Pare difficile, a prima vista, capire l'obiettivo del filosofo dell'Inizio del nuovo ordine mondiale, la cui ideologia è alla base della condotta militare del Giappone fino al 1945.
Nishida era per la libertà individuale, rifiutava la modernità materialistica occidentale e credeva che la missione del Giappone fosse liberare l'Asia dal dominio coloniale occidentale.
Può aiutarci a sciogliere l'enigma Nishida e l'enigma Giappone, il presidente americano Theodore Roosevelt, che condusse i lavori della conferenza di Portsmouth del 1905 dopo la fine della guerra tra il Giappone e la Russia, per il trattato di pace. Theodore Roosevelt disse a un amico : "Non sono certo che i giapponesi facciano distinzioni tra russi o altri stranieri, noi compresi, e non ho dubbi che includano anche tutti i bianchi tra le persone a cui va tutta la loro antipatia. Se daremo l'impressione di trattarli come una razza inferiore, come abbiamo fatto con i cinesi, e se non manterremo la Marina ai massimi livelli, per noi sarà un disastro". È un giudizio che riferisce Alaistar Horne, il grande storico britannico, autore nel 2014 di Hubris. The Tragedy of War in the Twentieth Century. A Portsmouth i giapponesi, che avevano distrutto la macchina da guerra russa, ed erano passati di vittoria in vittoria, si sentirono umiliati, perché trattati da musi gialli, anzi, da scimmie gialle, come li definì il Kaiser sulla stampa tedesca, e perché, alla fine, portarono poco a casa. In Giappone ci furono proteste per l'umiliazione subita. Dopo la guerra contro la Cina del 1884-1885, sostenuto da britannici e francesi, il Giappone ottenne Taiwan e un certo controllo della Corea. La Cina acconsentì a cedere anche la penisola di Liaotung, con una base strategica preziosa, in seguito nota come Port Arthur. Ma la cessione di Port Arthur scatenò la reazione di Russia, Francia e Germania, che si erano divise la Cina. Russi, francesi e tedeschi, che avevano le mani sulla Cina, organizzarono una grande campagna stampa contro il Giappone, accusandolo di crimini umanitari intollerabili, e minacciarono d'intervenire se il Giappone non avesse restituito Port Arthur. I giapponesi si sentirono traditi e appena poterono attaccarono la Russia. La sconfitta fu uno shock per la Russia e provocò la rivoluzione del 1905.
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Il Giappone è un enigma. Manda i migliori uomini in Europa e negli Stati Uniti a imparare le lingue e studiare filosofia, storia, ma soprattutto scienza e tecnologia. Diventa "occidentale", si allea con Regno Unito e Stati Uniti, pur sapendo di essere considerati da inglesi e americani perché pensano come loro e combattono come loro. Il Giappone sa che le armi e la killer app sono essenziali per non finire colonizzato come la Cina. E dimostra di sapere fare la guerra. Partecipa anche alla Prima guerra mondiale insieme inglesi e americani e aderisce alla Società delle Nazioni. I giapponesi viaggiano, osservano, e vedono anche i lati positivi dell'Occidente. Gli anni Venti sono anni di cambiamento per il Giappone, i vecchi non riconoscono più i giovani, che si vestono come gli europei. È il momento dell'erotismo, del gusto per il grottesco, del nonsense, degli amanti suicidi, ma Tokyo apre la prima università per le donne, si inizia a parlare di suffragio universale e di diritti delle donne. I giapponesi dichiarano però subito illegali i partiti comunisti, perché temono la Russia: temevano la Russia zarista e temono la Russia sovietica, perché la Russia è vicina e può aggredirli, mentre gli Stati Uniti non sono così incombenti e così anche il Regno Unito. Nel 1923 Tokyo è colpita da un grande terremoto, ma nel giro di quattro anni è ricostruita con gli aiuti americani. Il rapporto con Stati Uniti e Regno Unito rimane però al centro della frustrazione giapponese: nel 1922 alla Conferenza di Washington per limitare la potenza giapponese si decise di consentire all'America e alla Gran Bretagna la costruzione di cinque grosse navi da guerra, al Giappone solo due. Sono "scimmie gialle" che ragionano come i bianchi, una minaccia. Per questo Nishida credeva che la missione del Giappone fosse liberare l'Asia dal dominio coloniale occidentale. Non c'è bisogno di aggiungere che tale obiettivo avrebbe dovuto comportato l'egemonia giapponese.
Il Giappone sa che le armi e la killer app sono essenziali per non finire colonizzato come la Cina. E dimostra di sapere fare la guerra.
Tutto cambiò con l'arrivo della Grande Depressione a metà anni Venti e Trenta: scattarono i dazi americani, entrò in crisi l'industria della seta, iniziò la disoccupazione e gli Stati Uniti chiusero all'immigrazione. Nel 1931 il Giappone invase la Manciuria mentre in Cina era iniziata la guerra civile dal 1927, una strana guerra civile piena di grovigli, e nel 1936 firmò un patto anti Comintern con la Germania, in funzione anti russa, perché la Russia di Stalin vedeva nella guerra civile cinese un'occasione per espandere la propria influenza in Cina, e quindi costituiva un pericolo per il Giappone. Stalin consigliava a Mao di non esasperare i conflitti con Chiang Kai-Shek, che era nazionalista. Con l'invasione giapponese della Manciuria nel 1931, Chiang decise che la priorità era sconfiggere l'esercito di Mao e poi di combattere il Giappone. Nel 1934 Chiang inferse un duro colpo alle truppe di Mao, che dovettero ripiegare in quella che fu ricordata come la Lunga Marcia. Questa politica fu considerata impopolare dagli alleati di Chiang, che nel 1936 fu fatto prigioniero e costretto a creare un fronte unito con l'esercito di Mao contro il Giappone.
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Per capire cosa intendeva Nishida, quando diceva che la missione del Giappone era la liberazione dell'Asia dal colonialismo occidentale, va capita anche la guerra contro la Manciuria e la guerra civile cinese. Il nazionalista Chiang era sostenuto dagli Stati Uniti: l'intelligence americana capì che l'obiettivo di Chiang non era combattere i giapponesi, ma di accumulare armi e munizioni per combattere la guerra civile. Roosevelt non dette credito all'intelligence e continuò a inviare armi a Chiang. Si scontravano gli interessi russi e americani sulla Cina, e per gli Stati Uniti il Giappone era ormai un nemico. Chiang venne riconosciuto come uno dei grandi quattro capi alleati assieme a Roosevelt, Churchill, e Stalin, e fu invitato alla conferenza del Cairo nel novembre 1943.
Nel 1939 il Giappone fu respinto dai carri armati russi ai confini con la Mongolia, ma era anche scoppiata la guerra in Europa con la spartizione della Polonia tra Germania e Russia, per l'accordo Molotov-Ribbentrop. Come osservò, Raymond Aron, infinite volte nella storia due nazioni forti si erano spartiti la nazione più debole confinante. Però l'invasione della Polonia provocò la dichiarazione di guerra di Francia e Regno Unito alla Germania. La seconda guerra mondiale in Europa è sostanzialmente una guerra tra imperi per l'egemonia in Europa, il controllo coloniale dell'Africa, del Medio Oriente e dell'Asia. In Asia, invece, la guerra è, al contrario, una guerra di liberazione dal colonialismo occidentale, in mezzo alla quale si combatte la guerra civile in Cina. Per Mao chi ha ridotto la Cina a una colonia è stata una classe dirigente di burocrati letterati e proprietari terrieri, con incarichi amministrativi civili, che si è alleata con le potenze occidentali per non perdere i privilegi. Chiang è invece nazionalista e considera il comunismo una malattia dell'anima. L'obiettivo che accomuna Chiang, Mao e il Giappone panasiatico è la liberazione dell'Asia dal colonialismo occidentale.
In Asia si combatte una guerra di liberazione dal colonialismo occidentale, in mezzo alla quale si combatte la guerra civile in Cina.
Nel 1940, mentre la Germania passava di successo in successo in Europa, la Francia crollava e la Gran Bretagna era in grande difficoltà, il Giappone aderì al Tripartito. Il 7 dicembre 1941 il Giappone attaccò Pearl Harbor. Hitler si apprestava a invadere la Russia: il 22 giugno 1941 lancerà l'operazione Barbarossa. Diversamente da quanto riporta Ian Kershaw, Hitler non fu affatto contento dell'attacco giapponese a Pearl Harbor, s'infuriò, secondo gli storici giapponesi, perché non era stato avvertito, e perché gli Stati Uniti così entravano in guerra al fianco dell'Inghilterra contro l'Asse. Alcuni storici non capiscono perché il Giappone, ormai potenza militare riconosciuta in Occidente, abbia attaccato Pearl Harbor, ma oltre alle considerazioni precedenti, va considerato il peso dell'embargo petrolifero, che strangolava l'economia giapponese e le difficoltà provocate dal fatto non era più disponibile benzina per usi civili. Come ricorda la storica Eri Hotta in Japan 1941, a Tokyo non riuscivano neppure più a svuotare i pozzi neri con gli usuali autocarri, dovevano usare sistemi artigianali, e il tanfo era insopportabile. Prima dell'attacco di Pearl Harbor i giapponesi tentarono di negoziare, chiesero agli Stati Uniti di annullare l'embargo e in cambio avrebbero lasciato l'Indocina. Gli Stati Uniti chiesero la rinuncia all'Indocina e a ulteriori conquiste, oltre alla rottura con la Germania. Ma per il Giappone la Germania che progettava l'invasione della Russia costituiva una speranza, anche se era lontano dal nazismo e non aveva alcuna tendenza antisemita o leggi antisemite. Lo dimostra il fatto che quando l'Italia entrò in guerra al fianco della Germania, nel giugno del 1940, Karl Löwith emigrato a Roma dopo il '33, si trasferì in Giappone da Nishida.
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Dopo Pearl Harbor il Giappone attuò una velocissima espansione nel Pacifico alla ricerca di risorse petrolifere e nelle isole del Sud-Est asiatico col sostegno della Thailandia e di vari movimenti panasiatici, creando una "Sfera di co-prosperità della Grande Asia Orientale". Il Giappone si trovò ad affrontare l'attacco americano e come sappiamo la guerra ebbe epiche durissime battaglie. La logica del Giappone era di fare la guerra alle nazioni occidentali presenti in Asia e, per questo, si alleò con quelle che combattevano il Regno Unito, gli Stati Uniti e la Russia. Il Giappone continuò a combattere anche dopo la caduta di Berlino e la sconfitta della Germania. Poiché non si arrendeva, nonostante bombardamenti durissimi che distrussero le città giapponesi e fecero innumerevoli vittime civili, gli Stati Uniti lanciarono su Hiroshima e Nagasaki, il 5 e 6 agosto 1945, due bombe atomiche. Dopo Hiroshima la Russia dichiarò subito la guerra al Giappone e, a quel punto, il Giappone capitolò. Tokyo dovette rinunciare a tutte le conquiste realizzate dal 1894. Il Giappone accettò l'occupazione, a Tokyo ci fu la Norimberga giapponese e Tōjō, i politici del suo governo e i generali vennero giustiziati, mentre furono risparmiati gli scienziati che furono subito trasferiti, come quelli tedeschi, negli Stati Uniti. Il Giappone fu occupato e i giapponesi iniziarono la democratizzazione e l'americanizzazione del paese. Mentre il Giappone era occupato, in Cina Mao sconfisse Chaing Kai Shek, che si ritirò a Taiwan, e gli americani si trovarono di fronte una nuovo problema in Asia: la Cina maoista alleata con la Russia sovietica. Era iniziata la Guerra Fredda. I conflitti in Asia non finirono perché nel 1950 iniziò la guerra di Corea che durò fino al 1953: la Corea del Nord fu apertamente sostenuta dalla Cina maoista e anche segretamente dalla Russia che inviò armi e aerei moderni, che costrinsero gli americani a ripiegare in Corea del Sud e successivamente la situazione si stabilizzò nella divisione delle Coree. Mentre gli Stati Uniti combattevano la guerra del Vietnam dal 1955 al 1975, il Giappone si impose come grande potenza economica negli anni Sessanta fino a essere secondo solo all'America. Leader nella produzione dell'acciaio, di motoveicoli e nel settore elettronico. Nei primi anni Settanta tra le prime nove aziende del mondo, sette erano giapponesi: marchi come Hitachi, Toshiba, Panasonic, Sony, Fujitsu, NEC divennero il simbolo del Made in Japan nel mondo. La crescita del Giappone ebbe anche il sostegno americano, poiché il Giappone era diventato per gli Stati Uniti il maggiore alleato per controbilanciare la Cina maoista, alleata della Russia sovietica.
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Anche la guerra in Vietnam, dove gli americani volevano sostituirsi ai francesi dopo la confitta nella guerra d'Indocina, fu inserita nei conflitti della Guerra Fredda, ma il Vietnam, anche se il Nord era sostenuto dalla Cina e dalla Russia comunista, fu essenzialmente una guerra di liberazione nazionale. Per i vietnamiti è la "guerra contro gli statunitensi per salvare la nazione". Il Vietnam, una guerra durissima fu la prima vera sconfitta degli Stati Uniti. L'escalation americana della guerra in Cambogia e Laos provocò la devastazione e la distruzione dell'ex Indocina, crimini umanitari di ogni tipo, e fu la guerra sporca dell'America. Numerosi film americani, si pensi a Full Metal Jacket di Stanley Kubrick, a Platoon di Oliver Stone o al Cacciatore di Michael Cimino, mostrarono un'immagine diversa da quella dell'America forza del bene. La guerra del Vietnam provocò l'esaurimento delle risorse auree americane e un forte aumento della spesa pubblica, ciò portò alla fine del sistema di Bretton Woods: nel 1971 Nixon, sospese la convertibilità del dollaro in oro, il dollaro fu svalutato, si diede il via alla fluttuazione dei cambi e fu seguito dal gruppo dei dieci paesi del G10 formato da Germania, Belgio, Canada, Stati Uniti, Francia, Italia, Giappone, Paesi Bassi, Regno Unito, Svezia. In questo periodo iniziò anche la svolta con la Cina ad opera di Nixon e Kissinger. Il cambiamento della Cina fu promosso dal governo americano e dall'industria americana per mezzo di enormi investimenti e di trasferimenti di tecnologia. Nella svolta con la Cina contò la volontà di raffreddare i rapporti con la Russia sovietica perché tra Cina e Russia sovietica si erano create tensioni ideologiche e anche territoriali.
Il Vietnam fu essenzialmente una guerra di liberazione nazionale. Per i vietnamiti è la "guerra contro gli statunitensi per salvare la nazione". Fu la prima vera sconfitta degli Stati Uniti.
Lo sviluppo della Cina, diventata ormai la seconda potenza economica mondiale, forse la prima, ha finito per provocare la dipendenza dell'America dalla Cina, perché la Cina fornisce agli Stati Uniti innumerevoli prodotti di alta qualità a basso prezzo e detiene parte del debito pubblico americano. Dopo la fine della Russia sovietica, l'America ha lanciato la globalizzazione, trasferendo impianti e capitali dai paesi industrializzati a quelli di altri continenti, dove è facile ottenere produzioni di alta qualità a bassi prezzi, poiché le imprese delocalizzate possono fruire di una manodopera a costi bassi. La globalizzazione è entrata in crisi negli Stati Uniti di Trump, perché ha provocato la crisi del lavoro americano, producendo la decadenza della middle class e una grande disoccupazione tra gli operai, i forgotten men che hanno votato Trump, ma anche perché la Cina è diventata per gli Stati Uniti una minaccia, che rischia di annullare la potenza americana. Per una curiosa eterogenesi dei fini, l'America imperiale ha lanciato la globalizzazione, ma non è stata in grado di dominarla.
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Siamo di fronte a un cambiamento dell'America, anche alla possibilità di nuove guerre, ma i conflitti perse in Medio Oriente e il ritorno della Russia, fanno pensare a un ordine fratturato, a una nuova realtà. Manager e accademici giapponesi e cinesi, nonostante le polemiche del passato, si incontrano da tempo, basta andare in Giappone in settembre-ottobre per vedere shopping cinese a Osaka come a Tokyo. Il Giappone si è da tempo riavvicinato alla Russia, con cui ha deciso di sviluppare rapporti commerciali ed economici. Il passato è lontano. I giovani leggono i romanzi di Banana Yoshimoto, i più adulti quelli di Haruki Murakami, bestseller internazionali, regolarmente pubblicati dagli anni ’90 da Feltrinelli ed Einaudi, tradotti da un orientalista come Giorgio Amitrano. Ogni tanto, qualche nostro scrittore e critico letterario improvvisa surreali discussioni sui motivi dei continui riferimenti all’alta cultura occidentale nei romanzi di Murakami: una naïveté che nasce dalla frustrazione di non avere più prodotto, dopo Il nome della rosa di Umberto Eco, romanzi di fama mondiale, ma anche dalla poca conoscenza della storia e della cultura dell'Asia.
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10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
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della
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garantire o
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l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
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l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.