24 Ottobre
Per chi suona la campanella
Dal governo Draghi al governo Meloni, dall'esecutivo nato dall'emergenza a quello sbocciato dal voto. Il cambio d'epoca e il new normal di Giorgia. L'incontro con Macron sulla mappa dell'Occidente. La politica e la cultura a destra in un mondo di sradicati-connessi La sinistra? Una famiglia in tweed che parla in tweet
Che succede? Giorgia Meloni è al timone di Palazzo Chigi, tra poche ore ascolteremo le sue dichiarazioni programmatiche alla Camera e poi il giorno dopo al Senato, capiremo qual è la visione del premier sul paese, la sua idea di Italia. Il passaggio di consegne con Mario Draghi e stato un momento non formale, ma significativo che ha chiuso un’era e ne ha aperto un’altra, quella della prima donna alla guida del governo. Il premier uscente ha passato a quello entrante una cartella - il dossier delle cose fatte e da fare - "per cominciare bene". Un tocco di cura istituzionale che mancava da decenni, non a caso arriva con lui (Draghi) e lei (Meloni), due figure che sembrano agli antipodi, ma in realtà sono vicine di banco di scuola della Città Eterna che, al momento giusto, quando tutto sembra far rotta verso il peggio (voltatevi indietro, a meno di due anni fa), manda a correre sulle bighe al Circo Massimo i suoi figli migliori, allattati al seno della Lupa, due sagome che nel vai e vieni tra il colle Quirinale e Campo Marzio hanno forgiato la leadership e allevato lo spirito repubblicano.

La cerimonia della campanella è stata l'ultimo atto di un processo di transizione e formazione del governo inedito per l’Italia, reso possibile dalla triangolazione tra il Quirinale, Palazzo Chigi e il vincitore delle elezioni. Sergio Mattarella, Mario Draghi e Giorgia Meloni hanno lavorato affinché il passaggio dal governo d’emergenza a quello sbocciato dal voto fosse dolce, senza tensioni, un esempio virtuoso di come deve essere la politica. Tutto era racchiuso nel sorriso del presidente Mattarella durante la cerimonia di giuramento del governo, finalmente una cosa veloce e ordinata, come si conviene alla Repubblica Italiana.

Che succede? Giorgia Meloni è al timone di Palazzo Chigi, tra poche ore ascolteremo le sue dichiarazioni programmatiche alla Camera e poi il giorno dopo al Senato, capiremo qual è la visione del premier sul paese, la sua idea di Italia. Il passaggio di consegne con Mario Draghi e stato un momento non formale, ma significativo che ha chiuso un’era e ne ha aperto un’altra, quella della prima donna alla guida del governo. Il premier uscente ha passato a quello entrante una cartella - il dossier delle cose fatte e da fare - "per cominciare bene". Un tocco di cura istituzionale che mancava da decenni, non a caso arriva con lui (Draghi) e lei (Meloni), due figure che sembrano agli antipodi, ma in realtà sono vicine di banco di scuola della Città Eterna che, al momento giusto, quando tutto sembra far rotta verso il peggio (voltatevi indietro, a meno di due anni fa), manda a correre sulle bighe al Circo Massimo i suoi figli migliori, allattati al seno della Lupa, due sagome che nel vai e vieni tra il colle Quirinale e Campo Marzio hanno forgiato la leadership e allevato lo spirito repubblicano.

La cerimonia della campanella è stata l'ultimo atto di un processo di transizione e formazione del governo inedito per l’Italia, reso possibile dalla triangolazione tra il Quirinale, Palazzo Chigi e il vincitore delle elezioni. Sergio Mattarella, Mario Draghi e Giorgia Meloni hanno lavorato affinché il passaggio dal governo d’emergenza a quello sbocciato dal voto fosse dolce, senza tensioni, un esempio virtuoso di come deve essere la politica. Tutto era racchiuso nel sorriso del presidente Mattarella durante la cerimonia di giuramento del governo, finalmente una cosa veloce e ordinata, come si conviene alla Repubblica Italiana.

Durante il passaggio della campanella s’è visto il cambio d’epoca - dal tecnico al politico - dalla necessità di uscire da una situazione d’emergenza, alla volontà popolare (il voto, la democrazia, signora mia) di entrare nel new normal del governo Meloni. Il primo Consiglio dei ministri domenica ha offerto un primo bagliore di quello che sarà il tono e la cifra dell’esecutivo: introduzione senza fronzoli del premier al lavoro di legislatura (e un invito-ammonimento all'unità della coalizione), disbrigo delle nomine di Palazzo Chigi (Alfredo Mantovano, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Matteo Salvini e Antonio Tajani vice premier) e il primo colpo a sorpresa (ma non troppo), la scelta dell’ex ministro Roberto Cingolani come consigliere per l’energia, una garanzia per l'oggi e il domani in tempi di shock dei prezzi delle materie prime e inflazione.
Il primo appuntamento internazionale è arrivato tout de suite in serata: un incontro informale con Emmanuel Macron, un’ora di faccia a faccia sui dossier europei, la guerra in Ucraina, lo scenario economico, lo spazio vitale (per entrambi) del Mediterraneo, con l'Africa da riprendere come confine e destino, il Vicino Oriente dei giacimenti di gas come rotta ineludibile. Parigi e Roma sono destinate a stare insieme, a divergere e convergere in una dimensione dove nessuno può fare a meno dell'altro, soprattutto in tempi in cui l'aquila tedesca vola bassa con gli artigli pronti a cogliere qualsiasi occasione per aumentare la distanza dagli altri. L'incontro con Macron si svolge in un albergo romano al Gianicolo, dura un'ora, non c'è comunicato, ma il presidente francese impatta su un cronista dell'Agi che lo attende al passo, il capo dello Stato risponde alle domande, pronto e gentile, un commento al volo: "I rapporti tra Italia e Francia sono più importanti delle persone, ho incontrato Giorgia Meloni qui. Abbiamo preferito che questo incontro fosse informale, ma è importante nell'ambito dei rapporti tra Italia e Francia e per quanto riguarda l'Unione Europea". Meloni fa il suo gioco di rimessa e dice sempre all'Agi: “È stato un cordiale e proficuo confronto, è durato oltre un’ora e abbiamo discusso tutti i principiali dossier europei”.

Un incontro che è un ottimo avvio della relazione bilaterale tra Palazzo Chigi e l’Eliseo. Meloni ha spiegato come sia interesse reciproco di Francia e Italia “la necessità di dare risposte veloci e comuni sul caro energia, il sostegno all’Ucraina, la difficile congiuntura economica, la gestione dei flussi migratori”. Dunque c'è “la volontà di proseguire con una stretta collaborazione sulle grandi sfide comuni a livello europeo e nel rispetto dei reciproci interessi nazionali”. In nottata arriva dalla France Presse una strana dichiarazione che si cela dietro non precisate "fonti dell'Eliseo" che affermano: "La vigilanza sui diritti continua". Vero? La prova del budino arriva il giorno dopo, Macron passeggia per Roma e torna a incrociare un cronista dell'Agi, domanda e risposta, sempre al volo: "Vigilare sul rispetto dei valori europei in italia? Non è il termine giusto", dice Macron, che continua: "Ciò che conta è la relazione bilaterale e l'Europa e quindi andremo avanti". Fine dei giochetti, parlò Le President, il tentativo di gettare ombre sui contenuti dell'incontro tra la premier Meloni e il presidente francese è fallito di fronte ai fatti, alle parole, alla fonte diretta interpellata, la più alta possibile, dopo questa ne esiste solo un'altra, il Padreterno, e francamente non siamo ancora attrezzati per arrivarci.
Tutto questo è accaduto in 24 ore. Fin dalle prime battute si coglie il ritmo della prima donna, Meloni sarà un premier accelerato, rapido, sincronizzato con i tempi della politica, trasmesso con il microchip della contemporaneità. Sono i vantaggi di una premier giovane, energica (e energetica), con uno spazio di progressione potenziale che nessuno finora ha mai avuto. Può fare la differenza. Quanto all'esperienza, Meloni imparerà in fretta il lavoro di presidente del Consiglio, ha un gruppo di persone esperte nella catena corta di Palazzo Chigi (Mantovano e Giorgetti, prima di tutti) e possiede una dote rara, sa correggere i propri errori.
Solo Matteo Renzi in passato ha mostrato potenzialità simili, ma il carattere ne ha compromesso il futuro da leader di un paese del G7, una potenza trasformatrice e esportatrice. Sono trascorsi quasi dieci anni dopo Renzi per arrivare a Meloni, primadonna a Palazzo Chigi, ci sono tutte le premesse per una rivoluzione della politica e delle consuetudini del paese. Perché? Meloni è una donna che ha lottato fin da piccola per sopravvivere in un mondo colmo di ingiustizia, si è fatta da sola, ha cominciato a far politica da ragazzina, ha sofferto, stretto i denti, è andata avanti. Si è straparlato di merito e capacità, coraggio e azione, eccoli qui, davanti a chi vuol vedere senza pregiudizio.
Mentre il 'ceto medio riflessivo' teneva pensosi convegni sull’eguaglianza e la parità, sull'Italia in declino e mi raccomando 'l'ascensore sociale che si è rotto' (e che naturalmente loro non hanno riparato) e grandi discorsi accigliati sulla forza delle donne e l’illuminismo de l'altra metà del cielo (frase di Mao Tse Tung del 1968, non è che a Pechino vada benissimo, vedere le foto dell'ultimo congresso del Partito comunista cinese, zero donne), mentre la retorica veniva regolarmente oscurata dalla debolezza dei fatti e dal buio della cooptazione, dall’altra parte del cielo c'era chi costruiva un 'partito nuovo' (e non un nuovo partito) e si preparava a condurlo alla vittoria nel giro di 10 anni. Una donna. Quanto sono ingombranti, i fatti.
Così, precipitevolissimevolmente, mentre i progressisti sono rimasti al brunch, Meloni è al governo. Non è una rivoluzione questa? Lo è, costituisce il visibilissimo “esempio” del si può fare, non quello del dottor Frankenstein di Mel Brooks (leggere la bellissima autobiografia, Tutto su di me), ma l'opera in fieri della politica. Il fatto nuovo viene da destra e non a caso, perché il post-berlusconismo era un cantiere aperto da tempo, un fatto biografico, calendarizzato, era solo una sequenza di date che prima o poi sarebbe emersa: 25 settembre (le elezioni e il trionfo di Fratelli d'Italia), 13 ottobre (Ignazio La Russa diventa presidente del Senato al primo voto), 23 ottobre (Meloni presidente del Consiglio). Ne arriveranno altre, di giornate come queste, perché la storia è una cavalcata inesorabile e siamo nella fase dello 'stato di grazia' di Meloni. Come diceva Lenin, uno che la rivoluzione l'ha fatta (e poi l'ha contraddetta):"Ci sono decenni in cui non succede nulla e settimane in cui accadono decenni". Siamo in quelle settimane, Giorgia è il trasformatore d'energia di un tempo che improvvisamente ha accelerato e saltato decenni di dejà vu, di ostacoli, di riti stanchi e luoghi comuni.

La mancata elezione di Draghi al Quirinale sembrava un traumatico colpo di coda, un drammatico passo indietro partitocratico, ma in assenza di partiti veri, anche la missione della restaurazione è diventa impossibile. E come sempre il destino giocava a dadi, apparecchiava un bis per Mattarella e si preparava a incrociare le biografie di Mario e Giorgia. Così è nato il 'triangolo' che ha dato i natali al nuovo governo. Può andare tutto male? Certo, né Berlusconi né Salvini hanno davvero preso atto della leadership di Meloni, non reggono il fattore donna, misurano la faccenda politica senza pensare alla determinazione che è femmina, siamo a una versione reloaded degli Antenati, dove Wilma non passa più la clava a Fred, la tiene saldamente in mano e la usa, gentile e inesorabile, son Meloni amarissimi per Matteo e Silvio. Sì, la coppia può sbandare di nuovo (Salvini parla a ruota libera, ma è per ora solo favella, Berlusconi è silente) può tentare di far deragliare il treno di Giorgia e lo scenario economico sarà cavalcato dal populista Conte, mentre il Pd sentirà come una sirena l'impellente necessità di seguirlo (facendo finta di non sentirlo) sulla scia del win for life del reddito di cittadinanza, dell'assistenzialismo, del bonus per tutti, della rivolta sociale. Andrà così e l'opposizione continuerà ad essere senza mappa.
Le leadership contemporanee si consumano come fiammiferi nel buio, certo, ma per Meloni il discorso potrebbe essere diverso, il suo arrivo non è quello del fulmine, ma del tuono che viene da lontano. Ha una storia e un'idea di nazione (i nomi dei ministeri sono già il programma e chi sottovaluta sbaglia) che intriga anche a chi non l'ha votata, perché si sente bollire in pentola qualcosa di diverso dalla minestra riscaldata del conformismo, si capisce che il guizzo è innescato da un progetto che si vuol proiettare lontano. Ci riuscirà? Questo il dilemma, ma c'è tempo per vederne la trama, la gloria o la polvere del fallimento. Siamo cronisti, wait and see.

Siamo solo all’inizio di un fenomeno profondo, perché la legislatura sarà lunga e (forse) il governo potrebbe perfino deragliare, ma il fenomeno Meloni resterà e crescerà perché poggia su solide fondamenta novecentesche: un partito che funziona come un partito, una leader giovane (45 anni), i suoi elettori che hanno un’idea di militanza, moltissimi giovani (il partito più votato dai ragazzi), presenza sul territorio, manifestazioni di partito (Atreju) dove si discute di letteratura, musica, arte, architettura, filosofia. E politica, ça va sans dire. La cultura a destra è ricca e sulfurea, brillante e anti-moderna, visionaria e spiritata, è in buona parte pubblicata nei libri della raffinatissima Adelphi, impastellata in quelle copertine che emanano radiazioni, una contaminazione dell’immaginario che si è salvata dai sociologi della noia, dall’avanguardia e dalla retroguardia, dal complesso di Edipo e dal complesso dei Maneskin, dalla prosa vegetariana con il personal trainer, dal romanzo di deformazione e, cielo, dal dibattito sul riflusso nel privato che era semplicemente la saggia fuga dall'idiozia di massa.
Patria e nazione sono insufficienti, ma sono un buon inizio per riprendersi il senso di essere italiani in un mondo di sradicati-connessi, il problema semmai è la trasformazione avvenuta nello scenario post-pandemico, senza radici al di fuori dello schermo, le relazioni come rara piattaforma rimasta per provare a Essere nel mondo (ancora lui, Emanuele Severino), mentre l'alternativa è facile, un pilota automatico, un tampone di cloroformio e via, lo smarrimento su Instagram, il tempo perduto senza ripescaggio proustiano, zero memoria, clic. In due anni abbiamo visto una dimensione parallela (im)possibile, due governi visibili solo sui social e nei dpcm, esecutivi autoribaltati e sempre con lo stesso premier venuto dal nulla, l'uomo su Facebook, Giuseppe Conte. Troppo. Poi è arrivato Mario Draghi che, piaccia o meno, ha evitato che la nave colasse a picco con tutti passeggeri senza nome, gli italiani. Un governo d'emergenza non è per l'eternità, non può essere il provvisorio che diventa permanente, dunque Draghi è giunto a scadenza anticipata per una serie di fattori: il crac della maggioranza in Parlamento con un partito di improvvisati che gli ha tolto de facto la fiducia pur non avendolo formalmente sfiduciato, dunque un rompete le righe per misfatto politico, il sottosopra del Conte pentastellato a cui si sono accodati Salvini e Berlusconi con la speranza di capitalizzare un consenso che non avevano.
Conte è il vero spettro della sinistra, non Meloni che in questa sceneggiatura interpreta la parte di chi la politica l'ha vissuta attaccando i manifesti, facendo comizi per pochi intimi, fino a gonfiarsi come un fiume carsico che infine esplode in superficie. Destra, sinistra. Il fu avvocato del popolo gioca allo sfascio, cerca di cannibalizzare il Partito democratico e ha una prateria davanti perché i dem sono intrappolati nella buca che si sono scavati (in)consapevolmente in tre decenni. Lo spazio ideale della sinistra è un album di famiglia in tweed che si declina in tweet, lontano dalla parola “sacrificio”, la base ideologico-toponomastica del Pd è nella mutazione genetica in partito della Ztl, il suo trasloco architettonico dalla fabbrica all’attico, un continuum dal centro storico al buen retiro (da cosa?) con piscina a sfioro. È il collasso della tartina in terrazza, l'isteria della sconfitta sul teak, il tramonto e il sospiro sui bei tempi andati, ah la destra. I viaggi all’estero in cerca di una legittimazione internazionale sono il pianto con il biberon vuoto, lo gne gne in cancelleria, che spettacolo surreale. Perfino la sbornia della sconfitta è politicamente corretta. Per chi suona la campanella?