19 Marzo
Trump, lo Stato forte e l'Europa debole
Riforma fiscale e dazi. La Casa Bianca attacca frontalmente l'Unione europea e lo fa con il suo gigantesco apparato statale. Di fronte alla politica del riequilibrio USA, Bruxelles risponde con lettere di protesta. Lorenzo Castellani racconta la rivoluzione americana.
di Lorenzo Castellani
Trump ha attraversato un primo anno di mandato tutt’altro che semplice tra licenziamenti dei più stretti collaboratori, la minaccia nucleare in Corea del Nord, il rischio d’impeachment per il Russia gate e il fallimento del repeal dell’Obamacare. In questo turbinio di eventi ha esteso al massimo il proprio potere di patronage nominando e licenziando, con pragmatismo e una certa spregiudicatezza, membri del governo, capi delle agenzie e staff personale. È riuscito, in poco più di un anno, a portare a casa una storica riforma fiscale che si muove in senso inverso alle politiche degli altri Paesi occidentali. Come ha sottolineato Giulio Tremonti la possibile portata storica delle politica di Trump sulle tasse risiede proprio nel mettere al centro le imprese. Non più sgravi fiscali a determinate categorie o una riduzione delle aliquote sui redditi individuali, ma una grande operazione di defiscalizzazione per rilanciare e riportare a casa l’industria. Quello di Donald Trump è un processo di ri-territorializzazione del capitalismo che si muove su due perpendicolari: quella fiscale e quella doganale.
I detrattori europei accusano il Presidente americano di protezionismo perché nei dettagli della riforma fiscale si anniderebbero soluzioni volte a penalizzare le aziende estere nell’operare sul mercato americano a cui si aggiungono le nuove tariffe sull’importazione dell’acciaio e dell’alluminio. Trump ha aperto una nuova epoca: l’era del riequilibrio, ha chiuso il progetto di influenza e controllo sull’Europa iniziato nel 1945 e quello dell’esportazione della democrazia liberale e della creazione di un mercato globale iniziato dopo il 1989. È la chiusura di un periodo ben determinato che inizia negli anni Novanta e volge al termine nel 2016, ma le cui avvisaglie sulla sponda americana si scorgevano già con la Presidenza Obama, che può essere considerato lo zenit del potere globale statunitense. L’era in cui il colosso americano ha costruito...
di Lorenzo Castellani
Trump ha attraversato un primo anno di mandato tutt’altro che semplice tra licenziamenti dei più stretti collaboratori, la minaccia nucleare in Corea del Nord, il rischio d’impeachment per il Russia gate e il fallimento del repeal dell’Obamacare. In questo turbinio di eventi ha esteso al massimo il proprio potere di patronage nominando e licenziando, con pragmatismo e una certa spregiudicatezza, membri del governo, capi delle agenzie e staff personale. È riuscito, in poco più di un anno, a portare a casa una storica riforma fiscale che si muove in senso inverso alle politiche degli altri Paesi occidentali. Come ha sottolineato Giulio Tremonti la possibile portata storica delle politica di Trump sulle tasse risiede proprio nel mettere al centro le imprese. Non più sgravi fiscali a determinate categorie o una riduzione delle aliquote sui redditi individuali, ma una grande operazione di defiscalizzazione per rilanciare e riportare a casa l’industria. Quello di Donald Trump è un processo di ri-territorializzazione del capitalismo che si muove su due perpendicolari: quella fiscale e quella doganale.
I detrattori europei accusano il Presidente americano di protezionismo perché nei dettagli della riforma fiscale si anniderebbero soluzioni volte a penalizzare le aziende estere nell’operare sul mercato americano a cui si aggiungono le nuove tariffe sull’importazione dell’acciaio e dell’alluminio. Trump ha aperto una nuova epoca: l’era del riequilibrio, ha chiuso il progetto di influenza e controllo sull’Europa iniziato nel 1945 e quello dell’esportazione della democrazia liberale e della creazione di un mercato globale iniziato dopo il 1989. È la chiusura di un periodo ben determinato che inizia negli anni Novanta e volge al termine nel 2016, ma le cui avvisaglie sulla sponda americana si scorgevano già con la Presidenza Obama, che può essere considerato lo zenit del potere globale statunitense. L’era in cui il colosso americano ha costruito il mercato globale e per farlo ha maturato un saldo negativo nella propria bilancia commerciale rispetto alle altre potenze del G20.
Quello di Donald Trump è un processo di ri-territorializzazione del capitalismo che si muove su due perpendicolari: quella fiscale e quella doganale.
Quella fase sta volgendo al termine e l’attenzione americana si sta focalizzando su teatri diversi da quelli europei e mediterranei. Un’esigenza dettata dalla crescita del dragone cinese che continua non soltanto a registrare una propulsione economica da record, ma anche a trasformarsi politicamente in una autocrazia secondo la dinastia di Mao Tsetung. Se Adam Smith è andato a Pechino, Aristotele è stato respinto alla frontiera e Tocqueville non è mai partito per l’Oriente. Mentre l’Imperatore con gli occhi a mandorla è tornare a bussare a palazzo.
A Bruxelles gli animi sono disturbati dalla risoluta dimostrazione di potenza americana, perché virare con decisione rispetto al sentiero della storia è una dimostrazione di forza. Gli euro burocrati rivendicano l’ingresso nell’era dello squilibrio economico e commerciale. L’omogeneità, parola molto in voga nei corridoi di Bruxelles, non interessa né ai Repubblicani né a Wall Street, dove il mercato azionario è andato fortissimo da quando Trump ha assunto il ruolo di Commander-in-chief. L’occupazione aumenta e decine di miliardi di dollari stanno tornando dallo Zio Sam.
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La Presidenza Trump sta mostrando plasticamente, con questa strategia, una delle grandi forze motrici ed occulte del sistema americano: la salda alleanza tra pubblico e privato. Da questa parte dell’Oceano si è abituati a pensare all’America come la patria del mercato, delle libertà individuali, dello statelessness, lo Stato debole, o meglio la società senza Stato, ma è davvero così? Questo giudizio sulla debolezza genetica dello Stato americano è stato forgiato dai pensatori europei del diciannovesimo secolo come Tocqueville, Hegel e Marx che vedevano, seppur da diverse prospettive, la scarsa centralizzazione e penetrazione dello Stato nella società ma non potevano prevedere l’impressionante rafforzamento della macchina pubblica derivante dalla guerra di secessione prima e dall’intervento risolutivo delle due guerre mondiali poi. Le istituzioni in America si sono sviluppate sotto altre forme: non un potere verticale, gerarchicamente ordinato come le burocrazie dei grandi Stati europei, ma un potere orizzontale, federale e non meno tentacolare. Si pensi che oggi tra governo federale, Stati e governi locali ci sono oltre 90mila unità amministrative. Insomma, in America il potere pubblico è enorme, di scala imperiale, seppure meno concentrato e maggiormente disaggregato. Non solo, ma è anche un potere maggiormente ibrido poiché dalle charters delle colonie in avanti sul suolo americano c’è sempre stata una salda alleanza tra poteri pubblici e privati.
Tra governo federale, Stati e governi locali ci sono oltre 90mila unità amministrative.In America il potere pubblico è enorme, di scala imperiale.
Quando venivano fondate nuove città o contee o Stati nell’America del diciottesimo secolo si autorizzavano anche lo sfruttamento del territorio e lo svolgimento delle attività economiche. Le corporations dell’ottocento avevano funzioni pubbliche indirizzate dal potere pubblico, come gestire trasporti e appalti, ma restavano saldamente nelle mani dei privati. Internet viene sviluppato dall’esercito e oggi è il nuovo oro dei privati americani. Gli Stati Uniti d’America non sono soltanto la patria del libero mercato, ma l’espressione di uno straordinario motore che vive di cooperazione tra pubblico e privato, tra Stato e mercato. D’altronde come avrebbero potuto gli Stati Uniti diventare la prima potenza al mondo con quello Stato debole, quell’ethos individualista di cui si riempiono la bocca gli intellettuali europei quando scrivono d’America? Come sottolinea il sociologo Michael Mann quello americano è un potere infrastrutturale, capace di coinvolgere mercato, società civile e potere pubblico. Senza istituzioni pubbliche non esiste capitalismo, perché entrambe sono i pilastri del potere moderno.
Non è un caso se il termine governance, usato e abusato ovunque, sia invenzione statunitense poiché questo è il mondo in cui il potere pubblico si dispiega a Washington: tra poteri pubblici, privati e misti, federali e locali, globali e statuali. L’espressione definitiva di un impero della produzione prima e del consumo poi governato da una élite, oligarchia oscillante tra privato e pubblico, prima che da un Presidente democraticamente eletto.
Come avrebbero potuto gli Stati Uniti diventare la prima potenza al mondo con quello Stato debole, quell’ethos individualista di cui si riempiono la bocca gli intellettuali europei quando scrivono d’America?
Donald Trump, con la manovra sulle tasse, l’aumento delle spese militari, il protezionismo selettivo e con mosse diplomatiche decise come il riconoscimento di Gerusalemme capitale d’Israele, è tornato a sbattere in faccia agli alleati politici l’animo più profondo della potenza americana. Con un meccanismo che spiazza gran parte dell’opinione pubblica perché rivolge all’interno, verso l’America, il fine ultimo del dispiegamento del potere e non soltanto verso il resto del mondo. D’altronde il suo mantra è Make America Great Again e non Make Western Great Again. È la volontà di tornare all’Impero della produzione, tramontato nel 1945, e fattosi Impero del consumo per necessità storica. La reazione ha prodotto il maverick politico Donald Trump, capo dell’esecutivo populista e decisionista che s’inserisce alla perfezione nella tradizione politica americana. Da Andrew Jackson ai due Roosevelt fino a Richard Nixon e Ronald Reagan, ad intervalli regolari, la politica americana ha mostrato il suo volto popolare e carismatico, propagandistico e accentratore, propenso ad usare smoderatamente il potere di nomina su civil servants e uffici del governo. Donald Trump, dunque, non è uscito fuori dal cappello del cilindro, ma è il prodotto di un sistema forgiato dalla storia.
Il suo mantra è Make America Great Again e non Make Western Great Again. È la volontà di tornare all’Impero della produzione, tramontato nel 1945, e fattosi Impero del consumo per necessità storica.
Per questo a Bruxelles strepitano, perché l’Europa è finita dritta in un cul de sac: Brexit e le resistenze sull’immigrazione del gruppo Visegrad hanno ucciso il progetto di una ever closer union, le divergenze economiche tra Europa mediterranea ed Europa fredda sono aumentate, forme di socializzazione dei debiti pubblici non riescono a trovare sbocco, il Ministro delle Finanze europee più che un potere effettivo sembra una trovata poliziesca dei tedeschi per controllare le allegre finanze dei mediterranei, le riforme di Macron volte a centralizzare il bilancio e a favorire la mutualizzazione dei debiti pubblici europei appaiono arenate da questi contrasti.
Non c’è stato un Jefferson né un Madison europeo a forgiare l’Unione che è espressione di Stati nazionali che a loro volta vivono crisi d’identità e disgregazioni interne. Se lo Stato-nazione è in crisi come può stare bene il super-Stato europeo? Inoltre, a questi deficit storici si è aggiunta l’instabilità politica di cui è ammalato il continente su cui si estende una rivolta populista che parte da Lampedusa e finisce ad Helsinki. L’Europa è immobile, in grado di occuparsi, con passo incerto, di problematiche politiche volte al suo depotenziamento, come la Brexit, oppure ad intraprendere deboli azioni di contrasto nei confronti di Donald Trump. Le istituzioni europee scrivono lettere a Washington che sono nulla più di una moral suasion e il tentativo di fermare il progetto di riequilibrio americano appare come l’ennesimo wishful thinking europeo. Intrappolata nelle sue differenze e nel desiderio omogeneizzante delle sue elite burocratiche l’Europa si scopre reattiva e mai proattiva.
Sulle tasse, ad esempio, da tempo manca una strategia alternativa a quella eternamente incompiuta dell’armonizzazione, cioè al rendere ancora più simili i paesi europei. E se proprio si volesse proseguire su questa strada di centralizzazione perché, invece di battagliare con l’amministrazione Trump, non s’intraprende un cammino che fissi un tetto massimo europeo sulla tassazione delle imprese? Un provvedimento che costringa tutti a scendere al di sotto di un certo livello di tassazione degli utili d’impresa così da essere competitivi con le altre potenze mondiali nella corsa a riterritorializzare il capitale. Invece oggi la storia ci mostra da un lato il volto del potere di un impero impegnato in una azione di riequilibrio mondiale e dall’altro la facciata crepata di un Continente frazionato, imprigionato dal politicamente corretto che in nome dell’eguaglianza e del globalismo continua a coprirsi gli occhi di fronte alla forza bruta della politica, privo di una politica estera, con una politica economica che fatica a coordinarsi e in preda al ribollire degli spiriti bollenti del nazionalismo.
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L’Unione Europea ha rimosso Niccolò Machiavelli, chiuso la porta al conflitto politico in favore della depoliticizzazione giudica e burocratica, ma un qualsiasi potere pubblico non sopravvive a lungo senza politica pura. Per questo motivo l’Unione Europea appare incapace di prevedere, prevenire, reagire contro le mosse delle altre potenze, ma sempre pronta a puntare il dito altrove, ad additare come responsabili del disordine mondiale potenze extraeuropee, come gli Stati Uniti o la Russia, quando il vero pericolo, quello della rinuncia alla politica e della dismissione delle decisioni che alimenta il fuoco della reazione populista, è proprio qui, dentro la casa europea.
Così il mondo occidentale si divide tra la sfera americana, l’estremo Occidente di Thomas Mann, e le sue élite protese a ragionar per civiltà e non per nazioni, decise a rimpatriare il capitalismo, a cercare una strategia per tamponare la crescita cinese e a riequilibrare a proprio favore il commercio mondiale e la sfera europea, percorsa da nuovi nazionalismi e guidate da élite che mai si sono potute fare realmente sovranazionali, sedotta dall’orso russo, nel mirino del drago cinese, divisa nei suoi eccezionali particolarismi storici, scossa da un capitalismo globale che le sue tradizioni e pulsioni interne mal sopportano, intrappolata in progetti istituzionali artificiosi e sempre meno legittimati. Così il sole tramonta sull’Europa abbandonata dall’atlantismo. Preda di un potere politico addomesticato e invisibile, ma che scarica tutta la sua potente tradizione sulle urne della democrazia e sulla ricostruzione d’identità forti, ma che appaiono allo stesso tempo debolissime per costruire un nuovo ordine politico.
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modalità definite
nei precedenti articoli.
7.3 L'Utente si impegna ad utilizzare l'Abbonamento e i suoi contenuti a titolo esclusivamente personale, in
forma non
collettiva e senza scopo di lucro; l'Utente è inoltre responsabile per qualsiasi uso non autorizzato
dell'Abbonamento e
dei suoi contenuti, ove riconducibile all'account dell'Utente medesimo; per questo motivo l'Utente si
impegna ad
assumere tutte le precauzioni necessarie per mantenere riservato l'accesso all'Abbonamento attraverso il
proprio account
(per esempio, mantenendo riservate le credenziali di accesso ovvero segnalando senza ritardo al Fornitore
che la
riservatezza di tali credenziali risulta compromessa per qualsiasi motivo).
7.4 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
8. Tutela della proprietà intellettuale e industriale
8.1 L'Utente riconosce e accetta che i contenuti dell'Abbonamento, sotto forma di testi, immagini,
fotografie, grafiche,
disegni, contenuti audio e video, animazioni, marchi, loghi e altri segni distintivi, sono coperti da
copyright e dagli
altri diritti di proprietà intellettuale e industriale di volta in volta facenti capo al Fornitore e ai suoi
danti causa
e per questo si impegna a rispettare tali diritti.
8.2 Tutti i diritti sono riservati in capo ai titolari; l'Utente accetta che l'unico diritto acquisito con
il contratto
è quello di fruire dei contenuti dell'Abbonamento con le modalità e i limiti propri del Servizio. Fatte
salve le
operazioni di archiviazione e condivisione consentite dalle apposite funzionalità del Servizio, qualsiasi
attività di
riproduzione, pubblica esecuzione, comunicazione a terzi, messa a disposizione, diffusione, modifica ed
elaborazione dei
contenuti è espressamente vietata.
8.3 La violazione degli obblighi stabiliti nel presente articolo conferisce al Fornitore il diritto di
risolvere
immediatamente il contratto ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile, fatto salvo il risarcimento dei
danni.
9. Manleva
9.1 L'Utente si impegna a manlevare e tenere indenne il Fornitore contro qualsiasi costo – inclusi gli
onorari degli
avvocati, spesa o danno addebitato al Fornitore o in cui il Fornitore dovesse comunque incorrere in
conseguenza di usi
impropri del Servizio da parte dell'Utente o per la violazione da parte di quest'ultimo di obblighi
derivanti dalla
legge ovvero dai presenti termini d'uso.
10. Limitazione di responsabilità
10.1 Il Fornitore è impegnato a fornire un Servizio con contenuti professionali e di alta qualità; tuttavia,
il
Fornitore non garantisce all'Utente che i contenuti siano sempre privi di errori o imprecisioni; per tale
motivo,
l'Utente è l'unico responsabile dell'uso dei contenuti e delle informazioni veicolate attraverso di
essi.
10.2 L'Utente riconosce e accetta che, data la natura del Servizio e come da prassi nel settore dei servizi
della
società dell'informazione, il Fornitore potrà effettuare interventi periodici sui propri sistemi per
garantire o
migliorare l'efficienza e la sicurezza del Servizio; tali interventi potrebbero comportare il rallentamento
o
l'interruzione del Servizio. Il Fornitore si impegna a contenere i periodi di interruzione o rallentamento
nel minore
tempo possibile e nelle fasce orarie in cui generalmente vi è minore disagio per gli Utenti. Ove
l'interruzione del
Servizio si protragga per oltre 24 ore, l'Utente avrà diritto a un'estensione dell'Abbonamento per un numero
di giorni
pari a quello dell'interruzione; in tali casi, l'Utente riconosce che l'estensione dell'Abbonamento è
l'unico rimedio in
suo favore, con la conseguente rinunzia a far valere qualsivoglia altra pretesa nei confronti del
Fornitore.
10.3 L'Utente riconosce e accetta che nessuna responsabilità è imputabile al Fornitore:
- per disservizi dell'Abbonamento derivanti da malfunzionamenti di reti elettriche e telefoniche ovvero di
ulteriori
servizi gestiti da terze parti che esulano del tutto dalla sfera di controllo e responsabilità del Fornitore
(per
esempio, disservizi della banca dell'Utente, etc...);
- per la mancata pubblicazione di contenuti editoriali che derivi da cause di forza maggiore.
10.4 In tutti gli altri casi, l'Utente riconosce che la responsabilità del Fornitore in forza del contratto
è limitata
alle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
10.5 Ai fini dell'accertamento di eventuali disservizi, l'Utente accetta che faranno fede le risultanze dei
sistemi
informatici del Fornitore.
11. Modifica dei termini d'uso
11.1 L'Abbonamento è disciplinato dai termini d'uso approvati al momento dell'acquisto.
11.2 Durante il periodo di validità del contratto, il Fornitore si riserva di modificare i termini della
fornitura per
giustificati motivi connessi alla necessità di adeguarsi a modifiche normative o obblighi di legge, alle
mutate
condizioni del mercato di riferimento ovvero all'attuazione di piani aziendali con ricadute sull'offerta dei
contenuti.
11.3 I nuovi termini d'uso saranno comunicati all'Utente con un preavviso di almeno 15 giorni rispetto alla
scadenza del
periodo di fatturazione in corso ed entreranno in vigore a partire dall'inizio del periodo di fatturazione
successivo.
Se l'Utente non è d'accordo con i nuovi termini d'uso, può esercitare la disdetta secondo quanto previsto al
precedente
articolo 3.
11.4 Ove la modifica dei termini d'uso sia connessa alla necessità di adeguarsi a un obbligo di legge, i
nuovi termini
d'uso potranno entrare in vigore immediatamente al momento della comunicazione; resta inteso che, solo in
tale ipotesi,
l'Utente potrà recedere dal contratto entro i successivi 30 giorni, con il conseguente diritto ad ottenere
un rimborso
proporzionale al periodo di abbonamento non goduto.
12. Trattamento dei dati personali
12.1 In conformità a quanto previsto dal Regolamento 2016/679 UE e dal Codice della privacy (decreto
legislativo 30
giugno 2003, n. 196), i dati personali degli Utenti saranno trattati per le finalità e in forza delle basi
giuridiche
indicate nella privacy policy messa a disposizione dell'Utente in sede di registrazione e acquisto.
12.2 Accettando i presenti termini di utilizzo, l'Utente conferma di aver preso visione della privacy policy
messa a
disposizione dal Fornitore e di averne conservato copia su supporto durevole.
12.3 Il Fornitore si riserva di modificare in qualsiasi momento la propria privacy policy nel rispetto dei
diritti degli
Utenti, dandone notizia a questi ultimi con mezzi adeguati e proporzionati allo scopo.
13. Servizio clienti
13.1 Per informazioni sul Servizio e per qualsiasi problematica connessa con la fruizione dello stesso,
l'Utente può
contattare il Fornitore attraverso i seguenti recapiti: help@newslist.it
14. Legge applicabile e foro competente
14.1 Il contratto tra il Fornitore e l'Utente è regolato dal diritto italiano.
14.2 Ove l'Utente sia qualificabile come consumatore, per le controversie comunque connesse con la
formazione,
esecuzione, interpretazione e cessazione del contratto, sarà competente il giudice del luogo di residenza o
domicilio
del consumatore, se ubicato in Italia.