31 Gennaio
Recessione. È sbarcata la realtà
Il problema numero uno, l'economia, è stato accantonato. Salvini e Di Maio hanno scelto la Protezione e dimenticato la Produzione. I dati sul crollo della crescita sono inesorabili. Senza investimenti non ci sarà nessun aumento del Pil. Otto mesi di governo, troppo tempo perso e agenda sbagliata
Il tempo è galantuomo, basta solo avere la pazienza di attendere e tutti i fili sparsi della storia s'intrecciano rendendo chiaro ciò che appare oscuro a chi di solito non vuol guardare in faccia la realtà. E la realtà ha bussato alla porta di Palazzo Chigi dicendo una cosa che per List è evidente da tempo: l'Italia rischia una recessione grave, lunga e in parte perfino solitaria.
Mentre l'Istat diffondeva i dati del Pil nel quarto trimestre e certificava la "recessione tecnica" - che non è una fase più buona, è semplicemente e inesorabilmente "recessione", un segno negativo della produzione per due trimestri consecutivi - la Spagna fermava il contagiri della sua produzione a +2.5 per cento. La differenza tra noi e "loro" è tutta qui, c'è un paese che è una lumaca e altri che durante l'espansione - che c'è stata, lunga e robusta - hanno fatto la corsa. La crescita "gentiloniana" non era un miracolo, ma la certificazione della nostra lentezza, Germania e Spagna crescevano quasi il triplo (e si preparavano alla gelata), noi abbiamo continuato a raccontare un boom che non c'era (da Renzi in poi è andata così, basta rileggere un passaggio dell'intervento di Giorgio Napolitano in apertura di legislatura al Senato, a proposito del voto del 4 marzo e le auto celebrazioni a sinistra: "Queste reazioni hanno mostrato quanto poco avesse convinto l'auto-esaltazione dei risultati ottenuti negli ultimi anni da governi e da partiti di maggioranza".) e dopo il sottosopra populista si è passati alla narrativa del "governo del cambiamento" che non ha cambiato niente perché ha fatto quello che non poteva permettersi: lasciar cadere nel vuoto della politica politicante il piano di Paolo Savona sugli investimenti. Va dato atto a Savona di esser stato l'unico a capire dove si andava a parare, di...
Il tempo è galantuomo, basta solo avere la pazienza di attendere e tutti i fili sparsi della storia s'intrecciano rendendo chiaro ciò che appare oscuro a chi di solito non vuol guardare in faccia la realtà. E la realtà ha bussato alla porta di Palazzo Chigi dicendo una cosa che per List è evidente da tempo: l'Italia rischia una recessione grave, lunga e in parte perfino solitaria.
Mentre l'Istat diffondeva i dati del Pil nel quarto trimestre e certificava la "recessione tecnica" - che non è una fase più buona, è semplicemente e inesorabilmente "recessione", un segno negativo della produzione per due trimestri consecutivi - la Spagna fermava il contagiri della sua produzione a +2.5 per cento. La differenza tra noi e "loro" è tutta qui, c'è un paese che è una lumaca e altri che durante l'espansione - che c'è stata, lunga e robusta - hanno fatto la corsa. La crescita "gentiloniana" non era un miracolo, ma la certificazione della nostra lentezza, Germania e Spagna crescevano quasi il triplo (e si preparavano alla gelata), noi abbiamo continuato a raccontare un boom che non c'era (da Renzi in poi è andata così, basta rileggere un passaggio dell'intervento di Giorgio Napolitano in apertura di legislatura al Senato, a proposito del voto del 4 marzo e le auto celebrazioni a sinistra: "Queste reazioni hanno mostrato quanto poco avesse convinto l'auto-esaltazione dei risultati ottenuti negli ultimi anni da governi e da partiti di maggioranza".) e dopo il sottosopra populista si è passati alla narrativa del "governo del cambiamento" che non ha cambiato niente perché ha fatto quello che non poteva permettersi: lasciar cadere nel vuoto della politica politicante il piano di Paolo Savona sugli investimenti. Va dato atto a Savona di esser stato l'unico a capire dove si andava a parare, di aver condotto una lotta solitaria all'interno del governo e nell'Unione europea sulla necessità di invertire realmente la politica economica. Quella era (e forse è ancora) l'unica strada possibile nelle condizioni date. A meno che non si pensi di elevare la Di Maio Economics a proprio standard di governo e allora è proprio il caso di preparare scialuppa, salvagente e pregare.
Il problema della recessione certificata dall'Istat non è oggi ma domani. Fermandoci al solo quadro europeo, se la Germania non si riprende, siamo nei guai, perché se Berlino fa +1 per cento di Pil, l'Italia fa la metà nel migliore dei casi. Il nostro mercato interno è già nella fase dell'emergenza, quello estero si regge sulla forza di imprese - e settori - che sono messi in pericolo dalla distopia anti-industriale pentastellata: settore dell'auto (ecotassa, allacciate le cinture), energia (trivelle e dintorni), infrastrutture (non si costruisce più niente), calo degli investimenti diretti dall'estero (chi può mai pensare di fare business con chi non vuole neppure l'alta velocità?). Sono i bagliori dell'incendio che avanza.

A questo quadretto da nani senza ballerine (sono state sostituite dai comici) bisogna aggiungere l'impatto gigantesco della politica economica americana, l'America First dell'amministrazione Trump (il vero game changer dello scenario), il rallentamento della crescita della Cina, le acque torbide, agitate e sconosciute della Brexit. Su ognuno di questi punti ci giochiamo punti di Pil, non è poesia (che amiamo) ma dura prosa economica (che rispettiamo e osserviamo). La Federal Reserve ha annunciato una politica d'attesa sui tassi, questo è un fatto positivo (e le Borse asiatiche sono in pieno rally, vedremo tra poco cosa farà Wall Street) e in linea con quanto sostenuto dalla Casa Bianca (a dimostrazione della capacità di Trump di saper fare bene il suo lavoro, nell'interesse del suo paese), la Banca centrale della Cina sta iniettando centinaia di miliardi di liquidità nel sistema delle piccole e medie imprese, la Banca centrale del Giappone continua il sostegno alla politica di Shinzo Abe, la Banca centrale europea - con tutti i suoi evidenti limiti - è pronta ad adottare altre misure espansive e dopo il taglio di ieri della crescita della Germania (da +1.8 per cento a +1 per cento) vedremo presto le mosse di Mario Draghi. L'unico gioco che conta, The Only Game In Town, quello delle banche centrali, andrà avanti perché nessuno può permettersi l'atterraggio senza carrello dell'economia mondiale. Al resto provvederà la machiavellica Fortuna. Sono temi di cui parliamo ogni giorno su List e, come vedete, tutti i fili si riannodano. Toc toc, sono la realtà.
Come si è giunti a questo scenario? Facciamo chiarezza su un punto: le colpe di questo preludio di crisi sono ben distribuite, i partiti populisti raccolgono eredità che a loro volta riproducono e spandono in varia e avariata forma. I governi italiani degli ultimi 5 anni (Letta, Renzi, Gentiloni) hanno goduto di condizioni irripetibili di scenario: pax finanziaria, prezzi energetici bassissimi, tassi a zero e addirittura negativi, costo del debito pubblico irrisorio rispetto al passato, crescita robusta dell'America e della Cina, occasioni per espandere la propria potenza commerciale in assenza di guerra del container, il Pd aveva l'occasione unica di governare in un mondo in cui i fattori della globalizzazione erano ancora in espansione e non in rallentamento come oggi. Questi fattori esterni hanno trascinato la crescita mondiale (con l'incognita della bolla di liquidità), ma il centrosinistra ha fatto il calcolo che oggi fanno i nuovi inquilini di Palazzo Chigi: cercare di capitalizzare in chiave elettorale il momento storico. Così è arrivata la politica degli 80 euro (sciaguratamente proseguita con il "governo del cambiamento"), sono state confermate le clausole di salvaguardia (il macigno di miliardi che incombe sul futuro di qualsiasi governo di domani), è stata fatta spesa improduttiva con una serie di micro provvedimenti di settore buoni per placare le pressioni corporative non per fare sviluppo, le imprese esportatrici hanno fatto il meglio possibile (e anche l'impossibile) mentre quelle dipendenti dalla domanda interna si sono ritrovate nel deserto del peggio, la povertà è stata dimenticata, il bilancio dello Stato è rimasto prigioniero del debito pubblico, si è andati (ieri come oggi) a trattare in Europa flessibilità per finanziare una politica priva di visione. La crisi della sinistra.
Crisi alla quale non si può contrapporre la brillante politica dei sovranisti immaginari perché semplicemente non esiste. Il continuismo è la parola d'ordine e infatti oggi ci becchiamo la recessione con il presidente del Consiglio che pronuncia banalità del tipo: "Faremo meglio nella seconda parte del 2019". Se si fanno affermazioni simili, vanno sostanziate, messi in fila i numeri, dato un quadro informativo esauriente all'opinione pubblica, non i cartelli di Rocco Casalino. I giochi illusionistici sono giunti a fine corsa. Il governo dello stato di necessità, l'unico format spendibile per Palazzo Chigi (e necessario per evitare una sindrome francese in Italia), è sprofondato nell'astrattezza del racconto sui social, il Signor Zeitgeist li ha fatti salire a bordo del treno della storia, sempre il Signor Zeitgeist provvederà a farli scendere. La contemporaneità è accelerata, fatta (e disfatta) da cicli politici intensi, brevi e compressi.
Com'è stato possibile non vedere ciò che era visibile? Il premier Conte e il ministro dell'Economia Tria, dopo un braccio di ferro estenuante e senza sbocco, punti di spread galoppante e centinaia su centinaia di milioni di euro di ulteriori costi sul servizio del debito pubblico, si sono presentati dal presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, senza il piano di investimenti - che Juncker avrebbe accettato, di corsa - e con il solo obiettivo di strappare qualche punto di flessibilità nel bilancio per finanziare Quota 100 e Reddito di cittadinanza, una scelta precisa di Salvini e Di Maio che oggi incontra il confine della terra dove galoppano le forze oscure della crisi. Il continuismo applicato al ciclo elettorale (pensano esclusivamente a questo, il voto europeo, i sondaggi interni), un dejà vu inseguito con la cecità di chi non vede l'iceberg all'orizzonte. Eppure bastava dare un'occhiata al costante raffreddamento dell'economia della Germania per fare due conti, varare non una politica à la Gentiloni (che è parte importante del problema che vediamo oggi) ma una politica lungimirante e coraggiosa. Salvini e Di Maio hanno scelto la Protezione lasciando scoperta la Produzione. Salvini ha scelto i pensionandi dimenticando un pezzo fondamentale della constituency del suo partito, le imprese; Di Maio non avendo una sola idea di governo in testa, ha prima tinto di giallo decrescente la legislazione sul lavoro (gli effetti si vedono e si vedranno), poi nel suo safari nel bilancio dello Stato ha vinto la trophy cup del Reddito di cittadinanza, una voce di spesa certa con efficacia altamente incerta.
Qui va fatta una considerazione di prospettiva, serve come memento, una nota per i posteri. Di fronte a un problema reale, la povertà, si è percorsa la strada "social" che rischia di spaccare l'Italia in due: chi lavora e chi vive di assistenza. Come abbiamo fatto per la recessione, avvisiamo prima i naviganti: l'assegno a chi non lavora rischia seriamente di frantumare il paese, innescare una lotta tribale - come sempre tra poveri - tra una legione di assistiti cronici senza una reale prospettiva di occupazione e chi ogni giorno si carica sulle spalle il resto della nazione. Su una popolazione di 60 milioni di abitanti, solo 23 milioni lavorano. È un pericolo per la stabilità stessa del paese, aumenta il già presente rancore (leggere le analisi preziose del Censis e del professor Giuseppe De Rita). Senza correttivi rapidi e efficaci, sarà questo l'effetto certo di una politica che sceglie la Protezione e dimentica la Produzione. Senza la seconda, la prima casca. L'unico governo possibile si è messo in una condizione impossibile.
Sono trascorsi otto mesi in cui si è parlato solo di immigrazione (senza purtroppo aver risolto niente in Europa, il tavolo negoziale, quello dove dovrebbe stare il governo), mentre il problema numero uno dell'agenda, la crescita dell'economia (traduzione: ricavi delle imprese, posti di lavoro, introiti del fisco, reddito delle famiglie italiane), è stato accantonato. Maggioranza e opposizione, tutti a bordo della Sea Watch, il ministro dell'Interno con le divise, il Pd che prepara le staffette acquatiche, il ministro del Lavoro che non ha mai lavorato che ancora oggi riesce a definire incoraggianti i dati - piatti - sull'occupazione (dove aumentano i lavori a termine che lui diceva di aver cancellato con il suo decreto). Che spettacolo. Nel frattempo stava colando a picco un'altra nave, quella della produzione.
C'è un bicchiere mezzo pieno? C'era, si sta svuotando. Senza la Produzione non ci sarà neanche la Protezione. Solo delusione. E la colpa non è dello straniero, è di chi sta a tavola.
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elaborazione dei
contenuti è espressamente vietata.
8.3 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
9. Manleva
9.1 L'Utente si impegna a manlevare e tenere indenne il Fornitore contro qualsiasi costo – inclusi gli
onorari degli
avvocati, spesa o danno addebitato al Fornitore o in cui il Fornitore dovesse comunque incorrere in
conseguenza di usi
impropri del Servizio da parte dell'Utente o per la violazione da parte di quest'ultimo di obblighi
derivanti dalla
legge ovvero dai presenti termini d'uso.
10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.