9 Ottobre
Tutte le strade portano a Roma
Il caffè tra Raggi e Michetti, le difficoltà dell'alleanza "ulivista" tra Pd e Cinque Stelle, la leadership di Conte che balla. Perché il voto a Roma è un passaggio chiave della politica nazionale. Draghi è Mr. Wolf, risolve problemi, ma i partiti sono fantasmi. Xi Jinping ricorda la realtà della Cina: la riunificazione con Taiwan si farà
Che succede? Succede che viviamo tempi interessanti (forse troppo) e i grandi trend della contemporaneità sono accelerati. L'Afghanistan non fa più notizia, ma ieri ci sono stati oltre 80 morti centinaia di feriti in un attentato in una moschea a Kunduz. Rivendicazione di Isis-K, è la guerra civile aperta dal ritiro ordinato da Joe Biden, nessuna obiezione da parte del tribunale degli indignati a senso unico, siamo di fronte a eventi che faranno sentire il loro effetto sull'Occidente che sventola bandiera bianca.

La Cina corre più di tutti, l'America si contorce, ma cerca di inseguire (se ne vede il passo stanco e la direzione di marcia senza una meta precisa), l'Europa è disperatamente sonnambula. La retorica ha dei limiti e quelli dell'Unione europea si vedono: una classe dirigente senile e conformista non può produrre un mondo nuovo, è evidente, ma può accelerare la distruzione (senza guerra, senza far rumore, una dolce implosione) di quello che c'è, cosa che sta accadendo. I cittadini europei lasciano fare, sono immersi in una bolla di stordimento collettivo, ma sta arrivando l'inverno e qualche barlume di realtà comincerà a emergere (la bolletta del riscaldamento), i videogiochi e le serie tv non basteranno a continuare nel sogno del nulla accade. Tra i sonnambuli, l'Italia è in una condizione onirica felice e speciale. Facciamo il nostro giro di giostra, seguite il titolare di List.
01
Mr. Wolf Draghi e il problema dei partiti fantasma
L'Italia vive un momento di "sospensione" totale, si chiama Mario Draghi. È un Mr. Wolf che "risolve problemi", senza alcun dubbio, ma ne crea uno che il sistema non riesce a risolvere: sostituisce la politica (dei partiti) e purtroppo egli non esaurisce la politica. Draghi rende i partiti dei soggetti debolissimi,...
Che succede? Succede che viviamo tempi interessanti (forse troppo) e i grandi trend della contemporaneità sono accelerati. L'Afghanistan non fa più notizia, ma ieri ci sono stati oltre 80 morti centinaia di feriti in un attentato in una moschea a Kunduz. Rivendicazione di Isis-K, è la guerra civile aperta dal ritiro ordinato da Joe Biden, nessuna obiezione da parte del tribunale degli indignati a senso unico, siamo di fronte a eventi che faranno sentire il loro effetto sull'Occidente che sventola bandiera bianca.

La Cina corre più di tutti, l'America si contorce, ma cerca di inseguire (se ne vede il passo stanco e la direzione di marcia senza una meta precisa), l'Europa è disperatamente sonnambula. La retorica ha dei limiti e quelli dell'Unione europea si vedono: una classe dirigente senile e conformista non può produrre un mondo nuovo, è evidente, ma può accelerare la distruzione (senza guerra, senza far rumore, una dolce implosione) di quello che c'è, cosa che sta accadendo. I cittadini europei lasciano fare, sono immersi in una bolla di stordimento collettivo, ma sta arrivando l'inverno e qualche barlume di realtà comincerà a emergere (la bolletta del riscaldamento), i videogiochi e le serie tv non basteranno a continuare nel sogno del nulla accade. Tra i sonnambuli, l'Italia è in una condizione onirica felice e speciale. Facciamo il nostro giro di giostra, seguite il titolare di List.
01
Mr. Wolf Draghi e il problema dei partiti fantasma
L'Italia vive un momento di "sospensione" totale, si chiama Mario Draghi. È un Mr. Wolf che "risolve problemi", senza alcun dubbio, ma ne crea uno che il sistema non riesce a risolvere: sostituisce la politica (dei partiti) e purtroppo egli non esaurisce la politica. Draghi rende i partiti dei soggetti debolissimi, quasi inesistenti, non è una sua colpa, questo è l'effetto di leadership insufficienti e una classe politica inadeguata, ma il fatto resta e non si può immaginare che non abbia conseguenze.
Draghi è il protagonista di una dimensione totale: l'altro ieri ha incontrato Angela Merkel e Nancy Pelosi, offerto la sua visione del mondo in una serie di appuntamenti internazionali dove ha affrontato tutti i temi dell'agenda contemporanea. Draghi fa la politica estera e quella interna, è punto di riferimento in Europa e parla con i grandi e piccoli della terra, passa dal globale al locale, media tra i segretari di partito, interloquisce con le autorità religiose, incontra le associazioni, riceve gli sportivi. La sua ascesa come figura pubblica è quella di una forza che non ha ostacoli, non ha incertezze e... non ha il problema del consenso.
Agli italiani questo piace, Draghi in questo momento è una figura rassicurante, ma il tema di fondo resta: cosa ne è della politica? La risposta più facile è la seguente: è Draghi la nuova politica. Ma tutti sappiamo che non è così, almeno non lo è nella forma classica (quella della "Repubblica dei partiti", leggere il prezioso libro di Pietro Scoppola in una nuova edizione del Mulino) perché il premier è una figura eccezionale in uno stato d'eccezione. Non solo, la storia di Winston Churchill è maestra di vita: vinse la guerra, perse le elezioni. Fu un eroe, lo mandarono a casa. Draghi non ha questo problema - non si candida - ma il tema del sistema politico in pieno sottosopra resta.

Draghi è l'uomo che materializza la formula di Georgij Plechanov, uno dei padri del marxismo russo, che parlava della “funzione della personalità nella storia". Assodato che lo è, torna la domanda sul taccuino: la politica dov'è? Un tempo c'era la Repubblica dei partiti (che bene o male corrispondeva a quella degli italiani tutti) ma oggi cosa è rimasto?
Draghi non ha un partito - non ne vuole fare uno e in giro non c'è nulla per ora che possa assimilarne la visione - e passata la fase d'emergenza (ci siamo quasi, coincide con la fine della pandemia) verrà fuori come un folletto la domanda del compagno Lenin: che fare? Il Partito democratico dopo un periodo di malpancismo acuto ora lo appoggia, ma quella di Letta è una mossa tattica, gli serve per placare i dissidi interni, addormentare le correnti dem nella culla del draghismo, andare avanti e vedere che succede in casa dei Cinque Stelle. La Lega era draghista, ma Salvini resta ancorato a un'idea di partito d'opposizione e non di governo, pensa alla sfida con Giorgia Meloni, sbanda e si rimette in carreggiata, non trova il filo per condurre il partito in una dimensione europea, il draghismo non è nelle sue corde pur avendo una classe dirigente leghista che è pienamente draghista. Gli altri sono meteore, i Cinque Stelle sono un ex partito anti-sistema a caccia della sopravvivenza. Questo quadretto ci dice che Draghi è insostituibile, ma nello stesso tempo è l'azzeramento di quel che resta della politica.
Serve una rifondazione del sistema che purtroppo passa per l'eterna transizione italiana. Serve tempo. Ma il tempo non lo abbiamo, perché tutto scorre (e corre), perché comunque il voto al massimo arriva nel 2023 che è domani. Nessuno è pronto e tra poco ci sarà l'elezione del Presidente della Repubblica. Soluzione? Draghi è quella più facile e nello stesso tempo sta diventando anche quella più difficile: appare insostituibile nella guida del governo (ci sono i progetti del Recovery Plan da realizzare, un fiume di denaro, chi mette d'accordo i partitanti?), il Pd non lo vuole (accarezza l'idea di un altro presidente che viene dalla famiglia allargata dei dem), la Lega non ha una linea e se Draghi va al Quirinale si vota e le elezioni amministrative hanno dimostrato che il centrodestra può essere favorito e poi perdere, Berlusconi pensa di diventare lui, il Presidente della Repubblica (c'è anche questo, incredibile ma vero), i Cinque Stelle non sanno proprio che fare, per loro tutto va bene l'importante è che non si voti subito, Fratelli d'Italia lo vota solo se poi arrivano le elezioni anticipate (e non è detto). Insomma, è un gran casino.
Draghi è una soluzione e nello stesso tempo il problema di chi non ha formule per il futuro: i partiti lo vogliono in pubblico, ma segretamente lo detestano perché espone tutti i loro deficit. Non è solo un fatto di preparazione, di competenza, di cultura, ma anche e soprattutto d'azione, perché Draghi decide e i partiti rinviano, i politicanti tentennano (pensate ai continui rinvii di Giuseppe Conte, alla fine s'è bruciato da solo), gli statisti decidono. Qui c'è l'altra enorme faglia che s'è aperta nel sistema: Draghi dispone del potere e lo usa tutto. I partiti ne hanno parecchio, ma sono stoppati dalle condizioni che hanno creato con l'arrivo dell'ex banchiere centrale. Sono tutti prigionieri liberi.
02
Il ballottaggio di Roma. Quel caffè tra Raggi e Michetti

I ballottaggi di domenica prossima completeranno questo passaggio politico. Perché? Roma è l'officina da osservare: Enrico Michetti è arrivato primo al ballottaggio, ma sembra avere poche possibilità di aggregare altre forze nel secondo turno, Gualtieri dunque sembra favorito dalla convergenza sul suo nome di una quota di elettori dei Cinque Stelle e di Calenda. Andrà così? Siamo in un quadro instabile.
1. Al ballottaggio l'affluenza sarà minore rispetto al primo turno dove già i numeri erano bassissimi (ha votato solo il 48,83% degli elettori), un romano su due è rimasto a casa. Questo dato introduce ulteriore volatilità, non sappiamo chi favorirà.
2. Michetti non ha posto barriere, ieri ha preso un caffè con Virginia Raggi per informarsi sui lavori in corso in Campidoglio. Nessuna dichiarazione di voto, ma l'incontro dà una luce diversa a tutta la corsa per il Campidoglio. Raggi incontrerà lunedì Gualtieri. Uno vale uno. E niente dichiarazioni d'appoggio perché "le persone non sono mandrie da portare al pascolo e ognuno si farà la sua idea" dice la sindaca uscente.
3. Virginia Raggi ha l'appoggio di Luigi Di Maio e ha sempre avuto in Beppe Grillo il suo più convinto sostenitore. Basta questo per certificare che Raggi è l'avversario numero uno di Giuseppe Conte. Il quale, confermando di non sapere fare politica e mostrando tutto il suo narcisismo, il giorno del voto è andato a festeggiare la vittoria del candidato del Pd Gaetano Manfredi a Napoli (con voto del tutto irrilevante dei Cinque Stelle), invece di andare a sostenere Virginia Raggi nella sconfitta. Conte voleva mostrarsi con il vincitore, ma ha commesso un grande errore che potrebbe pesare nella corsa al Campidoglio. Perché?
4. Giuseppe Conte non ha una linea, egli è Zelig, cambia parte in commedia continuamente. Ora è ulivista, ma domani sarà altro, il suo è un progetto personale (e dunque niente solidarietà a Raggi e si corre dal Manfredi). Ora le ragioni di un'opposizione dell'ex sindaca al leader in pochette sono ancora più fondate e per una parte consistente dei grillini gettarsi nelle braccia del Pd significa in ogni caso sparire. La cosa è tanto vera che Goffredo Bettini, grande manovratore della politica dem nella Capitale, ha lanciato subito l'allarme: salvate il soldato Conte.
5. Roberto Gualtieri resta il favorito, ma la sua capacità di attrazione è sempre più limitata dal contesto della politica romana. Oltre ai dissidi interni dei grillini, Gualtieri deve guardare ai "calendisti" con attenzione: non lo hanno votato al primo turno, molti non lo voteranno al ballottaggio. Calenda ha detto che appoggerà Gualtieri, ma ha aperto una battaglia durissima contro Conte che ha definito "trasformista" e occhio, caro Gualtieri, niente grillini in Giunta. Gualtieri a sua volta non può fare a meno di Conte, deve blandirlo, dire che è una grande risorsa e via così con le frasi di rito, più di questo non può fare. È lo stesso Gualtieri che accusava di incapacità (vero) la giunta Raggi e i grillini, ora chiede i loro voti. Testacoda. Siamo in pieno corto circuito con i pompieri che non arrivano mai. Dunque c'è un'altra operazione in corso: salvate il soldato Gualtieri.
6. Il problema di Roma diventa un tema... capitale. La ragione è chiara: se i grillini non vanno a votare Gualtieri, Michetti vince. Se i calendisti non vanno a votare Gualtieri, Michetti vince. Questo metterebbe Conte di fronte alla realtà di un Movimento che non controlla e Letta al cospetto del problema di un alleato che non c'è. L'alleanza Pd-Cinque Stelle sarebbe morta, ammesso che sia viva, visti i numeri irrilevanti dei pentastellati nelle comunali. Molti "se" fanno un problema. Gualtieri vince?
7. E Michetti vince? Non si sa, il Centrodestra resta in una posizione complicata (a chi chiede i voti?), Gualtieri sembra ancora il favorito, ma di fronte a questi fatti, il rovescio delle previsioni non è più impossibile, è Gualtieri che deve recuperare. Certo, gli elettori moderati dovrebbero andare ancora alle urne per non far crollare il loro candidato. Al secondo turno è impresa difficile. Potrebbero non andarci gli elettori delle sinistre? Tutti al mare? Siamo davvero nel campo dei rabdomanti. Michetti in ogni caso ha fatto una mossa giusta, forse la prima da quando è candidato: il caffè con Raggi al Campidoglio ha aperto uno scenario che andrà avanti, i Cinque Stelle sono in pieno psicodramma, il non-inizio di Conte è un fatto. Naturalmente, in caso di vittoria del candidato del Centrodestra, la gioiosa macchina da guerra del Pd ne uscirebbe ridimensionata, ma questa è una storia che ha bisogno della cronaca per essere raccontata. Aspettiamo il ballottaggio con il taccuino squadernato sulle rive del Tevere.
Post scriptum. Nel frattempo, Beppe Sala ha varato a tempo di record la nuova Giunta del Comune di Milano. A meno di una settimana dalle elezioni comunali, il sindaco Beppe Sala presenta la nuova squadra. Sarà formata da 12 assessori: 6 del Pd, 2 civici, 2 tecnici, 1 riformista, 1 verde. Conferenza stampa oggi alle 15 a Palazzo Marino. Citofonare il Centrodestra: la politica ha bisogno di pragmatismo e non di chiacchiere e liti, di inseguimenti di minoranze rumorose, piazza e schiamazzi, le cose si fanno così.
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C'è altro per la politica italiana? Piccole schermaglie e un grande tema irrisolto: l'uso della giustizia come arma di distruzione di massa della politica.
03
Renzi, la Bestia, Morisi e i "festini gay"
Piaccia o meno, Matteo Renzi è uno dei pochissimi a dire le cose come stanno. Su cosa? L'inchiesta su Luca Morisi, il responsabile fino a pochi giorni fa della comunicazione social di Matteo Salvini: "Sono stato vittima della Bestia leghista in molte circostanze. E non mi sfugge che il capo della bestia - assieme a Salvini - fosse Luca Morisi. Non posso certo definirlo un amico, insomma. Ma proprio per questo trovo vergognoso il modo con il quale la vicenda Morisi è stata spiattellata sui giornali. Partecipare a "festini gay" non è reato, ma la vita privata di Morisi è stata raccontata nei dettagli pur in assenza di un reato. Si dirà: chi di Bestia ferisce, di Bestia perisce. Vero. Ma questa non è civiltà, questa è la barbarie. Abbiamo superato da secoli la filosofia della legge del taglione, occhio per occhio, dente per dente. I media, prima ancora che gli investigatori, dovrebbero riflettere su come garantire e difendere il diritto alla riservatezza dei cittadini. Anche se sono nostri avversari politici, soprattutto se sono nostri avversari politici, noi dobbiamo praticare la civiltà. Noi NON siamo la Bestia. E quindi possiamo dirlo ad alta voce: ciò che ha dovuto subire Morisi in questi giorni è una schifezza". Diranno che c'è un asse tra Renzi e Salvini, ma realtà è inesorabile: l'inchiesta su Morisi va verso l'archiviazione, non c'è nessun reato. C'è un caso politico? Se c'è, non è quello del Morisi gay e la pubblicazione dei dettagli dei suoi incontri intimi è uno dei livelli più bassi mai toccati dal giornalismo nel nostro paese.
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C'è altro? Molto, viene dalla Cina. Occhio a Xi Jinping.
04
Xi Jinping: la riunificazione con Taiwan si farà

Non è la prima volta, ma Xi Jinping non ha usato giri di parole: la riunificazione tra la Cina e Taiwan si farà, "deve essere e sarà realizzata". Secondo Xi "Taiwan è una questione interna alla Cina e non ammette interferenze esterne". Xi ha parlato in occasione dei 110 anni dalla Rivoluzione del 1911 e sottolineato come "il secessionismo di Taiwan è il più grande ostacolo alla riunificazione nazionale. Chiunque voglia tradire e separare il Paese sarà giudicato dalla storia e non farà una bella fine". Bella fine.
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Cosa diceva Gordon Gekko? "È tutta una questione di soldi, il resto è conversazione".
05
Un minimo accordo sulla Mininum Tax
L'accordo c'è, Joe Biden doveva esibirlo, dunque la Minimum Tax (tassa del 15% sulle società con entrate superiori ai 750 milioni di euro) ci sarà: dopo il sì negli ultimi giorni di Estonia, Irlanda e Ungheria, sono in totale 136 paesi su 140 che hanno aderito alla proposta dell'Ocse. Rimangono fuori Pakistan, Nigeria, Kenya e Sri Lanka. Per l'amministrazione democratica si tratta di un grande passaggio."È una vittoria per le famiglie americane e per la comunità internazionale degli affari - ha commentato la segretaria al Tesoro, Janet Yellen - l'accordo di oggi rappresenta un risultato che si ottiene una volta in una generazione per la diplomazia economica". Il provvedimento verrà presentato alla riunione dei ministri delle finanze del G20 a Washington il 13 ottobre e nel corso del vertice dei leader del G20 che si terrà a Roma alla fine dello stesso mese. Attuazione? Nel 2023. Nuove entrate: 150 miliardi di dollari ogni anno.
Tutto bene? Nota di Oxfam: "L'accordo fiscale di oggi doveva porre fine ai paradisi fiscali per sempre. Invece è stato scritto da loro... Chiamare questo accordo 'storico' è ipocrita e non regge nemmeno al più piccolo esame. Il diavolo delle tasse è nei dettagli, compresa una complessa rete di esenzioni che potrebbe permettere ai grandi trasgressori come Amazon di non pagare. All'ultimo minuto un colossale periodo di grazia di 10 anni è stato schiaffato sulla tassa aziendale globale del 15%, e ulteriori scappatoie la lasciano praticamente senza denti".
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Soldi. E pesca, andiamo nel canale della Manica, c'è una storiella divertente, l'eterna lotta tra francesi e inglesi.
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Niente pesca? Ti taglio la corrente elettrica

Voi pensate che la politica internazionale sia fatta di grandi battaglie? No, sono le cose piccole a rivelare il buon sangue che corre tra le nazioni. La Francia minaccia di ridurre le forniture di energia elettrica all'isola di Jersey questo inverno, come ritorsione "mirata" nella disputa con il Regno Unito sulla pesca. Chi lo dice? Il sottosegretario agli Affari europei francese, Clement Beaune. "La riduzione delle forniture è possibile, ma tagliare l'energia a ogni residente di Jersey questo inverno è qualcosa che non avverrà e che io non voglio", ha assicurato il rappresentante di Parigi. Tema della contesa? Londra si è rifiutata di concedere tutte le licenze di pesca richieste dai pescatori francesi. L'isola inglese si trova a soli 20 km dalle coste francesi e dipende da Parigi per l'energia. È questione di un attimo, clic.