19 Gennaio
Tregua di carta in Libia. Haftar e Serraj non si parlano
La Conferenza di Berlino si è conclusa con un piccolo passo avanti, ma tutto da provare sul terreno dello scontro militare. Il premier libico e il generale non si sono mai incontrati. Merkel: "Li abbiamo informati separatamente". Lavrov: "Per ora è impossibile organizzare un dialogo"
Fatta la pace, continuerà la guerra dei nervi e per quella sul campo militare avremo presto la prova. La sensazione è che quello che viene dichiarato superi di gran lunga quel che è stato davvero raggiunto. La Conferenza di Berlino è durata quattro ore, c'è un accordo su un comunicato finale, la tregua è stata siglata sulla carta, ma la pace è tutta da inventare e allo stato attuale nessuno arretra dalle sue postazioni militari. Finora non hanno parlato quelli che la tregua devono attuarla, Serraj e Haftar, non ha detto niente Erdogan. Senza le dichiarazioni di queste tre figure il terreno resta a dir poco friabile.
Sappiamo che il premier del Governo di accordo nazionale libico, Fazyez al Serraj, e il generale della Cirenaica, Khalifa Haftar, hanno dato la loro approvazione alla convocazione della conferenza intra-libica, da tenersi probabilmente a Ginevra. Via libera anche all'istituzione di un comitato militare misto composto da cinque ufficiali designati da ciascuna delle due parti libiche in conflitto, lavorerà al monitoraggio del cessate il fuoco. Durante la Conferenza Serraj e Haftar non si sono mai incontrati, nonostante i tentativi fatti da Angela Merkel per metterli insieme al tavolo. La Cancelliera ha commentato:
Abbiamo avuto seri negoziati e contribuito a dare un nuovo impulso al processo politico in Libia, provando a raggiungere la pace per il popolo in Libia. Tutti gli Stati sono d'accordo su una soluzione politica.
Come sono andate le cose tra i due contendenti? Risponde Merkel:
Haftar e Serraj hanno molte divergenze tra loro e non si parlano. Non erano parte della Conferenza, li abbiamo informati separatamente.
Alle parole della leader tedesca si aggiungono quelle definitive del ministro degli Esteri della Russia, Serghei Lavrov:
È ancora impossibile organizzare un dialogo tra le parti in conflitto in Libia.
Sarebbe la prima volta nella storia che le due parti...
Fatta la pace, continuerà la guerra dei nervi e per quella sul campo militare avremo presto la prova. La sensazione è che quello che viene dichiarato superi di gran lunga quel che è stato davvero raggiunto. La Conferenza di Berlino è durata quattro ore, c'è un accordo su un comunicato finale, la tregua è stata siglata sulla carta, ma la pace è tutta da inventare e allo stato attuale nessuno arretra dalle sue postazioni militari. Finora non hanno parlato quelli che la tregua devono attuarla, Serraj e Haftar, non ha detto niente Erdogan. Senza le dichiarazioni di queste tre figure il terreno resta a dir poco friabile.
Sappiamo che il premier del Governo di accordo nazionale libico, Fazyez al Serraj, e il generale della Cirenaica, Khalifa Haftar, hanno dato la loro approvazione alla convocazione della conferenza intra-libica, da tenersi probabilmente a Ginevra. Via libera anche all'istituzione di un comitato militare misto composto da cinque ufficiali designati da ciascuna delle due parti libiche in conflitto, lavorerà al monitoraggio del cessate il fuoco. Durante la Conferenza Serraj e Haftar non si sono mai incontrati, nonostante i tentativi fatti da Angela Merkel per metterli insieme al tavolo. La Cancelliera ha commentato:
Abbiamo avuto seri negoziati e contribuito a dare un nuovo impulso al processo politico in Libia, provando a raggiungere la pace per il popolo in Libia. Tutti gli Stati sono d'accordo su una soluzione politica.
Come sono andate le cose tra i due contendenti? Risponde Merkel:
Haftar e Serraj hanno molte divergenze tra loro e non si parlano. Non erano parte della Conferenza, li abbiamo informati separatamente.
Alle parole della leader tedesca si aggiungono quelle definitive del ministro degli Esteri della Russia, Serghei Lavrov:
È ancora impossibile organizzare un dialogo tra le parti in conflitto in Libia.
Sarebbe la prima volta nella storia che le due parti in guerra siglano una pace senza guardarsi in faccia. Mission impossibile. Attenzione a questo passaggio di Merkel:
Non abbiamo risolto tutti i problemi, ma abbiamo creato lo spirito, la base per poter procedere sul percorso Onu designato da Salamè. Siamo stati tutti d'accordo sul fatto di non sostenere militarmente nessuna delle parti in Libia.
Prudenza. Siglata la tregua, la prima guerra da fermare è quella tra il premier e il generale. Fonti citate dal New York Times rivelano che gli Emirati Arabi hanno chiesto a Haftar di continuare a combattere, le notizie che vengono dal teatro militare libico sono di segno decisamente contrario rispetto alle parole della Conferenza di Berlino, in Libia in queste ore si combatte ancora.
Il segretario di Stato Mike Pompeo ha commentato via Twitter: "Dialogo produttivo a Berlino per trovare una soluzione politica in Libia. Siamo a fianco del popolo libico mentre lavora per un futuro sicuro, libero dalla violenza e dalle interferenze straniere".
Chi ha vinto? È presto per dirlo, ma tra coloro che riscu0teranno un dividendo certo da questa guerra uno è comparso all'ultimo momento con una puntualità da consumato giocatore di poker, mostrando le carte vere (l'invio delle truppe turche a Tripoli) solo all'ultima giro di tavolo: il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan. Senza la sua decisione di inviare le truppe turche a Tripoli, nessuno avrebbe fatto un passo avanti per cercare una soluzione al conflitto, segno che in realtà in gioco ci sono equilibri più grandi, quelli del Mediterraneo Orientale, i giacimenti di gas e petrolio, l'influenza sulla partita nuova - non più americana - in Medio Oriente. Vediamo come il nostro Marco Patricelli dipinge il sultano di Ankara.
Erdogan, l'artista del doppiogioco
Berlino. Cercando una posizione per la "foto di famiglia". Il presidente del Congo, Denis Sassou-Nguesso, il presidente del Connsiglio d'Europaa, Charles Michel, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas e il segretario di Stato americano Mike Pompeo (Foto Ansa)di Marco Patricelli
Difficile dire chi vincerà la partita libica tra il presidente Fāyez Muṣṭafā al-Sarrāj e il generale Khalīfa Belqāsim Ḥaftar, ma un vincitore c’è già. È quell’incrocio tra un dittatore in doppiopetto e un sultano con l’abito di sartoria, dal baffetto con la riga in mezzo tanto per distinguersi da un artista fallito di Braunau che mise paura al mondo, ma indubitabilmente un artista del doppiogioco e del rilancio al tavolo della politica internazionale. Recep Tayyip Erdoğan, che non veniva preso troppo sul serio dai media occidentali tarati su altre frequenze rispetto a quelle di Ankara, non ha sbagliato una mossa da quando, fallendo nell’analisi politica, l’avevano dato per finito, abbattuto da un colpo di stato in diretta tv. E invece con un colpo di reni e il pugno di ferro ha neutralizzato i golpisti, ha epurato la società turca di tutti gli elementi che l’ostacolavano nella presa assoluta del potere, come professori, giornalisti, magistrati e oppositori politici, e si è reimposto come uomo forte della Turchia divenuto ancora più forte.
Padroneggia il Paese della mezzaluna controllando persino quella componente militare che di solito ha difeso se stessa e la lezione laica impartita a dosi da febbre di cavallo dal fondatore della Turchia moderna, Mustafa Kemal Atatürk. Il Padre della Patria si rivolterà nella tomba di fronte alle iniezioni di islamismo nelle vene della nazione che la cura Erdogan diffonde dall’Anatolia alla tenace appendice occidentale dove fiorì e sfiorì l’Impero romano d’oriente. La sua rivoluzione Erdogan l’ha fatta partendo da una controrivoluzione che non ha nascosto di avere come mito fondativo l’Impero ottomano, così come l’Italia di Mussolini aveva Roma e il Reich di Hitler i germanici. Il grande malato sul Bosforo di inizio Novecento si è decomposto dopo la Prima guerra mondiale eppure dopo un secolo sembra godere di ottima salute, almeno stando allo sfoggio di muscoli.
Victory Day. Erdogan durante la parata delle forze armate turche (Foto Ansa)L’Impero ottomano del sultano di Costantinopoli è finito sui libri di storia mentre la Turchia del sultano di Ankara, Erdoğan, ci sta entrando da protagonista. Spregiudicato quel che tanto che basta da recitare sul palcoscenico della politica internazionale, sempre e comunque. Rischia il conflitto con la Russia di Putin a causa dell’abbattimento di due jet militari, poi tende la mano al signore del Cremlino e acquista da lui un sistema antimissile che è un pugno nell’occhio e un calcio al basso ventre della Nato, di cui la Turchia fa parte come baluardo sud-orientale. Erdoğan è dentro l’Alleanza atlantica ma si chiama fuori all’occorrenza, tira la corda senza spezzarla, si permette di irritare l’eterna nemica Grecia, manda i soldati dove vuole e quando vuole, nella crisi siriana balla sul filo dell’ambiguità e decide lui chi è terrorista e chi no, mette i curdi all’angolo ed mette a nudo la velleità parolaia dell’Europa (nella quale voleva entrare) che non ha una politica comune e neppure un esercito comune, cosa questa che dà ragione a Stalin quando irrideva l’inesistenza delle divisioni del Papa.
Un secolo dopo la cacciata da quel che erano Tripolitania, Cirenaica e Fezzan ribattezzati proprio dagli italiani Libia, autoconvinti di averla conquistata, di averne fatto una colonia e di averla trasformata in un Paese omogeneo, i turchi sono tornati in pompa magna e con i mitra in spalla a sud del Mediterraneo, ben schierati dalla parte di Serraj ingannato da Macron e illuso dall’Italia, e che quindi si è scelto il primo che gli ha teso la mano e gli ha messo sul piatto gli aiuti militari di cui aveva bisogno. Altro che chiacchiere su vedremo, faremo, dialogheremo e strette di mano per foto e telecamere. A Berlino i Paesi europei ed extraeuropei si sono autoincoronati giudici della contesa libica e hanno partorito l’immancabile dichiarazione finale che deve sancire la stabilizzazione del cessate il fuoco tra i rivali di Cirenaica e Tripolitania. Gli ex scatoloni di sabbia d’inizio Novecento nella geopolitica contemporanea sono diventati nevralgici serbatoi di petrolio e canali di smistamento dei flussi migratori dall’Africa. Guarda caso due nervi scoperti della vecchia Europa, l’erede di quella che dissolse l’impero ottomano e che oggi assiste al reinsediamento del sultano di Ankara sulla quarta sponda del Mediterraneo. Nel silenzio di quanti si strappavano i capelli perché volevano la Turchia nell’Unione europea.
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suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.