12 Luglio
Perché i ricchi votano a sinistra
A votare, a simpatizzare per i partiti di sinistra, sia riformista che radicale, sarebbero rimasti solo i ricchi, mentre i poveri, gli operai, voterebbero per i partiti di destra, populista, sovranista. A domanda brutale, risposta brutale; si, è vero, i ricchi votano a sinistra e non solo in Italia. Un'indagine di Marco Gervasoni sul benestante progressista.
di Marco Gervasoni
Va bene: il Rolex solidale, antirazzista e of course antifascista, con maglietta rossa acclusa, è un post geniale che circolava giorni fa su Facebook. Così come straordinaria, sempre sul medesimo social, è la pagina «Concita al Mondiale», una parodia pastiche del linguaggio, delle pose e dei tic della sinistra che ha deciso di «restare umana», contro quelli che uomini non sono (e però si tratterebbe della maggioranza degli italiani, secondo i sondaggi). Siamo nel campo della satira: che la sinistra tollera solo a due condizioni a) che sia rivolta contro i suoi nemici; b) in caso contrario, che venga dall’interno della propria tribù. Ma sempre di satira si tratta. E di satira si può ridere, ma una cultura politica di sola satira non si può nutrire: avete visto che fine ha fatto la sinistra italiana nel ventennio berlusconiano, che a quel genere attingeva a mani basse? E allora dobbiamo chiederci: il Rolex, le magliette firmate, le terrazze sul mare, gli apericena «inclusivi» e «solidali», gli appelli a «mettere i corpi belli sulle barche » (non gli yacht, quelle dei migranti) sono solo delle caricature, delle forzature proprie a indurre il sorriso, oppure dietro vi è un dato reale? Brutalmente: è vero che i «ricchi» votano a sinistra?
Pourquoi les riches votent à gauche è la traduzione francese (Agone Editeur) di un magnifico libro dello statunitense Thomas Frank. Il titolo originale era ben diverso (Listen liberal Or What Ever Happened to the Party of the People?, Metropolitan Books) volgerlo in un’altra lingua senza apparire ermetici era impossibile e poi, gratta gratta, la questione è questa. A votare, a sostenere, a simpatizzare per i partiti di sinistra, sia riformista che radicale, sarebbero rimasti solo i ricchi, mentre i poveri, i lavoratori, gli operai, quelli che nel linguaggio...
di Marco Gervasoni
Va bene: il Rolex solidale, antirazzista e of course antifascista, con maglietta rossa acclusa, è un post geniale che circolava giorni fa su Facebook. Così come straordinaria, sempre sul medesimo social, è la pagina «Concita al Mondiale», una parodia pastiche del linguaggio, delle pose e dei tic della sinistra che ha deciso di «restare umana», contro quelli che uomini non sono (e però si tratterebbe della maggioranza degli italiani, secondo i sondaggi). Siamo nel campo della satira: che la sinistra tollera solo a due condizioni a) che sia rivolta contro i suoi nemici; b) in caso contrario, che venga dall’interno della propria tribù. Ma sempre di satira si tratta. E di satira si può ridere, ma una cultura politica di sola satira non si può nutrire: avete visto che fine ha fatto la sinistra italiana nel ventennio berlusconiano, che a quel genere attingeva a mani basse? E allora dobbiamo chiederci: il Rolex, le magliette firmate, le terrazze sul mare, gli apericena «inclusivi» e «solidali», gli appelli a «mettere i corpi belli sulle barche » (non gli yacht, quelle dei migranti) sono solo delle caricature, delle forzature proprie a indurre il sorriso, oppure dietro vi è un dato reale? Brutalmente: è vero che i «ricchi» votano a sinistra?
Pourquoi les riches votent à gauche è la traduzione francese (Agone Editeur) di un magnifico libro dello statunitense Thomas Frank. Il titolo originale era ben diverso (Listen liberal Or What Ever Happened to the Party of the People?, Metropolitan Books) volgerlo in un’altra lingua senza apparire ermetici era impossibile e poi, gratta gratta, la questione è questa. A votare, a sostenere, a simpatizzare per i partiti di sinistra, sia riformista che radicale, sarebbero rimasti solo i ricchi, mentre i poveri, i lavoratori, gli operai, quelli che nel linguaggio d’antan si chiamavano gli «sfruttati» voterebbero per i partiti di destra, «populista», «sovranista». A domanda brutale, risposta brutale; si, è vero, i ricchi votano a sinistra e non solo in Italia. Però cerchiamo di capire come sia successo, quando e perché, e cosa si celi dietro categorie che sono moralistiche ma non scientifiche come «ricchi » (e «poveri»).
Prima un po’ di storia (che non fa mai male). La polemica che vuole i ricchi, cioè la borghesia, o almeno una sua parte, simpatizzare per i partiti di sinistra è antica. All’inizio del Novecento, Georges Sorel si era già convinto che la forza d’urto apocalittica degli operai rivoluzionari fosse stata corrotta da una fetta della borghesia. Da un punto di vista diverso, un coetaneo (ed estimatore e conoscente) di Sorel, Vilfredo Pareto, scriveva che la borghesia si era avvicinata ai socialisti perché, da élite in decadenza, si era indebolita diventando umanitaria. Un conoscitore e per certi aspetti seguace di Sorel e di Pareto, Robert Michels, a quel tempo socialista, dimostrò, nel 1908, in una ricerca pionieristica della sociologia delle élite, Il proletariato e la borghesia nel movimento socialista italiano: saggio di scienza sociografico-politica, che nei paesi latini il gruppo dirigente socialista e persino sindacale era costituito quasi esclusivamente da esponenti della media borghesia. Per dire che nella storia umana poco è veramente nuovo, forse nulla si crea e nulla di distrugge. Senza dimenticare, nell'Italia di qualche decennio dopo, la fulminante battuta attribuita a Ennio Flaiano «non sono comunista, non posso permettermelo».
Nei paesi latini il gruppo dirigente socialista e persino sindacale era costituito quasi esclusivamente da esponenti della media borghesi. Come diceva Ennio Flaiano «non sono comunista, non posso permettermelo».
I partiti socialisti e comunisti saranno stati anche guidati, nei contesti latini (ma non in Germania, Scandinavia e Regno unito: il capo della Spd, Friedrich Ebert, primo presidente della Repubblica di Weimar, era un sellaio) da «borghesi» ma erano partiti di classe, eccome: i voti degli operai, dei contadini, dei lavoratori manuali andavano quasi tutti a loro. Quasi, perché il voto delle classi subalterne, a seconda dei momenti e delle fasi, si volgeva anche verso partiti conservatori o comunque non di sinistra, come quelli democratici cristiani. In un Regno Unito o in una Francia che negli anni Sessanta possedeva il 70 per cento della forza lavoro classificata come operai manuali, se la correlazione classi popolari uguale voto a sinistra fosse stata meccanica, laburisti, socialisti e comunisti avrebbero dovuto stravincere. Invece oltre Manica la sinistra governò molto meno dei Tories, e in Francia, dal 1958 al 1981, non toccò palla. Ma rispondere a questa domanda ci condurrebbe fuori tema: resta che i partiti socialisti, socialdemocratici e comunisti erano in larga parte votati dalle fasce medio basse della popolazione, molte delle quali partecipavano attivamente alla loro vita associativa e politica. Oggi non è più cosi.
I partiti socialisti e comunisti saranno stati anche guidati, nei contesti latini da «borghesi» ma erano partiti di classe, eccome: i voti degli operai, dei contadini, dei lavoratori manuali andavano quasi tutti a loro.
Guardiamo qualche statistica sulle elezioni recenti. Francia, presidenziali 2017: i quadri superiori e i professionisti hanno votato il 33 per cento e il 26 per cento per Macron (e solo il 20 per cento e il 13 per cento per il candidato della destra Fillon, il 14 per cento e il 19 per cento per Le Pen), mentre il futuro presidente si è aggiudicato solo il 16 per cento del voto operaio (contro il 37 per cento a Le Pen). Regno Unito: parlamentarie 2017. Gli strati più elevati hanno votato il 47 per cento per i tories, e va bene, ma il 17 per cento per il Labour, 11 per cento in più rispetto alle elezioni del 2015 - eppure c’era Corbyn. Di fatto, quello del 2017 è stato il risultato migliore del Labour presso gli strati elevati, fin dal 1979; neppure Blair era riuscito a convincere tanti «ricchi» a votare per lui quanto Corbyn. Più sfumato il quadro delle recenti elezioni italiane: per la presenza di un partito catch-all come i Cinque Stelle e del centro-destra che al nord attrae i piccoli e medi imprenditori: anche qui però il Pd è stato scelto da un elettorato maturo (e anziano), urbano, dotato di titoli di studio, benestante - quello che Paul Ginsborg chiamò a suo tempo ceto medio riflessivo.
I numeri, contrariamente a quanto si sente dire spesso, non parlano da soli. Vanno interpretati. Prima di tutto; cosa si intende con ricchi o benestanti? Da Pierre Bourdieu sappiamo che le classi elevate sono tali perché dotate di un triplice capitale: monetario (reddito e rendite), sociale (reti di frequentazioni e di scambio) culturale (titoli di studio). La proporzione varia a seconda dei luoghi, dei tempi e delle situazioni; ma non si può appartenere alla classi elevate se non si dispone contemporaneamente di questi tre capitali. E allora, per riprendere la questione posta dal libro di Frank: a votare a sinistra sono oggi prevalentemente i detentori di questo triplice capitale - il che non vuol dire che tutti i rappresentanti delle classi elevate votino per la sinistra. Anzi a ben vedere, non è neanche tanto importante l’adesione al voto: conta assai più che, a definire i programmi, le parole d’ordine, l’immaginario, ancor più, l’ideologia, dei partiti di sinistra, sia oggi ormai questa nuova classe.
Cosa si intende con ricchi o benestanti? Da Pierre Bourdieu sappiamo che le classi elevate sono tali perché dotate di un triplice capitale: monetario (reddito e rendite), sociale (reti di frequentazioni e di scambio) culturale (titoli di studio).
Essa ha poco da spartire con i «padroni» panciuti (allora un segno distintivo), bombetta e bastone della satira socialista di Scalarini all’inizio del Novecento, ma anche dalla classe imprenditorial-burocratica rappresentata, nell’immaginario popolare, da un Gianni Agnelli da un lato e dai «cavalieri» di Paolo Villaggio. Non sono più neppure i cumenda della commedia del miracolo economico poi perfezionati nei film di Vanzina. È una borghesia smart, elegante, aperta, inclusiva e progressista, che la sociologa americana Elizabeth Currid-Halkett chiama aspirational class (The Sum of Small Things: A Theory of the Aspirational Class, Princeton University press, 2017)
Quando è iniziato tutto questo? Secondo Thomas Frank, nell’America degli anni Settanta. Nel 1971 il teorico della campagna presidenziale del Democratico Mac Govern, Frederick Dutton, scriveva che i democratici dovevano abbandonare gli operai, i blues collars, «contrari al cambiamento», per rivolgersi ai giovani di una «classe media affluente», laureati al college, che desiderano una «vita piena» e rifuggono dalle «semplici soddisfazioni materiali». A questo punto è tutto un piano inclinato, che porta negli anni Ottanta agli dem Atari (una marca di computer) di Gary Hart e nel decennio dopo ai clintoniani di Bill, che trasformano l’Asinello nel partito di Wall Street, degli «imprenditori che rischiano e che creano nuovi lavori e prodotti migliori», «route 128 e Silicon Valley». Secondo Frank, poi, Tony Blair non avrebbe fatto altro, dopo una gitarella in Usa, che appropriarsi degli slogan e delle brochure di Clinton, e trasportarle nel Regno Unito.
Il punto di vista di Frank è quello di un «vecchio» sinistrorso (in realtà è nato nel 1965), di un nostalgico del new deal: la cosa interessante è che, ben prima della vittoria di Trump (il suo libro esce all’inizio del 2016) egli aveva messo in guardia i liberal da quella deriva, in una serie di volumi in cui avvisava che gli operai già da tempo votavano i Repubblicani. Ma non era stato ascoltato. Come avrebbero, del resto, potuto dargli retta? Dopo la caduta del Muro di Berlino i dirigenti della sinistra, vedendo tracollare il mito del mondo nuovo dell’eguaglianza, molto presente anche nei riformisti, lo sostituirono con quello del progresso. Mito assai robusto anche in precedenza; ma se prima ciò significava tendere verso l’uguaglianza, ora il concetto di progresso si trasformò nell’esaltazione dell’individuo e dell’individualismo, della diversità, delle opportunità: e la religione della eguaglianza fu rimpiazzata da quella dei diritti civili. A reggere tutto, il peana alla meritocrazia e alle capacità individuali.
I partiti di sinistra, nei loro gangli dirigenziali, ammettevano ormai quasi solo rappresentanti di classi dotate di capitale sociale e soprattutto culturale. La laurea e il master nelle università della Ivy League diventarono il passe-partout per ambire a leader, a presidente, a capo del governo, a ministro. Da qui l’ideologia della superiorità politica, ma diremmo pure antropologica, dei depositari di titolo dei studio, il culto della competenza, ma anche del savoir faire, del saper parlare e condursi in società.
Qui ci viene in soccorso una sagace definizione di Thomas Piketty: «Sinistra braminica» (Brahmin Left vs Merchant Right: Rising Inequality & the Changing Structure of Political Conflict, WID.world WORKING PAPER SERIES N° 2018/7).
I bramini, cioè i membri della casta sacerdotale della società induista a cui spetta la celebrazione dei rituali religiosi più significativi. Nella società in apparenza secolarizzata i nuovi sacerdoti, come aveva capito all’inizio del Ottocento Henri de Saint-Simon, sono diventati l’esperto e il tecnico, che hanno appreso una disciplina e sono stati selezionati da una scuola, che ha rilasciato loro un titolo, concepito, più che come un diploma, come un’attestazione di appartenenza di corpo.
Non è un caso che Piketty sia francese. La bramanizzazione, se si passa il termine orrendo, della sinistra si verifica infatti, nell’Europa continentale, prima in Francia che altrove. Dove, nel dopoguerra, fu creata l’Ena, una Grande Ecole da cui uscirono tutti i presidenti della Repubblica dopo De Gaulle (a eccezione di Mitterrand, troppo anziano, e di Sarkozy, troppo outsider) ma anche quasi tutti i ministri e gli alti funzionari. Quando la gauche arrivò al potere, nel 1981, il Partito socialista di Mitterrand era già quasi esclusivamente composto da «bramini», gli enarchi che poi si riprodussero con rapidità: è dalle promotion Ena che i ministri scelgono i collaboratori, che poi li sostituiranno - e indovinate da dove è stato pescato pure Macron? Sarà allora un caso che la Francia degli anni Ottanta veda la nascita del fenomeno Le Pen (quarto alle presidenziali del 1988)? Quando si candidò Lionel Jospin, in quelle del 1995, gli operai che lo scelsero erano già netta minoranza, preferendo, a lui socialista, Chirac e Le Pen.
Tre anni prima, nel film La Crise di Coline Serreau, un ricco, casa nella banlieu chic di Neuilly, voto socialista, rimprovera il proletario Michou, casa nella banlieu povera di Saint-Denis, di essere «razzista» «immorale» e insensibile alla «diversità»: il banlieusard non tollera infatti il rumore e il tanfo degli «arabi» che si prendono le case popolari lasciando lui a dormire in macchina, perché senza soldi per pagare un affitto.
Ed eravamo ancora nella tarda società fordista. In quella della globalizzazione, tutto diventa più veloce, la disruption domina, nascono nuove figure sociali i bohemian bourgeois scoperti (e lui a coniare il termine) dal conservatore David Brooks. (Bobos in Paradise: The New Upper Class and How They Got There, Simon & Schuster, 2000) I bobos invadono i quartieri popolari e li genderizzano, espellono i vecchi abitanti, costretti a trasferirsi in periferia, dove vivono quasi esclusivamente immigrati e poveri.
La nuova aspirational class o anche «classe affluente» (Rachel Sherman, Uneasy Street: The Anxieties of Affluence, Princeton University press, 2017) è composta da individui che lavorano nel campo della «conoscenza», del silicio, della informazione, del soft, non conoscono l’hard, frequentano solo gente come loro, che mangia come loro, che ha i loro stessi consumi, non più quelli di massa. La classe affluente è aperta, bio e solidale, è pro immigrazione quando non open border, è a favore di tutti i diritti, ma proprio tutti, delle minoranze, gay, transgender, queer. Naturalmente non vuole un’economia troppo irrigidita; il posto fisso le fa orrore, ha il culto della «libertà libertaria» (quella, per Raymond Aron, diffusa dal Sessantotto contro la «libertà liberale»). Per cui i contratti di lavoro devono essere i più laschi possibile: chi merita ed è capace saprà farsi avanti. Per quanto ben definita dai lavori di Sherman, di Currid-Halkett, di Richard V. Revees (Dream Hoarders. How the American Upper Middle Class Is Leaving Everyone Else in the Dust, Brooking Institution press, 2017) manca tuttavia ancora un Veblen che scriva la teoria di questa nuova classe agiata.
Ovvio che questa nuova classe voti i partiti di sinistra. Da un lato i militanti ma soprattutto i dirigenti, sempre più da quel mondo provengono. Dall’altro, come si è visto nel caso statunitense, i capi della sinistra sono convinti, presi dalla ideologia «postindustriale» (e postmoderna) che le vecchie classi lavoratrici siano statisticamente sul punto di decimarsi, perciò scientemente si rivolgono sempre più verso questa nuova clientela elettorale. Che fornisce loro nuova allure, charme e credibilità dopo la disfatta del socialismo reale (crollato addosso anche a quello riformista). Anzi la nuova classe regala alla sinistra qualcosa di più: un immaginario che i vecchi social-comunisti avevano perduto, e un’ideologia. Il problema è che le vecchie classi popolari non stavano declinando così in fretta come i teorici del postindustriale credevano; e anzi, a partire da un certo punto, la globalizzazione non solo le impoverisce, declassa pure il ceto medio, lo spezza in due e forse in più parti, produce lavoratori precari e sempre più impoveriti.
Siamo rimasti all’esterno dell’Italia per cercare di volare il più possibile alto, fuori da polemiche. Diciamo solo che, però, dopo la Francia, è proprio l'Italia degli anni Novanta a mostrare segni anticipatori: non è solo il collegio di Mirafiori che nel 1994 viene stravinto da un candidato di Forza italia. Gli studi di Maurizio Pisati (Voto di classe. Posizione sociale e preferenze politiche in Italia, Il Mulino, 2010) hanno mostrato come, nella Seconda repubblica, i detentori di capitale culturale e sociale abbiano sempre massicciamente votato a sinistra, mentre gli operai, in maniera un po’ ondivaga, a volte si siano rivolti al blocco berlusconiano, altre volte siano tornati a casa. Ma dal 2013 se ne sono andati, forse per sempre.
La sinistra ha davanti due strade. Una, diventare compiutamente un partito radicale di massa, una categoria teorizzata per l‘Italia da Augusto Del Noce fin dagli anni Settanta, ma che si può estendere a tutte le sinistra del mondo occidentale. È la via di Macron, però già intrapresa dai socialisti spagnoli con Zapatero e che ora affascina anche la Spd: non più sinistra (e men che meno socialismo) ma progressismo. Il suo blocco sociale sono le élite urbane, affluenti, dotate del triplice capitale. Questo progressismo crede di vincere perché il blocco concorrente, quello popolare, sarebbe egemonizzato dai populisti di destra e di sinistra, che però «non possono governare». Uno schema suicidario; non solo perché i populisti al governo ci possono andare, eccome, ma anche perché, anche quando gli «elitari» riescono a vincere le elezioni, finiscono per governare senza entrare in sintonia con il paese, dall’alto, in forma verticistiche e autoritarie soft, con il rischio alla fine di far saltare le istituzioni (un rischio che il sistema della Quinta repubblica corre sempre).
Non convince però neppure l’altra via, quella del «populismo di sinistra ». Dati elettorali alla mano, infatti, non pare che quelli dei Sanders, dei Corbyn, dei Mélenchon, dei Podemos, siano da considerarsi partiti popolari, come si vede anche dalla loro ideologia: multiculturalismo spinto, immigrazionismo, culto estremo della diversità e dei diritti. Più che scelti dal nuovo proletariato e dalle classi popolari, il nuovo «popolo degli abissi», i populisti rossi sembrano il partito della fascia dominata dei ceti dominanti (per dirla con Bourdieu): millenial con piccola rendita, laureati, anche in «gradi scuole», ma soprattutto in sedi meno prestigiose rispetto al «blocco elitario», più bohémien che bourgeois, lavoratori della gig economy; un ceto prevalentemente metropolitano, come quello del blocco elitario che pure a parole contrasta, ma in cui una parte di loro prima o poi desidera accasarsi - vedere il percorso di Tsipras che da rivoluzionario diventato macroniano.
Che fare? Non lo so e, a dire il vero, non riconoscendomi nella sinistra, neppure la questione mi strugge. Non credo però che si potrà cominciare qualcosa partendo dalle magliette rosse, dalle copertine dei settimanali, dai «manifesti» dei rotocalchi rock: un genere, del resto, morto, come la sinistra, pochi anni dopo il crollo del muro di Berlino.
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3.6 Il Fornitore addebiterà anticipatamente l'intero prezzo dell'Abbonamento subito dopo ogni rinnovo sullo
stesso
strumento di pagamento in precedenza utilizzato dall'Utente ovvero sul diverso strumento indicato
dall'Utente attraverso
l'area riservata del proprio account personale.
4. Recesso DEL CONSUMATORE
4.1 L'Utente, ove qualificabile come consumatore – per consumatore si intende una persona fisica che agisce
per scopi
estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta, ha
diritto di
recedere dal contratto, senza costi e senza l'onere di indicarne i motivi, entro 14 giorni dalla data di
attivazione
dell'Abbonamento acquistato.
4.2 L'Utente può comunicare la propria volontà di recedere, inviando al Fornitore una comunicazione
esplicita in questo
senso mediante una delle seguenti modalità:
mediante raccomandata a.r. indirizzata alla sede del Fornitore;
per email al seguente indirizzo help@newslist.it;
4.3 Ai fini dell'esercizio del recesso l'Utente può, a sua scelta, utilizzare questo modulo
4.4 Il termine per l'esercizio del recesso si intende rispettato se la comunicazione relativa all'esercizio
del diritto
di recesso è inviata dall'Utente prima della scadenza del periodo di recesso.
4.5 In caso di valido esercizio del recesso, il Fornitore rimborserà all'Utente il pagamento ricevuto in
relazione
all'Abbonamento cui il recesso si riferisce, al netto di un importo proporzionale a quanto è stato fornito
dal Fornitore
fino al momento in cui il consumatore lo ha informato dell'esercizio del diritto di recesso; per il calcolo
di tale
importo, si terrà conto dei numeri o comunque dei contenuti fruiti e/o fruibili dal consumatore fino
all'esercizio del
diritto di recesso. Il rimborso avverrà entro 14 giorni dalla ricezione della comunicazione di recesso sullo
stesso
mezzo di pagamento utilizzato per la transazione iniziale.
4.6 Eventuali eccezioni al diritto di recesso, ove previste da Codice del consumo – decreto legislativo 6
settembre
2005, n. 206, saranno comunicate al consumatore in sede di offerta prima dell'acquisto.
5. Modalità di pagamento
5.1 L'Abbonamento comporta l'obbligo per l'Utente di corrispondere al Fornitore il corrispettivo nella
misura
specificata nell'offerta in relazione al pacchetto scelto dall'Utente.
5.2 Tutti i prezzi indicati nell'offerta si intendono comprensivi di IVA.
5.3 Il pagamento dei corrispettivi può essere effettuato mediante carte di credito o debito abilitate ad
effettuare gli
acquisti online. Le carte accettate sono le seguenti: Visa, Mastercard, American Express.
5.4 L'Utente autorizza il Fornitore ad effettuare l'addebito dei corrispettivi dovuti al momento
dell'acquisto
dell'Abbonamento e dei successivi rinnovi sulla carta di pagamento indicata dallo stesso Utente.
5.5 Il Fornitore non entra in possesso dei dati della carta di pagamento utilizzata dall'Utente. Tali dati
sono
conservati in modo sicuro dal provider dei servizi di pagamento utilizzato dal Fornitore (Stripe o il
diverso provider
che in futuro potrà essere indicato all'Utente). Inoltre, a garanzia dell'Utente, tutte le informazioni
sensibili della
transazione vengono criptate mediante la tecnologia SSL – Secure Sockets Layer.
5.6 È onere dell'Utente: (i) inserire tutti i dati necessari per il corretto funzionamento dello strumento
di pagamento
prescelto; (ii) mantenere aggiornate le informazioni di pagamento in vista dei successivi rinnovi (per
esempio,
aggiornando i dati della propria carta di pagamento scaduta in vista del pagamento dei successivi rinnovi
contrattuali).
Qualora per qualsiasi motivo il pagamento non andasse a buon fine, il Fornitore si riserva di sospendere
immediatamente
l'Abbonamento fino al buon fine dell'operazione di pagamento; trascorsi inutilmente 3 giorni senza che il
pagamento
abbia avuto esito positivo, è facoltà del Fornitore recedere dal contratto con effetti immediati.
Pagamenti all'interno dell'applicazione IOS
5.7 In caso di acquisto dell'Abbonamento mediante l'Applicazione per dispositivi IOS, il pagamento è gestito
interamente
attraverso la piattaforma App Store fornita dal gruppo Apple. Il pagamento del corrispettivo è
automaticamente
addebitato sull'Apple ID account dell'Utente al momento della conferma dell'acquisto. Gli abbonamenti
proposti sono
soggetti al rinnovo automatico e all'addebito periodico del corrispettivo. L'Utente può disattivare
l'abbonamento fino a
24h prima della scadenza del periodo di abbonamento in corso. In caso di mancata disattivazione,
l'abbonamento si
rinnova per un eguale periodo e all'Utente viene addebitato lo stesso importo sul suo account Apple.
L'Utente può
gestire e disattivare il proprio abbonamento direttamente dal proprio profilo su App Store. Per maggiori
informazioni al
riguardo: https://www.apple.com/it/legal/terms/site.html. Il Fornitore non è responsabile per eventuali
disservizi della
piattaforma App Store.
6. Promozioni
6.1 Il Fornitore può a sua discrezione offrire agli Utenti delle promozioni sotto forma di sconti o periodi
gratuiti di
fruizione del Servizio.
6.2 Salvo che non sia diversamente specificato nella pagina di offerta della promozione, l'adesione a una
promozione
comporta, alla sua scadenza, l'attivazione automatica del Servizio a pagamento con addebito periodico del
corrispettivo
in base al contenuto del pacchetto di volta in volta selezionato dall'Utente.
6.3 L'Utente ha la facoltà di disattivare il Servizio in qualunque momento prima della scadenza del periodo
di prova
attraverso una delle modalità indicate nel precedente articolo 3).
7. Obblighi e garanzie dell'Utente
7.1 L'Utente dichiara e garantisce:
- di essere maggiorenne;
- di sottoscrivere l'Abbonamento per scopi estranei ad attività professionali, imprenditoriali, artigianali
o commerciali
eventualmente svolte;
- che tutti i dati forniti per l'attivazione dell'Abbonamento sono corretti e veritieri;
- che i dati forniti saranno mantenuti aggiornati per l'intera durata dell'Abbonamento.
7.2 L'Utente si impegna al pagamento del corrispettivo in favore del Fornitore nella misura e con le
modalità definite
nei precedenti articoli.
7.3 L'Utente si impegna ad utilizzare l'Abbonamento e i suoi contenuti a titolo esclusivamente personale, in
forma non
collettiva e senza scopo di lucro; l'Utente è inoltre responsabile per qualsiasi uso non autorizzato
dell'Abbonamento e
dei suoi contenuti, ove riconducibile all'account dell'Utente medesimo; per questo motivo l'Utente si
impegna ad
assumere tutte le precauzioni necessarie per mantenere riservato l'accesso all'Abbonamento attraverso il
proprio account
(per esempio, mantenendo riservate le credenziali di accesso ovvero segnalando senza ritardo al Fornitore
che la
riservatezza di tali credenziali risulta compromessa per qualsiasi motivo).
7.4 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
8. Tutela della proprietà intellettuale e industriale
8.1 L'Utente riconosce e accetta che i contenuti dell'Abbonamento, sotto forma di testi, immagini,
fotografie, grafiche,
disegni, contenuti audio e video, animazioni, marchi, loghi e altri segni distintivi, sono coperti da
copyright e dagli
altri diritti di proprietà intellettuale e industriale di volta in volta facenti capo al Fornitore e ai suoi
danti causa
e per questo si impegna a rispettare tali diritti.
8.2 Tutti i diritti sono riservati in capo ai titolari; l'Utente accetta che l'unico diritto acquisito con
il contratto
è quello di fruire dei contenuti dell'Abbonamento con le modalità e i limiti propri del Servizio. Fatte
salve le
operazioni di archiviazione e condivisione consentite dalle apposite funzionalità del Servizio, qualsiasi
attività di
riproduzione, pubblica esecuzione, comunicazione a terzi, messa a disposizione, diffusione, modifica ed
elaborazione dei
contenuti è espressamente vietata.
8.3 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
9. Manleva
9.1 L'Utente si impegna a manlevare e tenere indenne il Fornitore contro qualsiasi costo – inclusi gli
onorari degli
avvocati, spesa o danno addebitato al Fornitore o in cui il Fornitore dovesse comunque incorrere in
conseguenza di usi
impropri del Servizio da parte dell'Utente o per la violazione da parte di quest'ultimo di obblighi
derivanti dalla
legge ovvero dai presenti termini d'uso.
10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.